pagina 10 e , è qualcosa nell'andamento dei premi letterari in Italia che sfugge in modo anguillare ai soliti esami socioculturali del fenomeno; si parla spesso del potere dell'industria culturale, che imporrebbe le sue scelte, della difficoltà che una giuria allargata raggiunga il livello giusto di responsabilità critica e via dicendo. Nel n. 101 di «Alfabeta» sono presi in considerazione addirittura 19 punti, su cui sarebbe, a parer nostro, desiderabile una seria discussione, non generica, ma basata su dati, situazioni e nomi precisi. . Solo così si agisce concretamente. Si vuole qui mettere in luce con un esempio concreto il punto 6, in cui si legge che «i premi necessariamente eliminano i libri di conflitto, i libri di rottura, e fanno passare i 'valori' medi». Orbene, anche se qualcuno obietterà che a volte viene premiato un libro di rilievo letterario, resta un fatto che merita attenzione: alcuni libri di pari rilievo sono sistematicamente messi al bando. È il caso di Gli invisibili di Nanni Balestrini. Si penserà che l'autore vive in Francia e di Roma, 25 novembre 1987 Cara Alfabeta, la recensione di Giancarlo Ferretti a C'è un testo in questa classe? di Stanley Fish - e quella di Cesare Segre allo stesso volumetto, apparsa su «L'Indice» - stimolano improvvisamente alcune curiosità. Fino a che punto i lettori italiani percepiscono (come i giovani utenti americani) che il titolo /s There a Text in This Class? è una variazione-ammicco su infinite barzellette e vignette familiari apparse per decenni in «Esquire» e nel «New Yorker» intorno all'annuncio con l'altoparlante «Is There a Doctor in the House?» (c'è un dottore in ' sala?), così frequente nei teatri americani quando qualcuno si sente male durante lo spettacolo? Nei cabaret, è un famoso tormentone. E siccome «House» è anche il Congresso, la battuta fu a lungo un classico dell'oratoria parlamentare, com·e da noi, a Montecitorio, «Se ci sei, batti un colpo!» detto dall'Opposizione al Governo. A più voci Taccuini forse non si è interessato ai premi. Sappiamo con certezza che la casa editrice Bombiani ha fatto concorrere l'opera a svariati premi, in due dei quali chi scrive qui è membro della giuria: il Treviso-Comisso e il Gandovere. Per esperienza diretta possiamo dire che il libro è unanimemente apprezzato, ma al momento delle decisioni chi continua a sostenerlo si trova in deludente minoranza. Che cosa si è mosso? È l'inconscio degli intellettuali membri della giuria, meno di sinistra del loro conscio? È il fantasma di un momento storico eversivo, finito nell'oblio e che si ha paura di risvegliare nella memoria collettiva? O è, più rozzamente, un non richiesto ossequio a qualche sponsor del premio e alle sue idee politiche, al suo partito? Forse un insieme di concause. Due parole sul libro in questione, anche per dare concretezza al nostro discorso: l'opera Gli invisibili di Nanni Balestrini è un chiaro segno della maturità dello scrittore, sicché ha quasi un valore di bilancio non solo esistenziale, ma artistico. Nell'atto stesso in cui si presenta come sofferta e acuta denuncia della sconfitta di un movimento eversivo e dei suoi ideali, è la trasfigurazione lirica di questa sconfitta. Balestrini ha avuto la luminosa idea di scrivere una sorta di cantare novecentesco, in cui racconta attraverso una lunga catena di lasse narrative una appassionata lotta politica sfociata nello scontro armato e nel conseguente carcere a vita. Di lasse narrativa già aveva parlato Mario Spinella, recensendo su «Rinascita» nel 1971 il romanzo di Balestrini Vogliamo tutto. Ma quanto cammino ha fatto presso lo scrittore la lassa narrativa dal romanzo del 1971 a Gli invisibili: è diventata oralità stilistica, forma moderna del cantare, donde la mancanza di punteggiatura, che non solo non disturba; ma dà un particolarissimo ritmo alla lettura. Siamo di fronte a una sorta di epica moderna, dove i protagonisti non muoiono da eroi, come di consueto nell'epica, ma hanno il tragico destino finale di essere dimenticati dalla società, di diventare invisibili. Taccuini nalettera Alf abeta 104 I Se nella prima parte il libro ha qualche pagina di cronaca del Movimento vagamente pedagogica e tale da rievocare o il neorealismo o la liricità di Vittorini, nella seconda parte, dedicata al dramma del crollo di un ideale e alla conseguente tragica esperienza carceraria, lo scrittore ha un vero colpo d'ala e raggiunge così l'aria pura dell'epica. Balestrini persiste, come in ogni sua opera, in un suo originale messaggio di denuncia; eccolo: in un'epoca come la nostra, dominata dal brusio dei mass media e dalla pubblicità ancora più rumorosa, quante cose che hanno contato sono ora ignorate o dimenticate, quanti destini tragici diventano invisibili. L'opera si chiude con la splendida immagine dei lumini accesi dagli ergastolani alle sbarre esterne del penitenziario, affinché almeno chi passa lontano, sull'autostrada, possa per un attimo vederli e meditarci sopra. Ma ci si può sperare? Eccoci ancora alla domanda di partenza: perché questo libro è costantemente rifiutato? berta basino I valori e i criteri e i limiti di una «comunità interpretativa» non si stanno scorgendo soprattutto alle mostre d'arte, dove passando da una città europea o americana a un'altra le «coordinate» e i «parametri» (tipo di galleria, tipo di invitati, loro abbigliamento e tipo di collezionismo per un certo arredamento, da cui dipende il tipo di consulenti, ecc.) contano molto profondamente nel giudizio dell'importanza accordata all'artista, e pesano sulla valutazione dell'opera, con effetti recensori e conseguenze di mercato più rilevanti che nel caso di un testo letterario del passato esaminato in classe? Nel caso delle «masse mute», già ravvisate e riverite quali portatrici e depositarie di valori autentici per lo più incorrotti, nella «centralità» della loro risaia. o della loro catena di montaggio, l'intellettuale usava «recarvisi a scuola», quando si era tutti più spensierati e più giovani. Si fa ancora? (O aveva ragione Pasolini, quandc;>si lamentava «da quando guardano la televisione, non me lo danno più»?) Alberto Arbasino
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