Alfabeta - anno X - n. 104 - gennaio 1988

A più voci La recensione Tradizione del nuovo Cofanetti, Vergine Taccuini Rovatti, Corti, Lepschy, Barilli, Arbasino Le scelte del rock Saggi Fachinelli Cfr Pacchetti di Alfabeta Sul degrado amencano Collassare Castelli Gattinara Classifiche Evidenzia tor e Da Vienna Recensioni Mostre a Los Angeles Lapolizia· del~nsiero Lyotara-Rogozinski Nuova serie Gennaio 1988 Numero 104 I Anno 10 Lire 6.000 Edizioni Caposile s.r.l. Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo III/70 • Printed in ltaly Prove d'artista Luigi Malerba Leonetti-Werner

pagina 2 I l repertorio di oggetti culinari che Alfabeta presenta in questo numero costituisce uno dei primi esempi di immagine coordinata (dall'architettura e la disposizione degli spazi alpiù piccolo e insignificante utensile) dove l'autore, un grande cuoco dell'Alto Rinascimento, tenta di codificare l'organizzazione e la ritualità alimenta- ,:e, all'interno di quello straordinariopalcoscenico che era la cortepapale. Le 28 tavole, siamo nel 1570, sono il risultato di un sapere materiale di decenni di lavoro dello Scappi, sempre al servizio della Chiesa di Roma, fino a diventare, come è scritto nel frontespizio dello stesso libro, cuoco segreto di Papa Pio V. Unagrande autoritàha sempre bisogno di una regiaper presentarsi ai propri sottomessi,-alle altre autorità: il cibo e la sua ritualità fanno parte di questa strategia, è il momento della convivialità ad esaltare i ruoli, la cultura, l'educazione e quindi l'estrazione sociale dell'invitato. Il libro dello Scappi, pubblicato con grande successo nel 1570 dal tipografo veneziano Michele Tramezzino, contiene oltre mille ricette, divise in sei capitoli che toccano tutti i problemi della cultura materiale, da alcune considerazioni di tipo filosofico che l'autore fa con il proprio allievo Giovanni, fino ai consigli culinari per convalescenti ed infermi, non dimenticando che i suoi convitati sono sempre stati cardinali e papi, quindi persone di una certa età. Bartolomeo Scappi prima di illustrare visivamente la sua competenza, descrive minuziosamente i materiali, le azioni, gli spazi e tempi del consumo alimentare, le qualità delle materie prime, ma anche tutti quei gesti in grado di ricondurre ogni minimo segno a una regia complessiva, ad un'identità coerente e coordinata. Il suo è un sistema attraverso il quale il potere si comunica in quanto potere, anche quando sembra guardare soltanto al proprio privato. Come scrive Giancarlo Roversi nel/' introduzione alla copia anastatica, edita da Arnaldo Forni, «lo Scappi si sofferma sui principi generali dell'arte culinaria, sulle carni, il pollame, ipesci, lepaste, i cibi per i giorni di grasso e di magro, nonché sulle vivande per malati e convalescenti; il testo rivela anche la sua predilezione per le marinate e per i cibi stufati e cotti a bagnomaria nonché per lepaste, di cui offre duecento differenti versioni, ivi compreso uno dei più antichi esemplari di pastafoglia. Inoltre, primo tra i cuochi europei, si addentra fra i meandri dell'arte araba della pasticceria». Non è un caso che un letterato contemporaneo allo Scappi, Sommario Toni Robertini Le immagini di questo numero Giovanni Paolo Lomazzi, dedicandogli due sonetti, lo definisca uomo «che il secolo nostro adorna e tutto il mondo/tanto dell'arte hai ricercato il fondo». Ecco, Bartolomeo Scappi ricercando il fondo dell'arte della cucina, ha creato un grande manuale, un grande sistema di codificazione dove ogni elemento trova la sua ragion d'essere nell'insieme di tutte le altre funzioni e necessità co111portamentali: le sue tavole descrittive sono analitiche sia nel disegno sia, soprattutto, nella collocazione temporale e spaziale di ogni gesto, di ogni azione, in modo tale che il risultato possa apparire come normalmente naturale, senza cedimenti né rotture linguistiche. Le sei tavole di apertura presentano, progressivamente, dal generale al particolare, i luoghi del lavoro, le cucine, la disposizione degli strumenti, le azioni dei cucinieri, fino ai luoghi freschi dove lavorare il latte, alla cucina per campagna e ai suoi contenitori da viaggio. Ogni oggetto ha una didascalia che spiega sinteticamente l'uso; le tavole sono didascaliche come didascalico deve esseresempre un manuale d'immagine coordinata perché il suo fine è comunicare il segreto della regia e non presentare il risultato finale. Tutte le altre tavole, se escludiamo una doppia pagina dedicata ali'orSaggi ganizzazione alimentare per i cardinali durante il lungo conclave svoltosi dal 29 novembre 1549 al 7 febbraio 1550 da cui uscì eletto il papa Giulio III, descrivono, settore per settore, tutti gli utensili dalle pentole e dai coltelli alla disposizione dei tavoli per organizzare un'immagine coerente della ritualità culinaria. La forma, in questo caso, è manifestazione di capacità professionale e non solo di una necessità cerimoniale; tutte le funzioni sono elencate accanto ali'oggetto corrispondente, il disegno è pulito e chiaro perché queste sono tavole di lavoro e di regia comunicativa. Una regia senza segreti che appare evidente nell'organizzazione unitaria del volume che costituisce, come scrive Emilio Faccio/i nel suo Arte della cucina, «lasintesi di una dottrina accertata dal lavoro di ogni giorno, di un magistero e di un ufficio educativo in termini di esempio». L'esemplarità è un'altra caratteristica fondamentale di un grande sistema, di un manuale che vuole rimanere sia come strumento di lavoro per i contemporanei sia in quanto testimonianza di una cultura materiale circoscritta, da