pagina 12 H o avuto occasione, altrove, di accennare all'importanza dell'interpunzione, della «punteggiatura», intesa non solo nella sua usuale accezione, ma come presenza d'un ritmo, d'una cantilena, d'un fraseggio, che, in maniera più o meno esplicita, sono posti alla base del nostro modo di parlare e di scrivere e che costituiscono quasi lo scheletro attorno al quale si costruiscono i «muscoli» dell'organizzazione poetica e in genere letteraria d'una determinata lingua. E ho anche cercato di spiegare come questa «cantilena» linguistica non si possa identificare né esclusivamente con gli elementi fo,netici né con quelli sintattici, ma formi tutt'uno con la stessa dinamica della parola. Da qui poi discende anche il fatto che la comune interpunzione (a base di punti, virgole e parentesi) sia solo un'imperfetta trascrizione di quello che è il ductus sonoro e ritmico del nostro parlare. Se, però, abbandonando il linguaggio «comune», ci accostiamo più precisamente a quello poetico, vedremo come esista, ancora più spiccata che nella prosa, la presenza di questo quid abbastanza poco definibile che è insieme sonorità e ritmo, pausa e movimento, ma soprattutto cadenza e percorso della parola. E allora viene molto a proposito riandare a un saggio del 1937 (trovato solo negli ultimi anni, inedito,_tra le carte del grande estetologo ceco Jan Mukafovsky e ora molto utilmente tradotto e pubblicato nelle edizioni del Centro Internazionale di Studi Estetici «A quoi sert cela A un jeu.» adicale e inaspettata suona la conclusione di Mal- R larmé, posta a siglare una pagina della Musique et /es lettres in cui si discorre di lettura come di «une pratique désespérée», oltre che di percezione impossibile dell'oggetto, enigmatico,· sfuggente, irriducibile all'altra pratica disperata, quella della scrittura («A l'égal de créer: la notion d'un objet, échappant, qui fait défaut»). Di disperazione in disperazione, si potrebbe azzardare il prolungarsi della catena sino alla terza pratica, per natura sottoposta a glissements e soluzioni evasive: il tradurre. Il cerchio sarebbe chiuso sul labirintico e manierato spazio dei riCfr Recensioni di ninedito ukafovs V diretto a Palermo da Luigi Russo, dove per l'appunto il filosofo ceco cerca di precisare un suo concetto di «processo motorio» attraverso una serie di considerazioni che, in parte almeno, si possono far rientrare nel principio che ho sopra esposto anche se, in questo caso, sono ristretti al solo linguaggio poetico e non, come nella mia ipotesi, a tutta la specifica qualità «oratoria» d'ogni singolo idioma. Mukafovsky - (non ho bisogno di rammentarlo: uno dei più geniali filosofi dell'arte del nostro secolo, uno dei fondatori del Circolo di Praga, e uno dei propugnatori di quel rapporto tra segno e significato che solo in seguito è stato da lui precisato in quella che è la sua opera più impegnativa, La funzione estetica, la norma e il valore come fatti sociali, del 1936) - scriveva il suo saggio in un periodo in cui era molto attuale il discorso attorno alla poesia pura dell' Abate Bremond. Quell'abate Bremond, che, nella sua prefazione agli Entretiens avec P. Valéry di Lefèvre e nella sua Poesie pure giungeva ad affermare: «Per la comprensione d'un testo poetico non è neppure sempre necessario cogliere il senso»; per cui la poesia consisterebbe soprattutto nella forma, nel suono, nella «musica delle parole». Mukafovsky non accetta, ovviamente, tali postulati bremondiani perché non ammette la «esclusione dalla poesia degli aspetti relativi al contenuto», ma sostituisce e completa il concetto di «poesia pura» ipotizzando la presenza d'una «corrente», d'un «movimento uniGillo Dorfles direzionale» (jednosmerny pohyb) che si appoggia su tutti gli elementi del testo poetico; che è quindi l' «espressione d'un certo movimento unidirezionale nella mente del poeta». E questo «processo motorio» è sostenuto da tutte le componenti dell'opera poetica: suono, forma grammaticale e stilistica, rappresentazione, sentimento, ecc. «L'essenza della poesia, perciò, non è costituita né dalla forma né dal contenuto, ma consiste in una corrente motoria di cui sono 'conduttori' sia il contenuto che la forma.» Sarebbe impresa ardua e anche superflua, voler riproporre qui le alterne fasi dei rapporti tra suono e significato, tra forma e contenuto, e soprattutto la questione di quanto importi, per la comprensione e la valutazione d'una poesia la corrispondenza tra questi due valori. Da Breton ai New Critics, da Susanne Langer a de Man, la dialettica tra assertori della semanticità o della «foneticità» d'un verso non è mai cessata, e - come ci suggerisce molto bene Pietro Montani, nell'introduzione a questo saggio - anche per Mukafovsky possiamo individuare una prima fase più vicina ai postulati della poesia pura e una successiva più decisamente semiotico-semantica. Senza comunque dimenticare che, a mio avviso, una cosa è certa: chi legga i molti esempi di versi cechi citati e analizzati da Mukafovsky a sostegno della sua teoria (anche con la minima conoscenza che ho di questa lingua) rimane subito colpito dall'efficacia di tali esempi; ma chi li legga tradotti, Recensioni perde non solo parzialmente ma totalmente il filo del ragionamento; o meglio vede scorrere integro questo filo, ma non avverte nessuna «vibrazione interna» che corrisponda a una propria Einfuhlung, a una propria partecipazione empatetica a tale «processo motorio». Che poi il processo motorio così definito da Mukafovsky sia precisato in maniera piuttosto incerta mi pare abbastanza evidente. Non