Alfabeta - anno X - n. 104 - gennaio 1988

Alfa beta 104 «In un caldo pomeriggio di giugno incontrò sul boulevard Saint-Michel il Babbuino, il suo vecchio professore di filosofia[ ... ] 'volevo chiederle, professore, cosa ne pensa della psicanalisi?' Il Babbuino si mise a ridere: 'È, disse, una moda che passerà. Quello che c'è di migliore in Freud lo trovi già in Platone. Per il resto, soggiunse con un tono che non ammetteva repliche, ti dirò che non credo a quelle panzane. Faresti meglio a leggere Spinoza'. Lucien si sentì liberato da un peso enorme [... ]. 'Ho rischiato di perdermi', pensò, ma sono stato protetto dalla mia sanità morale'». Sartre, L'Enfance d'un chef (trad. it. di E.G. in I/muro, Torino, Einaudi, 1957). e he i Lucien Fleurier del nostro tempo si tranquillizzino: la loro «sanità morale» non è più in pericolo: il Babbuino è tornato. Per alcuni decenni, i «sofisti anti-umariisti», gli «autofagi cinici» e altri «ni~hilisti romantici» avevano dominato la scena intellettuali. Ma il loro regno sembra volgere al termine: nell'ultimo anno sono apparsi una serie di pamphlet vendicatori, indirizzati contro le figure di maggior rilievo del «pensiero francese degli anni sessanta», Lacan, Foucault, Derrida, ma anche Barthes e Blanchot 1 • Certo, i loro punti di riferimento non sono sempre identici, ma ciò che li accomuna, malgrado le divergenze, è innanzitutto un obiettivo comune, un'eguale volontà di reagire contro le spinte più radicali della modernità, di ritornare ai dogmi e ai valori dell'epoca d'oro dell'Università e dei cenacoli ben pensanti. È inoltre una certa unità di stile, lo stesso rifiuto di leggere i testi, di confrontarsi con la singolare opacità delle opere. Al punto che alcuni di questi «rigorosi» censori sembrano conoscere le opere criticate solo per sentito dire. Così Bouveresse, che attacca lancia in resta Deleuze, Foucault e Derrida, non fa quasi mai riferimento ai loro scritti. Invece di confrontarsi direttamente con Foucault, commenta Manfred Frank che commenta Foucault. E là sua «confutazione» di Derrida consiste soprattutto nell'accumulare citazioni di Rorty e di Searle che discutono Derrida. Con la stessa sfrontatezza del protagonista di un romanzo di Antonio Machado che dichiarava: «Balzac è un autore tanto insignificante che non mi sono preso il disturbo di leggerlo». A prima vista, il recente libro di Ferry e Renaut sembra meno sbrigativo e superficiale. Anche la stampa lo ha subito salutato come il segno del «ritorno della società filosofica». (cfr.«Libération» novembre 1981). Ma guardando meglio ci si accorge che anche la polemica di basso livello, l'insinuazione calunniosa e la riduzione dogmatica sono la regola. Tutto ciò in nome della Verità e del Diritto, del Dibattito democratico e del Rigore morale ... Gli spropositi abbondano, talvolta fino all'incredibile. Il lettore apprenderà ad esempio che nel suo saggio sui Fins de l'homme, J. Derrida non mancava di auspicare una «alternativa all'umanesimo» (p. 19). Il testo incriminato tendeva, al contrario, a rimettere in discussione i motivi di una tale «alternativa». Lacan non è trattato meglio: tra le tante perle si scoprirà che, nella pratica lacaniana dell'analisi, «la morbosa sensibilità umanista non è più di moda: l'io deve essere distrutto, costi quel che costi» (p. 261). Già una ventina d'anni fa, a degli studenti che lo interpellavano sui «modi di fare uscire qualcuno dalla propria coscienza», Lacan replicava freddamente: «Non sono Alphonse Al}ais, che vi risponderebbe: scorticarlo». 2 Cosa direbbe oggi a quelli che lo accusano di volere «distruggere l'io»? Il colpo del Babbuino Detto questo, il tratto più caratteristico di questo libello andrebbe cercato nello stile: in quel tono da gran signore che ricorda la tracotanza di un de Norpois quando derideva le «cineserie formali» di Bergotte. Si ironizza sulle «acrobazie verbali» di Derrida (p. 39), sulla sua «capacità virtuosistica di produrre variazioni letterarie su un tema preso a prestito, semplice e d'altra parte piuttosto povero» (p. 185), per poi concludere sottoline~ndo sdegnosamente «l'estrema Saggi pagina 25 • • a ,, ingenuità di un tale tentativo» (p. 193) e «la noia» che ispira, analoga, si direbbe, «a quella suscitata in pittura da certi epigoni del cubismo». Non si tratta, come si può vedere, di un libro che si preoccupa di analizzare le opere o di discutere questioni filosofiche. 