lasciare in eredità non solo simbolica ai posteri. Se noi leggiamo e guardiamo, soprattutto, queste tavole, potremmo ancora oggi riportare alla luce Alfabeta 104 Gennaio 1988 Le scelte del rock pagina 7 Renato Barilli I pacchetti di Alfabeta Sul degrado americano Massimo Cellerino Jean-François Lyotard Jacob Rogozinski Alfabeta 104 alcuni saperi culinari che sono rimasti inalterati: la varietà, per esempio, delle pentole e dei coltelli per ogni tipo di cottura e di consistenza del cibo noi la ritroviamo ancora nei grandi saperi alimentari di questo secolo. Difficilmente potremmo invece, oggi, scrivere un libro come questo perché i saperi, le tradizioni, le ritualità del cibo si sono spezzettate in tanti rivoli, quasi atomizzandosi all'interno di ogni casa, anche se rimane sempre sullo sfondo una grande regia che però non ha più un centro, ma più autori, più «creatori». Il tempo di una rigorosa immagine coordinata, anche nel campo della cultura alimentare, è finito; il sistema è da ricercare nell'apparente disorganicitq del- ['offerta dellemerci. Bartolomeo Scappi ci ha lasciato una testimonianza, diretta e praticata, di che cosa significava corporate image nell'Alto Rinascimento: il controllo dellefunzioni e dei gesti sono il segno di una storia che possedeva ancora un centro, intorno al quale il mondo delle relazioni sociali ruotava. Ogni sistema è il risultato di una codificazione che, contemporaneamente, deve essere rispettata ma anche tradita, perché solo così la storia - degli oggetti e delle idee- può crescere. Edizioni Caposile s.r. I. Aldo Colonetti L'autore di un saggio su Kafka pagina 9 Maria Corti Sul punto 6 dei premi letterari pagina 10 Eric Hirsch e Allan Bloom (Cultura/ Literacy, di E. Hirsch; The C/osing of the American Mind, di A. Bloom) La polizia del pensiero pagine 25-27 Elvio Fachinelli Lacan e la Cosa Mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico Luigi Ferrari Pubbliche relazioni: A più voci La recensione pagine 3-4 Giulio Lepschy Il perché pagina 4 Pier Aldo Rovatti Numeri pagina 4 Lea Vergine La polemica artistica non c'è più pagina 5 Aldo Colonetti L'etica dell'estetica pa_gine5-6 Michele Prandi La Valtellina, etica e informazione pagine 6-7 Avviso ai collaboratori Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) gli articoli non devono superare i limiti di lunghezza indicati per le singole sezioni (3-4 cartelle per A più voci; 5 cartelle per / pacchetti di Alfabeta; 2-3 cartelle per Cfr; 10-15 · cartelle per Saggi; le cartelle si intendono da 2000 battute) in caso contrario saremo costretti a proceUna lettera di Alberto Arbasino pagina 10 Cfr Gilio Dorfles Un inedito di Mukafovsky pagina 12 Niva Lorenzini Arabi di Sicilia pagine 12-13 Graziella Berto Trame della speranza pagine 13-14 Luciano Vitacolonna Un poeta swahili pagina 14 Anna Maria Catalucci I mari di Lalla Romano pagina 15 Paolo Valesio A proposito di Gilberto Finzi pagina 15 dere a tagli; b) gli articoli delle sezioni recensive devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: autore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) tutti gli articoli devono essere inviati in triplice copia ed è richiesta l'indicazione del domiçilio del collapagina 17 Intervista a Stanley Roseo A cura di Massimo Cellerino pagine 17-18 Robina Giorgi Collassare a Los Angeles (L'America, di J. Baudrillard; Fosfeni, di A. Zanzotto; Lento ritorno a casa, di P. Handke) pagina 19 Cfr Cfr/da Vienna pagina 20 evidenziatore pagine 21-22 La classifica di Antonio Porta Carlo Formenti Giovanni Raboni Giuseppe Pontiggia pagina 21 .. Cfr/11lavoro delle riviste pagina 23 Cfr/Altri libri pagine 23-24 Cfr/Mostre pagina 24 boratore. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per «Alfabeta» è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il Jetpagine 29-30 Enrico Castelli Gattinara La cosa nascosta pagine 31-34 Prove d'artista Luigi Malerba Il pianeta azzurro pagine 35-37 Francesco Leonetti Bettina Werner I biformi (letterari-grafici) pagine 38-39 Le immagini di questo numero Un grande regista della cucina: Bartolomeo Scappi di Aldo Colonetti In copertina disegno di Andrea Pedrazzini tore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono, «Alfabeta» respinge lettere e pacchi inviati per corriere, salvo che non siano espressamente richiesti con tale urgenza dalla direzione. Il Comitato direttivo Direzione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella Paolo Volponi Redazione: Aldo Colonetti, Alessandro Dal Lago, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti Art direction e produzione: Gianni Sassi Cooperativa Nuova Intrapresa Grafica: Ancilla Tagliaferri Antonella Baccarin Editing: Studio Asterisco Luisa Cortese Alfabeta servizio abbonati Con nostro estremo rincrescimento, siamo tenuti ad informarvi che per gravi disservizi postali, le copie di «Alfabeta» 100 e 101, consegnate da noi regolarmente rispettivamente in data 15 settembre e 18 ottobre, non sono ancora pervenute agli abbonati. In data 9 noMonica Palla Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Stem S.r.l. 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Alfabeta 104 A più voci Taccuini La recensione 1. La recensione, antico strumento della critica giornalistica, è nella maggior parte dei casi diventata più giornalistica e meno critica. Ma neppure troppo giornalistica, almeno nel senso tradizionale del termine, dal momento che è anche scarsamente informativa, dal momento che non informa compiutamente il lettore del contenuto di un libro (gli «ultimi» recensori si dimenticano spesso di riassumere concisamente le trame dei romanzi e non riferiscono di parti essenziali di libri che si raccomandano proprio per le caratteristiche omesse da chi ne parla al pubblico). 