Alfabeta - anno X - n. 104 - gennaio 1988

j I pagina 26 composizione «pluralista»: nel recuperare «quel che vi è di meglio nelle interpretazioni unilaterali» (La Pensée 68, p. 97), per tirarne fuori infine una tisana «sintetica». Dove si può riconoscere una delle tentazioni dell'Università francese del secolo scorso, l'eclettismo. Ci avevano annunciato e sbandierato un nuovo ritorno a Kant. Era solo un Victor Cousin ... L'autore della Critica della ragion pura, da parte sua, non aveva mai visto nell'esposizione delle antinomie una chiave universale cél.pacedi risolvere tutte le contraddiSaggi .::i::.:-- - -· u : ---·--- ... zioni del pensiero. Si sa, d'altra parte, che delle quattro antinomie analizzate nella Dialettica trascendentale, le prime due almeno restano necessarimente senza soluzione. Questo perché Kant era alle prese con la difficoltà di pensare, e non si curava affatto di dar libero corso alla conciliazione forgiando dei passe-partout «criticisti». Non si potrebbe dire altrettanto dei Bouvards e Pécuchet del neo-kantismo: la critica senza fatica, in tre volumi, ecco qualcosa che può sedurre gli amanti dei bigini. Invece dell'uomo Il pensiero di Kant è troppo importante per essere lasciato nelle mani dei neo-kantiani. Per astratto che possa sembrare, il conflitto attuale sull'interpretazione di Kant implica infatti dei problemi decisivi. Si prenda, ad esempio, il punto centrale del pamphlet di Ferry-Renaut, l'accusa di «antiumanesimo». La portata del dibattito è notevole: si tratta dei diritti dell'uomo, e della questione della loro legittimazione filosofica. Secondo loro, scopo fondamentale del pensiero francese recente «è chiaramente il progetto di condurre una critica radicale della soggettività» (p. 41); scegliendo, con Heidegger, il «partito dell'anti umanesimo», i «filosofi dei sixties», avrebbero tolto ogni senso alla nozione dei diritti dell'uomo. Questi esigerebbero infatti di essere fondati su una idea dell'Uomo, dell'Individuo libero autonomo: su quell' «umanesimo non metafisico» che i nostri censori credono di trovare in Kant e Fichte. Quando un «anti umanista» come Foucault o un «heideggeriano» come Lefort milita in favore dei diritti dei detenuti o sostiene la lotta di Solidarnosc, il suo comportamento sarebbe incoerente. Bisogna aderire all'umanesimo targato Ferry-Renaut per avere il diritto di interessarsi all'uomo. Anche qui, di fronte a tanta presunzione, sarebbe necessaria un'analisi. Bisognerebbe mostrare soprattutto la confusione che si opera tra «il pensiero del soggetto» e la «valorizzazione dell'uomo» (p. 22 ecc.) e che permette di assimilare ogni messa in dubbio dell'umanismo metafisico a una «distribuzione della soggettività». Se i paladini dell'uomo si fossero presi la briga di leggere Husserl, vi avrebbero scoperto un tentativo rigoroso di pensare la soggettività «mettendo fuori gioco» - «riducendo» - tutte le determinazioni empiriche della persona umana. Alla fine di questa neutralizzazione, Huss'èrl può affermare che «lo, non è più l'Uomo», che l'Ego puro non ha nulla di umano, che deve essere descritto senza alcun riferimento all'esistenza collettiva, alla psicologia, e neppure al linguaggio degli uomini. Ora, nonostante la differenza delle problematich_e, su questo punto l'approccio di Husserl è analogo a quello di Kant. Quando questi si propone di situare il principio del dovere morale, sottolinea che «è della massima importanza» non cercare di «far discendere la realtà da questo principio della costituzione particolare della natura umana». 6 Solo a questa condizione è possibile, secondo Kant, garantire la «purezza» dell'etica, che non deve «confondersi né con l'antropologia né con la teologia». Kant non si stanca di ripeterlo, «l'Uomo» non è il destinatario dell'imperativo categorico: quest'ultiAlfabeta 104 mo è rivolto a tutti gli «esseri ragionevoli finiti». Come principio puro della ragion pratica, la Legge morale è, nel senso stretto, oltreumana. L'imperativo ci prescrive di trascendere la nostra «umanità» empirica, e ciò che Kant chiama una «volontà affetta in modo patologico»; di emanciparci dai limiti della nostra situazione storica, delle nostre tendenze psicologiche, dei nostri valori umani, troppo umani, per poter accogliere senza riserve il richiamo della Legge. E quando Kant cercherà, a partire dal 1792, di iscrivere di nuovo i principi etici nel dato empirico dell'esistenza umana, l'umanità gli apparirà infinitamente colpevole, votata a un male radicale. Quel che vi è di «umano» nell'Uomo sarebbe questo scarto, questa torsione colpevole che ci allontana dalla legge. Essere un uomo significa essere in torto: ogni umanesimo è patologico. Quando Ferry e Renaut si rifanno ali' «umanesimo kantiano» per condannare coloro che «vogliono rendere la filosofia inumana», dimostrano di non capire niente di Kant. Il pensiero di Kant non è un «umanesimo» (e neppure un «razionalismo»). Così come non è un «anti umanismo». Prima di tutto perché nessun pensiero autentico, quello di Kant o quello di Husserl o di Heidegger, si lascia rinchiudere in queste opposizioni scolastiche. Ma anche perché la neutralizzazione di ogni dato antropologico diviene necessaria per conferire un senso ai diritti dell'uomo. Nella prospettiva di Kant, ciò che dà diritto ai diritti dell'uomo, ciò che garantisce il loro carattere universale, incondizionato - e che manca ai «diritti» e ai privilegi delle comunità empiriche - è la loro deduzione a partire dall'imperativo etico, come modo di donazione «esterna» della Legge. 7 Per legittimare i diritti dell'uomo, si è reso necessario ricorrere all'istanza non-umana della Legge, concedere diritto di cittadinanza all'inumano. Da questo punto di vista, per Kant l'Uomo non è mai il soggetto puro del Diritto. L'ingenuità degli um~nisti, e il

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