3 Punta innanzitutto a giustiziare i suoi avversari, a screditarli in tutti i modi, a costringerli alla resa. La «critica criticista» (sic) alla Ferry-Renaut è la polizia del pensiero. Cosa che, del resto, gli autori confessano volentieri: il loro unico scopo è «identificare le posizioni» e «svelare le contraddizioni», anche a costo di essere «tacciati di semplicismo, di amalgama» (p. 288). Non si potrebbe dire meglio: «identificare una posizione» significa per loro ridurre opere diverse, eterogenee, all'identità astratta di un «modello» o di un «tipo ideale». Diventa facile, allora, «svelare le contraddizioni» di questo modello. Il primo procedimento corrisponde alla sperimentata tecnica poliziesca dell'identikit. La seconda, possiamo definirla la pratica dell'argomentomanganello. Si tratta, infatti, di bastonare l'avversario con obiezioni tanto grossolane e brutali, da impedirgli ogni replica degna di questo nome. Sappiamo ad esempio che i lavori di Derrida mettono in dubbio la concezione tradizionale dell'autore e l'illusione di un controllo del soggetto sul testo che scrive. Ecco! gridano i fur_boni:dal ~omento che (Pi~LJ ~~°4;' ZJfll:r ~~~~~-.. '• .-.~~-.~ ~ ~~ ~~ '-• i, ••• 9 t> •• .,. • ,, ,, • - • ,. .. ti • • • _, ... ~ ...... {' . ~ .... ~., ' • • • • - ~ • • ~ • • • ,. • ~ 'Jn,.a •• • • n • a • • <.e.,. • •:,-•~ ·:~ ~.. -- . ;:;; ~-,-l .. , ..... ~-.-.. ... - .......... . ~ ~ ......... . ._ ... .... . ...... _;:;;;-- .... •• ua ......... ·••' .... • ..,•.•_•4•ano•••• •• ~,r;na j,;v!:.~ Derrida firma i suoi libri, se ne considera l'autore; quindi si contraddice. C.v.d. (p. 194). Altro esempio: Heidegger mette in guardia contro il dominio dei «valori» nella metafisica moderna. Altolà! È «amoralismo»! e poi, se Heidegger è contro i valori, è la prova che valuta ancora; quindi, si contraddice, ecc.4 Questo argomento «rustico» piace talmente a Todorov che vuole subito applicarlo anche a Blanchot. Poiché quest'ultimo aveva invitato a «liberare il pensiero dalla nozione di valore», il virtuoso Trissotin si indigna e ci fa partecipi del suo «terrore»: negare i valori è «nichilismo», è fare primeggiare «la forza a scapito del diritto» (cfr. Critique de la critique, p. 71-74). E poiché sembra che la letteratura sia «un discorso orientato ·verso la verità e la morale» (sic: p. 189), e che «il rapporto con i valori le è inerente», bisogna concludere che «l'ideologia relativista» e «oscurantista» di Blanchot si contraddice e fallisce in pieno ... Se si volesse rispondere a simili scempiaggini sarebbero nécessarie ogni volta lunghe spiegazioni. Contro la confusione ingenua dell'etica e dei «valori», bisognerebbe almeno far riferimento a Kant, per mostrare che l'imperativo categorico, manifestazione di un obbligo incondizionato, non si lascia mai ridurre a «valori» determinati, ossia alle preferenze dei soggetti empirici. È in questo senso che diventa importante sottrarre il pensiero all'influenza dei valori, non per votarlo al nichilismo, ma per aprirlo alla dimensione più radicale dell'etica - quella che forse si trova implicata anche nel rischio della scrittura. Ma la funzione degli argomenti-manganello è precisamente di troncare sul nascere ogni velleità d'analisi. Quando questi sistemi non bastano, la polizia del pensiero ne utilizza altri. Per esempio, costruisce un «modello ideale» alla bell'e meglio, che autorizza tutti gli amalgami, tutte le caricature. Come questo identikit del «filosofo dei sixties», caratterizzato dal suo «rifiuto della chiarezza» e dal suo «gusto della provocazione mediante l'assurdità», e dalla «ricerca della marginalità e del