2. Dice una bellissima poesia di Montale. Locuta Lutetia (1977): Se il mondo va alla malora I non è solo colpa degli uomini I Così diceva una svampita I pipando una granita col chalumeau I al Café de Paris; se il sistema delle recensioni funziona così male non è tutta colpa dei recensori. Il sistema della critica giornalistica è stato attaccato e eroso dall'effetto annuncio, che viene applicato dal marketing e che si sospetta sia una bella invenzione dei policy makers ( o viceversa, i policy makers l'hanno imparato dal marketing). Quando un libro viene «lanciato» i giochi devono essere fatti, e occorre evitare che intervengano disturbatori della quiete del mercato a manomettere i binari dell'imbonimento di massa. Anche nel caso in cui un critico e recensore riesca a prendere co- ~·-. '. ;Vi--'.. munque la parola, questa suonerà stonata e insignificante o non verrà nemmeno udita, sommersa dal boato del «lancio». 3. Notizie su «lanci» falliti se ne hanno invece pochissime e sarebbe invece auspic_abileaverne e dibatterne pubblicamente, ma i recensori «puri» sono restii a «sporcarsi le mani» con cifre e dati. 4. La stampa quotidiana, che ha imparato dai politici e dal marketing quanto rende l'effetto annuncio, favorisce il lancio; ecco moltiplicarsi con naturalezza i capolavori annunciati, i libri dell'anno, gli eventi del secolo ... Alle scomode e magari un po' oscure opinioni dei recensori il giornale preferisce l'intervista all'autore, la cronaca di una presentazione, le due chiacchiere col celebre scrittore di passaggio nella città (ovviamente ci è arrivato a spese dell'editore). Nella maggior parte dei casi una volta che se ne è parlato, di un libro, vale la regola che non si può più ritornarci sopra: premono alle porte altre mille finte notizie. 5. Di recente un recensore molto attivo ha confessato in pubblico che il sistema prevede altri ostacoli e metodi di deragliamento: il recensore che osa essere ancora un po' critico trova la strada sbarrata, nel giornale, da un «già richiesto e assegnato». «Basta dunque manovrare le assegnazioni, ha detto il recensore qui tirato in ballo, e il gioco della critica darà i risultati previsti.» Meglio allora il metodo del «scelto da», Ordineche li tienein Scdi1Vaeantt, a (cruire gli ll!uflrifs.&Keocrcn~ifsC. a_rdinaalil,Conc~- ue, ~ì diTauola,Joueh Scalchi prtfcntano le ,1- , 11 andc ddli RcucrcndifsA. llircuc:ditori. L ... più trasparente. Nel «scelto da» il recensore gioca la carta delle sue preferenze ed è già una buona indicazione per i lettori. 6. D'altra parte, si obietterà, gli uomini del marketing hanno ragione ad avere una certa fretta: se un libro non si muove nelle prime due o tre settimane viene tolto dal banco e prematuramente sepolto nell'area riservata al cimitero del mercato. Ma qui, ancora una volta, è il lettore che interviene a far dispetti: se il capolavoro annunciato non convince resta comunque fermo. È però altrettanto vero che il capolavoro annunciato, pur fallendo gli obiettivi di vendita, morirà sempre qualche settimana dopo gli altri, tenuto in vita artificialmente dalle macchine potenti della grande distribuzione. Il cadavere riesce così a fare qualche altro passo prima di schiantarsi al suolo. 7. A volte sono gli stessi recensori che si tagliano l'erba sotto i piedi, quando approfittano del prezioso spazio concesso per raccontarci che il tal narratore ha i capelli biondi e che assomiglia al protagonista del suo ultimo romanzo, oppure ci rassicurano sul fatto che hanno davvero letto l'opera dello scrittore o del poeta di cui sta_nnoparlando e invece di parlarci dell'opera messa in campo (recensori o) tengono a farci conoscere gratuite, immotivate opinioni di carattere generale; altri inseriscono nella recensione i famosi «consigli» all'autore, quasi fossero convinti che sarà lui l'unico l pagina 31 lettore interessato. Il lettore di un quotidiano non sa che farsene dei consigli all'autore, e pensa che siano un'ovvia formula retorica per avanzare delle riserve gravi. Non potrebbe il recensore scrivere una bella lettera, pensa il lettore, se proprio ci tiene, all'autore bisognoso dei suoi consigli e dire con chiarezza sul giornale che cosa va e che cosa non va, a parere suo, di un certo libro? Altra formula retorica che infastidisce il lettore di quotidiani è l'interrogativo che riguarda il futuro di uno scrittore o di un poeta: sì, tutto bene, ma qui siamo arrivati el limite, e dopo che cosa potrà dire ancora? Ma come, pensa il solito lettore, se il recensore lo liquida così, in extremis, questo povero scrittore, costringendolo in abiti privi di futuro, perché non lo ha liquidato subito, invece di lanciare un ultimo sasso e nascondere la manina? Poiché queste formule retoriche (consigli e ipoteche sul futuro) vengono m,ate da decenni, e da recensori di generazioni diverse, il lettore si convince che i direttori dei giornali hanno avuto, in certi çasi, o troppa pazienza o troppo poco interesse, e hanno sprecato spazio. Gioco facile, in questi casi, quello del marketing, che propone «notizie» e interviste: almeno ci si diverte. 8. Ma come definire quell'effetto annuncio di cui al punto 2.? Si tratta di dare come vere decisioni che nessuno ha intenzione di prendere; oppure di dare come prese deci-