basta, cioè, affermare che «la corrente sonora [... ] non è un aspetto accidentale dell'opera poetica, ma una sua componente essenziale». Quando l'estetologo parla d'un'onda motoria dove l'innalzamento o l'abbassamento delle parole; la pronuncia più o meno amalgamata delle sillabe d'una frase, costituiscono la base dell'efficacia poetica del verso, certamente è nel giusto, e credo che in ogni lingua - valendosi naturalmente di quelle che sono le peculiarità della stessa - si possano ottenere analoghi (non identici) effetti poetici: sarà la presenza di vocali lunghe e brevi· come nel cecoslovacco (e nello svedese); la presenza di parole tronche come nel francese, di vocali semimute come in francese e in catalano; della costante presenza di parole terminanti per vocale come in italiano e in giapponese, ecc.; ma soprattutto sarà quella particolàre «cantilena interpuntativa» alla quale accennavo, che non è esclusiva del linguaggio poetico, ma che lo è d'ogni lingua e d'ogni sua maniera d'essere pronunciata anche nella grande varietà delle pronunce dialettali che spesso ne coabidiSi • • a specchiamenti: chi scrive traduce il silenzio che preesiste al suono, e traduce - alla pari di chi legge - il proprio tempo nel tempo della pagina. Chi traduce si misura così di necessità con un'attività esponenziale, dovendo comunque tradurre una traduzione. Se le cose stanno così, e non potrebbero stare diversamente, il compito del filologo, al di là delle convenzioni e convinzioni, si rivela complesso e precario, specie se il campo d'azione perimetra il territorio della poesia, per suo statuto intraducibile. Meno cauti dei filologi, o più avventurosi, i poeti amano il gioco: e può capitare che rispondano numerosi al richiamo di una iniziativa singolare, quella di trasferire in versi italiani una raccolta di liriche di quattordici Niva Lorenzini autori arabo-siculi, con tutto il margine di rischio e infedeltà che l'operazione comporta. Ma qui sta il punto, o il segreto e sottile fascino del libro che Anceschi, appassionato prefatore, giudica «nuovo, sorprendente, inatteso». A tenerla tra le mani, questa antologia di Poeti arabi di Sicilia appare un oggetto raffinato,_ che la scrittura araba arreda di delicate sinuosità grafiche. Certo l'arredo avrebbe potuto utilmente convivere con una trascrizione fonetica, ad agevolare il raffronto testuale. E tuttavia un più ampio apparato non avrebbe modificato più di tanto il senso complessivo dell'operazione, che offre stratificate e plurime possibilità di decodifica. Da una parte, lontana e difficilmente raggiungibile, sta la fisicità di una struttura verbale di cui tutto resta ignoto, dagli schemi ritmico sintattici ai rimandi fonico simbolici alla tessitura metaforica delle immagini. Con puntigliosa documentazione Francesca Maria Corrao ne fornisce la mappa, illuminandoci sulla complessità semantica e sulla dovizia di invenzioni retoriche di una poesia fiorita tra l'XI e il XII secolo in Sicilia, fitta di tropi e preziosismi linguistici, di un culto sacrale della forza della parola e di un'acuta tensione verso il particolare, tra allitterazioni e antitesi, tonalità intime e vibranti resoconti di gesta eroiche, guerre e conviti, abbandoni e desertiche lontananze. Le forme, quindi, di un sentire che raramente si discosta dal fenomenico, affascinato com'è dalle metafore della Alf abeta I 04 stituiscono un arricchimento e non solo un deterioramento. Per questo mi sembra molto limitativo discorrere di «corrente motoria» perché, non tanto di moto si tratta, quanto dell'insieme di movimento e pausa, di alti e bassi, di scansioni della parola, che difettano d'una impossibile trascrizione semantica e diacritica che ne indichi il percorso e ne precisi gli accenti. Il «processo motorio» individuato da Mukafovsky, insomma, certamente esiste, e meritava conto di «resuscitare» un saggio giovanile come questo, dove già si intravvedono le sottigliezze del ragionamento analitico del suo autore; ma il principio d'un processo motorio non basta ancora a spiegare il perché della impalpabile efficacia d'un verso. È per questo che vorrei ribadire come, lasciando da parte il problema, ormai annoso, della corrispondenza o meno tra suono e significato, tra struttura superficiale e profonda, quello che, in definitiva, costituisce la vera «essenza» della «poeticità» d'una composizione letteraria è proprio l'insieme di ritmi e cantilene, di pause e di movimenti (ovviamente latori d'un imprescindibile valore semantico) che, in mancanza di meglio, credo di poter definire come «interpunzione» o «punteggiatura» d'un determinato brano, - parlato o scritto - in una determinata lingua. Jan Mukafovsky Il processo motorio in poesia Palermo, Centro Internazionale di Studi estetici, 1987 pp.62, s.i.p. filosofia naturale; e insieme i moduli di quello squisito manierismo che tra operazioni simmetriche e ripetizioni la nostra poesia delle origini acquisirà in larga parte e che resterà nei secoli, patrimonio cui attingere ogni volta che ci si torna a interrogare sulla possibilità stessa della poesia. Di fronte a questa riserva di immagini, a ·questa tipologia dei sentimenti universali (la morte, la perdita, l'amore, l'ossimorico contrasto giovinezza-canizie, notte-alba, acqua-fiamma, sasso-sabbia, la parcellizzata poetica dello sguardo, dell'occhio, della pupilla) che lascia tuttavia intuire situazioni definite, vicende specificamente connotabili, il poeta contemporaneo è messo alla prova. Alla prova, intendo dire, del tem-
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