fantasma del complotto» (p. 39). Aggiungete a questo la sua pratica smodata di una «masturbazioòe (appena) sublimata» (p. 43), e il suo «delirio interpretativo» (p. 129), e il quadro clinico sarà completo: questi «sofisti» paranoici sono da rinchiudere. Un procedimento simile ha spesso il favore dei commissari criticisti: dopo aver unificato arbitrariamente delle opere contemporanee in un «modello ideale» tentano di ricondurre questo modello a un «modello» anteriore, di cui sarebbe solo una «ripetizione» più o meno deformata. Dopo aver. ridotto il complesso al semplice e il differente all'identico, restava da ridurre il nuovo all'antico. Da qui la tesi centrale del pamphlet: la filosofia francese attuale è la «ripetizione iperbolica» del pensiero tedesco, la «radicalizzazione» di un «gesto che nella filosofia tedesca è rituale già da circa mezzo secolo» (p. 53). Ossia, più precisamente: se «Foucault=Heidegger+Nietzsche, e se [... ] Lacan=Heidegger+Freud, l'heideggerismo francese può essere riassunto nella formula: Derrida=Heidegger+lo stile di Derrida» (p. 167). Tutti «heideggeriani», dunque, e così anche Arendt, Merleau-Ponty, Leforf.. 5 Tutti heideggerianì, cioè irrazionalisti, <<amoralisti», «antidemocratici», ossia, come insinua Bouveresse, imparentati col fascismo. Variante todoroviana: «Il pensiero di Blanchot si modella qui sul suo schema storico, di ispirazione hegeliana», non fa che ripetere i «luoghi comuni romantici»; col che si spiega «il volto politico» (prima antisemita e ora «totalitario» ... ) «della teoria letteraria di Blanchot: se si accetta questo, bisogna assumere questo» (op. cit., pp. 68-74). Variante bouveressiana: «La retorica della contestazione permanente non può dissimulare le strette affinità esistenti, in profondità, tra un'ideologia· come 'l'anarco-strutturalismo' [attribuita a Deleuze, Foucault ecc.] e l'orientamento anti-razionalista, anti progressista, scettico, pessimista e cinico del pensiero di destra più autoritario» (op. cit., p. 20), quella che «ha mostrato or non è molto [... ] il suo vero volto» cioè, come si suggerisce più avanti, quella della «filosofia ufficiale del nazional-socialismo» (p. 22). Nulla di nuovo, quindi, sotto il sole. Questi giovani vecchi non si lasciano certo stupire. Ciò che vi è di meno incosistente nel pensiero francese attuale era già in Nietzsche e Heidegger. Per il resto, ornamenti, letteratura, chiacchiere. Procedimento ben noto, che proponiamo di chiamare, in omaggio al Sartre di Enfance d'un chef, il colpo del Babbuino. Per grossolano che sia, un simile procedimento 'ha i suoi vantaggi. Condannando ogni pensiero un po' nuovo e difficile a ripetere~un modello «ben conosciuto», esso semplifica drasticamente la storia delle idee, rende facile il compito del lettore. Nel grazioso idioma di Todorov, tutta l'avventura della critica e della letteratura da due secoli si riassume nella comparsa dell'«immanentismo», del «relativismo individualista», che si trasforma finalmente in «nichilismo», in «puro pluralismo» ... Ma la grande trovata dei nuovi Babbuini, l'inestimabile apporto della Sacra Famiglia critico-criticista è il metodo delle Antinomie. Dopo aver «identificato» le opere assegnandole ai rispettivi «modelli ontologici», si «svelano le contraddizioni» di questi sedicenti modelii, opponendoli a due a due. Per esempio al centro della Philosophie politique di Ferry, una minacciosa antinomia contrappone il «razionalismo dogmatico» (tesi: Hegel) all'«irrazionalismo» (antitesi: Heidegger). Ecco sorgere allora, dal possente cervello del _criticocriticista, la vittoriosa Sintesi che risolve definitivamente l'opposizione. Essa realizza l'unificazione degli «elementi non-dogmatici del razionalismo, del volontarismo e della fenomenologia» (op. cit., • t. II, p. 48) - e scusate se è poco! In cosa consiste questa mirabile scoperta? Essenzialmente nel «limitare e articolare» la tesi e l'antitesi-cioè, di fatto, nel giustapporle, in una

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==