I pagina 4 ______ sioni ancora in forse, per sondare le reazioni. Si spacciano, in sostanza, fantasmi per fatti reali. Anche quando l'effetto annuncio non prende il posto della recensione critica e •quest'ultima riesce a sopravvivere, come non leggervi l'influenza degli effetti annuncio, come benevolenza indotta o anche come irritazione? 9. Un recensore stimabile ha scritto di recente che in giro si sente un «inspiegabile odore di marcio, che nessuno sa da dove N ella «Repubblica» del 18 agosto, Luigi Malerba deplora, giustamente, la negligenza con cui a volte sono prodotti i libri, e parla degli errori di stampa, soffermandosi sui perchè con l'accento grave. L'esempio può aver lasciato perplesso qualche lettore. In che senso si tratterebbe di un errore di stampa? La questione è più complessa di quanto possa apparire a prima vista, e merita forse un chiarimento, anche se è difficile essere precisi in mancanza di una storia della punteggiatura e delle abitudini grafiche italiane. Trascuro, ovviamente, i numerosi (anche recenti) falliti tentativi di riforma ortografica, generalmente fondati su anacronistiche basi puristiche. Fino a non molti decenni fa prevaleva l'uso dell'accento grave in tutte le parole che, in italiano, tradizionalmente, portano un accento scritto. Si è poi introdotto, ed è stato adottato largamente, l'uso di mettere il grave sulle e aperte (come in è, caffè) e P er chi ha tempo e voglia i grandi settimanali di opinione, penso a «L'Espresso» e a «Panorama», offrono ormai da anni l'opportunità di un gioco di attenzione comparativa. Bisogna avere il tempo di leggerseli entrambi e poi la voglia di inseguire una specie di dialogo interno, fatto di anticipazioni e rincorse. Il gioco consiste non tanto nell'interessarsi ai contenuti dei pezzi o nell'acquisire informazioni, ma nel mettersi in condizione di vedere e dunque di assistere alla gara settimanale che i due periodici, eguali di formato e a volte con la stessa copertina, più o meno sottilmente ingaggiano tra loro, cercando di salvaguardare le differenze ma al tempo stesso mirando ad occupare lo spazio dell'altro e a precederne le iniziative. Così, potremo trovarci in mano due agendine-regalo pressoché identiche (e chiederci il perché di questo), oppure prendere un punto di riferimento, per esempio le rubriche culturali, e vedere all'opera una microfisica dell'innovazione, tanto più interessante quanto più il modello è chiuso e sembra lasciare scarsissimi margini alla novità. Lunghezza dell'articolo, linguaggio, posizione (all'inizio, al centro, alla fine), titolarità della rubrica o apparente distacco («scelto da»), uso dell'immagine illustrativa, ecc., saranno - per chi fa questo gioco - ovviamente più importanti del libro recensito o del giudizio critico espresso. In realtà; i settimanali ora in lizza sono A più voci viene, e che non si riesce a mandare via». Ecco, abbiamo scoperto che i fantasmi messi in giro da un sistema che predilige le I notizie false, perché vendono di più, possono puzzare. E puzzano quando sono indossati come abiti da società. L'eventuale «puzza» delle recensioni viene facilmente assorbita dal cattivo odore generale. Quindi non solo si sospetta qualcosa ma ormai lo si sa e c''è di buono che ormai lo sanno in molti. 10. Tra i consigli che a volte i recensori danno agli autori c'è quello, il più notevole come spia di una situazione, di cercare di non essere troppo intelligenti. Dal consiglio, a volte, si passa al rammarico: «Peccato che sia troppo intelligente», si scrive di un certo poeta. Sembra, dunque, che alcuni recensori abbiano un'idea dello scrittore, o del poeta, come minus habens e che sia questa la condizione necessaria alla sua sopravvivenza e accettazione nella società. Guai se qualcuno osa proclamarsi «persona politica». Cala il silenzio dei recensori. Taccuini l'acuto sulle e chiuse (come in perché, poiché). La distinzione non si usa per le altre vocali: la o finale accentata è sempre aperta in italiano (andò, oblò) e per a, i, u non si ha opposizione di timbro aperto e chiuso; si usa normalmente il grave su tutte e tre le vocali ( bontà, partì, più), ma alcuni preferiscono l'acuto su i e u in quanto queste vocali sono chiuse (parti, piu). Ora, la distinzione fra accento acuto sulla e chiusa (perché) e grave sulla e aperta (caffè) ha senso solo in un sistema in cui si miri a registrare (e a voler diffondere e imporre) una particolare pronuncia come modello - normalmente si tratta della pronuncia fiorentina. Se lo scopo non è quello di indurre a pronunciare perché con la e chiusa, allora diventa una complicazione veramente inutile, poniamo, per un lombardo, continuare a pronunciare la stessa e aperta in caffè e perché, ma dover imparare a scrivere la prima parola con l'accento grave e la seconda con l'accento acuto. Se lo scopo è invece quello di diffondere la pronuncia fiorentina, allora bisogna farlo coerentemente, enunciando le e e le o aperte e chiuse secondo tale pronuncia, in •tutte le parole in cui si presentano: quindi e chiusa non soltanto in perché, ma anche in tre, me, te; e aperta in dieci e cento; o chiusa in quattordici e corridoio; o aperta in costo e devoto; e bisogna adottare anche altri tratti della pronuncia fiorentina, come la s sorda (di spina) in cosa, casa, inglese, e la s sonora (di sbatto) in rosa, quasi, francese; la z sorda (di ozio) in zio, zattera, zucchero, e la z sonora (di azoto) in zero, zeta, zona; e il raddoppiamento sintattico per cui si pronuncia una singola t in la terra, di terra, meno terra, e una doppia t in a terra, da terra, più terra, sassi e terra. Che la pronuncia fiorentina diventi nar zionale e venga adottata in tutta Italia è possibile, ma poco probabile. Porsi come scopo la sua diffusione a me pare anacronistico, e poco giustificato storicamente, dato che l'italiano, fissatosi nel Cinquecento coTaccuini Numeri Pier Aldo Rovatti tre. Infatti l'«Europeo», specialmente dopo il suo ultimo rinnovamento, non può più essere lasciato fuori dal gioco. Le rubriche di cultura sono state messe all'inizio (come su «Panorama»), appena dopo l'indice (che invece su «Panorama» viene dopo un bel po'di pagine ed è- non so quanto di proposito - abbastanza introvabile), e vi sono tentativi di sorprendere su questo terreno i due più prestigiosi concorrenti con piccole invenzioni (piccole ma essenziali per il nostro gioco). Chiunque abbia un po' di sensibilità ai mass media può evidentemente divertirsi per conto proprio senza bisogno di altri consigli. Vorrei solo aggiungere che, per parte mia, proprio sull'«Europeo» mi sono imbattuto in una mossa poco prevedibile: non so quanto dia da pensare ma è senz'altro molto curiosa. Girato l'indice, il lettore incontra una pagina strana, intitolata «Numeri», che a prima vista-sembra una pubblicità (ecco en passant un altro gioco: trovare ogni volta i confini tra pagine diciamo «vere» e pagine di pubblicità). Lo sembra a tal punto, nonostante sia tutta scritta e non contenga immagini (ci sono soltanto alcuni segni colorati fatti con un evidenziatore), che molti presumibilmente passano avanti senza leggerla. Chi invece si sofferma scopre che è una rubrica fissa, un po' «demenziale» ma non poi del tutto, che porta una congerie di dati statistici su fenomeni i più diversi, alcuni decisamente futili altri più seri, con tanto di fonti dichiarate, se mai qualcuno volesse andare a controllare. L'effetto è a mio parere divertente perché combina il crescente bisogno di classifiche e di numeri (che nasce dall'idea corrente che in questo modo si afferrano con rigore e senza sforzo pezzi di realtà) con una certa, dosata, irrisione di questa stessa pretesa, realizzata mediante accostamenti biz- ;:arri e proprio perciò comici. Ecco un montaggio esemplificativo (che ricavo dai numeri di novembre e dicembre): «Milioni di lire spesi in pubblicità nel 1983 dal governo degli Stati Uniti: 297.514. Lo stesso anno dalla Coca-Cola: 366.795 I Cittadini di New York morsicati nel 1985 dai topi: 311. Da altri cittadini: 1.519 / Peso medio in grammi del testicolo di un danese: 42. Di un cinese: 19 / Metri quadri di pizza consumati ogni giorno e mezzo negli Stati Uniti: 450.000. Estensione in metri quadri della Città del Vaticano: 440.000 I Vittime tra le forze armate italiane nel periodo 1976-1986per armi da fuoco: 154. Per incidenti d'auto: 1802 / Minuti di lavoro necessario a un operaio americano per comprarsi un pompelmo: 6. A un operaio sovietico: 112 / Percentuale di americani che acquistano scarpe da jogging ma non corrono: 49 / Percentuale di francesi secondo i quali il sole gira attorno alla terra: 25». Ogni volta l'elenco è lungo e ciò ne aumenta l'alone di insensatezza. Non è dunque solo un «Lo sapevate?» stile settimana Che cosa ne può pensare il lettore di quotidiani? Che deve leggere solo i libri di scrittori e poeti un po' scemi? Che deve diventare «scemo» come loro? E come mai certi scrittori e poeti Stanno al gioco e proclamano di non saper nulla, di non leggere quasi nulla, ecc.? Forse perché così possono essere venduti meglio? Ambiscono a posizioni da clown nel circo sQciale? Ma attenzione, i clown e i buffoni di corte avevano pure del veleno nella coda a pungiglione. *** me lingua scritta basata sul fiorentino trecentesco, si è consolidato, in epoca più recente, come lingua parlata con pronunce locali che oggi coesistono e sono del tutto legittime. La pronuncia settentrionale di vado a casa, con una singola ce con s sonora, non si può certo considerare meno corretta di quella fiorentina con doppia ce con s sorda. L'uso tradizionale dell'accento grave su tutte le vocali che richiedono un accento nella scrittura appare per molti aspetti preferibile a un sistema che distingue (ma solo per le sillabe finali açcentate) e aperte e chiuse secondo una particolare pronuncia locale (quella fiorentina). Solo all'interno di quest'ultimo sistema, che appare poco coerente in un contesto di scrittura e pronuncia italiana piuttosto che fiorentina, si potrà considerare perchè come un errore di stampa.~ enigmistica. C'è forse addirittura una strizzata d'occhio agli elenchi immaginari alla' Borges (gli animali si dividono in «a. appartenenti all'imperatore, b. imbalsamati, c. ammaestrati, d. lattonzoli, e. sirene, f. favolosi, g. cani randagi, h. inclusi in questa classificazione, i. che si agitano, j. innumerevoli, k. disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, I. eccetera, m. che hanno rotto il vaso, n. che da lontano sembrano mosche»). Ma la differenza è data dai numeri. Grandi, piccoli, in percentuale, i numeri svaniscono comunque in un attimo, non senza però aver concesso per quell'attimo al lettore una parvenza di verità. E qual è di settimana in settimana la novità, l'attualità di questi numeri? Nessuna, perché è solo un gioco combinatorio volutamente eguale a se stesso. La vignetta di Altan, nell'ultima pagina di «Panorama», o quella di Pericoli all'inizio dell'«Espresso», sono un medesimo tipo di disegno applicato ad una cronaca in sviluppo. Qui invece si allineano esclusivamente dei numeri e il lettore del futuro che leggesse solo questa rubrica non riuscirebbe a stabilire un ordine e una sequenza. Mi chiedo se questo elemento volutamente assente non costituisca proprio la chiave della trovata, che dà un certo fascino a questa pagina e la solleva, per dir così, all'altezza dei tempi.

I Alfabeta 104 L a polemica artistica non c'è più, così come non c'è più un panorama contraddittorio non dico di ricerche ma di proposte. Quella che una volta si indicava col termine di controcultura è ormai solo un ricordo e, per alcuni, un rimorso o una nostalgia. Si è tornati al personaggio io, tutto fervore solipsistico che dieci anni fa sarebbe stato letto come un delitto di leso progressismo. In realtà tutti vogliono salvarsi l'anima e la pelle. L'assenza di tensioni e di conflitti, la diffusa scontentezza, il disagio del presente al presente, il crepuscolarismo lamentoso e piccolo borghese, la regressione sterile sono il risultato della caduta del progetto, del progetto degradato ad utopia fuori moda. La componente del far arte contemporaneo che ha caratterizzato gli anni ottanta è stata, e continua ad essere, l'incapacità di una visione del futuro o, se si vuole, la visione del futuro come perdita, quella che Ludwig Binswanger avrebbe indicato come una vera e propria prospezione malinconica. Non siamo in un momento di grande confusione, come si sente dire spesso, no, siamo in un momento di qualunquismo organizzato, di omogenizzazione delle emozioni, di pastorizzazione della cultura, di modelli fortemente televisivi. Siamo alla fine del secolo e, come è accaduto sovente in altre fins de siècle, anche noi attraversiamo il manierismo, il riflusso, l'elusione dei problemi, il rifiuto del progetto, l'affettuosa assistenza di noi a noi stessi, piccole A più voci Temi. Tradizione del nuovo Lea Vergine ... #M' (!!: 'tifr Il J) _3_"_hrf% ' ~ _:-,5) '<..:::~ .... il) infelicità senza dèsideri. Pratichiamo tutte le strategie della sopravvivenza nel deficit generale, nella caduta di un Interesse, di un'Ideologia, di una Speranza Progettuale. Quindici anni fa arte come difesa e, oggi, arte come auto-terapia. Quel che è più grottesco, nelle arti visive, è l'uso di modelli trascorsi; l'astratto-informale degli americani, l'espressionismo dei tedeschi, il terzo futurismo o la Scuola Romana degli anni quaranta in Italia, tutto ciò che viene catalogato come post-modem o post-avanguardia. Grottesco perché non si tratta di un passato su cui ci si interroga ma di un passato che si rifà senza mediazioni o apporti critici. Si va dalla copia alla mimesi, dal remake alla rivisitazione, dal rimpianto al processo di proiezione. Certo, l'arte non è mai stata così mondana, nel senso del mondano che toglie valore, che predica l'istantaneo, che non tollera la profondità. Ma che cosa vogliono gli artisti d'oggi? Distruggere un sistema di comunicazione e insediarne un altro come era successo ai loro predecessori? No. Perché quelli della landart o dell'arte povera o della body art, per far qualche esempio, affetti da quel morbo squisito che è la volontà di rifare il mondo, proponevano un modello di far arte legato criticamente alle esigenze del presente e comunque alternativo a quanto c'era prima. L'arte è stata negli ultimi trenta anni il desiderio di presentare modi inediti di comunicazione, è Temi. Tradizione del nuovo pagina 51 stata anche un cercare di liberare la gente perché riuscisse a vivere meglio la vita. A tanti autori di oggi, invece, il mondo pare andare benissimo com'è, col suo consumismo bieco, con la sua vigliacca riconversione a modelli di vita e di pensiero che rivalutano i concetti di stabilità e di sicurezza. Gli aneliti morti, soffocati, ogni passione spenta. Grazia, garbo (talvolta lezio), un odore di frivolo sotto forme solenni e pompose, un che di convenzionale, l'inezia collegata con l'assurdo e il paradosso, un certo brutalismo folclorico, e quella mediocre meraviglia di una situazione prospera ma non eccelsa né entusiasmante in quanto aliena dal grande colpo d'ala come dal grande errore: questi i caratteri comuni ai giovani pittori e scultori d'oggi, per esempio. Il livello della produzione è mediamente modesto; rari i frizzi, la capacità di sgarrare per amor d'avventura, piuttosto è evidente la corsa alla garanzia, l'operare sotto la protezione delle matrici degli anni sessanta o settanta; di qui il post-informale, il neo-poverismo il post-minimalismo e il dopo-concettuale. Quindi poco spazio alla fantasia, nessuno alla follia, buon senso e comfort invece, accorto uso dei materiali, spesso sagace abilità artigianale, assenza di ambizioni stravolgenti e di emozioni violente. Il risultato? Opere, operine, opericciuole, sinonimi, d'après, citazioni, repliche, dannazioni delicatissime, pas des deux. L'etica dell'estetetica I l giudizio estetico è sempre un'espressione di un pregiudizio estetico, dove gli elementi costituenti la sua specificità spesse volte sfuggono a un controllo semantico intorno ai significati dei termini utilizzati, ma anche della stessa espressione linguistica. È difficile, allora, parlare del nuovo rispetto a ciò che è stato, se gli stessi interlocutori del discorso non sempre sono in grado di decifrare le diverse posizioni e i diversi atteggiamenti valutativi. Tra la critica d'arte e la produzione artistica ci sono sempre stati rapporti d'identificazione e di militanza, o di rifiuto aprioristico; raramente ci sono state relazioni di reciproca attenzione affinché la qualità del dire e del fare potesse migliorare. Lo stato dell'arte vive l'incertezza di una situazione culturale dove tutto è possibile e niente è proibito; per cui lo stesso lettore colto, non avendo di fronte a sé un altro, ma soltanto un deserto anonimo di presenze anonime, (quasi tutte pronte a seguire, passivamente, i grandi trend delle ideologie dominanti) non sceglie ma è scelto. Sarebbe necessario riportare la riflessione estetica all'interno di un orizzonte etico, non per nostalgie vetero-contenutistiche, ma perché finalmente anche l'arte non sia esclusivamente un gioco di false dissonanze e diventi, invece, anch'essa, parte integrante della cultura media di una società. Come scrive Filiberto Menna, a proposito della tradizione del nuovo («Alfabeta», n. 103), «gli artisti della nuova situazione oppongono una più acuta coscienza del limite, l'esigenza moderna di affidarsi a procedimenti formativi sorretti da un\ntenzionalità progettuale, da un più rigoroso controllo ment)tle e da una finalità di ordine costruttivo». Come definire questa riflessione di Menna se non in quanto desiderio di ordine progettuale, che è sempre prima etico poi estetico? La modernità nell'arte ha sempre mostrato un volto ambiguo: se la forma, il livello dell'espressione devono primeggiare sul momento della riflessione e della costruzione, in questo caso un soggettivismo senza alcun controllo (molte volte solo puro e semplice protagonismo formale) diventerebbe la ragione stessa dell'esistenza dell'opera d'arAldo Co onetti te, come se l'atto creativo significasse esclusivamente dare forma ad altre forme. L'altro volto della modernità, per quanto riguarda l'arte, è stato ed è, ancora, il credere che la pura intenzionalità concettuale sia sufficiente per riprodurre la realtà, per pensarla, affidando così all'arte il compito di indicare alcune tensioni progettuali, senza dare ad esse una consistenza fenomenica. L'arte, potremmo dire, non può essere moderna se non attraverso una sua parziale rivelazione nell'accidentalità fisica dei materiali, dei linguaggi, di altre strutture formali, appartenenti a diverse esperienze progettuali. È proprio questa sua ambiguità che ha reso possibile alla critica, di sempre, di costruire tendenze, valori, singolarità, e da qui dedurre modelli interpretativi per leggere e discriminare nel mercato della produzione artistica. Non è una visione catastrofica questa: è lo stato delle cose che da sempre esiste e che, in particolare, Kant nella Critica del Giudizio, definisce come il secondo momento del giudizio estetico, secondo quantità: «Il bello è ciò che è rappresentato, senza concetto, come l'oggetto di un piacere universale». Senza concetto, quindi senza paradigmi validi a priori per tutti, anche se la critica cerca e ha cercato di ricostruire una trama possibile del bello da offrire all'orientamento estetico generale. Se l'arte tenta di presentarsi come un insieme di immagini, di testimonianze altre rispetto alla realtà; alla storia, alla visione del mondo che ci siamo progressivamente costruiti, allora non è sempre semplice né possibile definire la modernità dell'arte: rispetto a quale non-moderno è in grado di opporsi, dialetticamente, il moderno, se l'arte sfugge a una totale riconducibilità all'interno del modello? Certamente, e qui hanno ragione sia Leonetti sia Menna, è necessario riscoprire nuove tensioni creative che sono state, in questi anni ottanta, fortemente condizionate e represse dal «risorgimento pittorico post-moderno» (Menna); anche perché il nuovo, per poter emergere, deve coniugarsi «con le punte del '60, col loro sperimentalismo e con i loro problemi di statuto linguistico» (Leonetti, «Alfabeta», n. 101). Ma l'arte, la produzione e soprattutto la critica sono in crisi proprio perché c'è sovrabbondanza di tendenze, di repertori interpretativi; per cui tutto è possibile e nulla, invece, è confrontabile perché ciascuno si pensa al centro del mondo. Ci sono tanti, troppi sistemi tolemaici; questo impedisce la circolazione delle esperienze, dei linguaggi e rallenta la crescita diffusa di una nuova consapevolezza critica. L.a libertà dai vincoli progettuali, intesi sia come materiali ma anche come dizionario di segni, filologicamente definito ed accertato, provoca una falsa, apparente, autonomia del gesto creativo, come se il regno della necessità appartenesse solo al mondo della casualità naturale, mentre l'assenza di regole fosse propria della creazione artistica. Ernst Cassirer preferisce parlare di costruzione piuttosto che di creazione: «L'estetica e la metodologia artistica che corrispondono a questa concezione non saranno affatto un'estetica e una metodologia tutte affidate idealisticamente alla creazione, all'intuizione libera da regole, alla libera inventiva, ma saranno al contrario un'estetica e una metodologia volte ad

A più voci Alfabeta 1041 individuare e ad applicare e modificare le regole formative dell'arte» (E. Garroni, Creatività, Enciclopedia Einaudi). Il nuovo dovrebbe transitare, innanzitutto, all'interno di un nuovo orizzonte produttivo e interpretativo dove, e non è solo nominalismo, il termine costruzione sostituisca la parola creazione: è una pregiudiziale programmatica, perché solo così è possibile controllare, nel senso di una comprensione aperta e non chiusa ad altri contributi disciplinari, il linguaggio e, in particolar modo, l'oggetto da sottoporre al giudizio. Da questo punto di vista, il sapere filologico, e non quello citazionistico, dovrebbe rappresentare il nucleo intorno al quale ricostruire il significato della parola arte e dell'attività critica. Non è questa, un'esortazione all'ordine delle cose: nasce da un'esigenza di chiarezza contrattualistica tra chi parla e chi ascolta, tra chi fa e chi interpreta. Io credo che il post-moderno sia stato soprattutto il risultato, più che della caduta e della crisi della progettualità, della difficoltà di comprendere le trasformazioni del mondo contemporaneo; da qui l'atteggiamento di un osservatore che si limitava a cogliere il diverso come segno di una contiguità temporale e spaziale, e senza tentare di ricondurre la frammentazione del pensiero e delle cose a una serie di ipotesi e di modelli interpretativi che potessero dare un senso al mondo. Ecco, l'arte di questi ultimi 10 anni ha sofferto sul piano del senso, che è sempre necessario dare ad ozni azione creativa. L'unico significato possibile è stato una sorta di resa all'evidenza fenomenica della cosa; per cui l'opera risultava essere il prodotto di una passiva osservazione della realtà mascherandola, il più delle volte, con una serie di sovrapposizioni letterarie e filosofiche. L'artista deve essere una persona colta che sappia di che cosa si sta parlando o, perlomeno sia in grado di scegliere e non si faccia invece scegliere dall'industria culturale, che è sempre più «intelligente» del singolo artista, perché sa cogliere il particolare all'interno della totalità; mentre la singolarità creativa si presenta come non-omologata per trasformarsi poi in un atteggiamento funzionale all'ordine simbolico preesistente. Solo così, almeno credo, l'arte può ritrovare la sua ragion d'essere al di là della sua rilevanza economica mondana; e solo così, la critica potrebbe ridiventare, da atto creativo essa stessa, momento di divulgazione e di comunicazione in quanto mappa di orientamento nella totalità del sistema delle arti. Il problema della qualità dell'opera d'arte e della consistenza disciplinare della critica d'arte viene in un secondo momento, perché, come scrive Jan Mukafovsky, «il segno artistico a differenza del segno comunicativo non è servile, cioè non è uno strumento. Esso non comunica delle cose ma esprime un determinato atteggiamento verso le cose, un determinato atteggiamento dell'uomo verso tutta la realtà che lo circonda e non solo verso quella che è direttamente rappresentata nell'opera. L'opera però non comunica questo atteggiamento, bensì lo fa nascere direttamente nel fruitore» (Il significato dell'estetica). Si tratta allora di fondare la tradizione del nuovo, oltre che sull'estetica, anche sull'etica, perché il valore artistico è determinato dalI'«atteggiamento verso le cose», e non solo dalle qualità intrinseche della singola opera d'arte o dalla capacità di estrapolare, maieuticamente, dalle stesse, la loro ragion d'essere, il loro statuto qualitativo. Taccuini La Valte.-.-....· eticae • q, ormazione I I Discours de Laméthode di Cartesio è considerato, più per lo stile intellettuale che per la novità dei contenuti, un vero e proprio atto di battesimo della modernità. L'autore vi racconta come, riflettendo sulla propria esperienza prima ancora che sulle conoscenze acquisite, è arrivato alla condusione che il dubbio e l'esame scrupoloso e personale sono i soli criteri direttivi affidabili di una condotta razionale. Il metodo cartesiano è moderno in primo luogo perché non si propone come una grammatica dell'agire intellettuale e etico, ma come la parabola di un individuo che ha deciso di affidarsi alla sua personale responsabilità: «Il mio intento non è di offrire il metodo che ognuno deve seguire per dirigere la sua ragione, ma solo di mostrare in che modo ho cercato di dirigere la mia». Non tutti siamo filosofi o scienziati, ma tutti siamo soggetti etici. L'etica verbalizzata da Cartesio può essere deludente nei suoi contenuti, ma la forza autonoma del modello finisce per disegnare analogicamente, forse al di là delle intenzioni dell'autore, l'idea di etica come la vive e la pratica l'uomo moderno. L'uomo moderno fonda le sue concezioni morali in primo luogo su una personale, irrinunciabile convinzione che si nutre dall'interno della sua esperienza complessiva. Se accetta i principi e gli scopi di una morale esterna, laica o confessionale, le impone di non urtare la sua esperienza diretta e quotidiana dell'agire etico. Le sue convinzioni sono formate o confermate da una proiezione analogica nel campo della «grande etica» dei principi direttivi di un comportamento sperimentato come corretto nella vita vissuta di tutti i giorni: nel lavoro, nei rapporti umani, nelle imprevedibili vicissitudini della vita. Questo carattere proiettivo e analogico delle convinzioni etiche spiega perché l'uomo moderno non accetta lezioni di grande etica, di etica dei principi, da chi tradisce la piccola etica dei comportamenti: da un insegnante che disprezza l'insegnamento, da un medico che non rispetta i clienti, da un padre che trascura i figli o da un giocatore che bara. In tutti questi casi, si spezza il condotto che alimenta i principi, e i principi si svuotano. Tra le sfere in cui si esercita la nostra microetica spontanea, un posto speciale è occupato dal lavoro. E tra le varie figure professionali interessate da questo viavai tra microetica e grande etica, il giornalista occupa certamente, per la sua rilevanza e esemplarità sociale, una posizione strategica. Michele Prandi Il primo dovere di un giornalista, naturalmente, è informare. Questo punto di visto lapalissiano, tuttavia, è sempre più in_adeguato a capire il ruolo in senso lato culturale del giornalista. La dinamica della circolazione delle notizie priva sempre più il giornalista della funzione di informatore diretto, per affidargli un ruolo crescente di inquadramento e di elaborazione culturale e sociale di notizie già note. A questa deriva strutturale si associa la tendenza crescente di un'opinione pubblica indaffarata co, il giornalista di intervento ha in primo luogo il compito di rendere comprensibili, con la sua cultura e le sua sensibilità, i fatti che racconta o, più spesso, scava. In secondo luogo, è impegnato a tradurre in tensione conoscitiva le spinte emotive che aceompagnano gli avvenimenti rilevanti, dai rivolgimenti politici ai traumi economici, alle catastrofi naturali. È sulle catastrofi naturali che vogliamo fermarci più particolarmente. La nostra società assimila facilmente le - n1e Scienza politica e cultura dei popoli minoritari n 13 Galli: CesareBattistei la suaguerra:tramontodi un mito - Fiocchi: "Lumbardp, arlemmlumbard!" - Porro: "VivaTorino Capitale!" - Ceschia/Cozzi: Morzine:deliriosociale e pedagogiamorale - Sartori: Eire:per1500anniunanazione - Nicoli: GliSherpa - Stocchi:Il lungotrekkingdei coloniboeri - Hull: La lingua"padanese" - CatanzaritiI:l Soledi Campanella sorgeancora - Verdegiglio: Unaminoranzian pericolo:Guardia Piemontese - lacovissi: "Friuli, regionemai nata" - Michelucci: Notiziario Larivista è distribuitainabbonamento5:numeriL. 30.000- Europa L.35.000-Paesei xtraeurope(pi .aerea)L. 70.000-Arretrati 1980/8/182/83/84/85/8L6.89.000-VersamenstiulCCP1416220i0ntestato aMiroMerelli,VialeBligny22,20136Milano- Tel.02/8375525 Questonumero L. 6.000-IncontrassegnLo. 12.000-ETNIE èin venditanelleseguentlibrerie:Milano:FeltrinelliV, iaManzon1i 2e Via s·. Tecla5- Roma:FeltrinelliV, iaV.E.Orlando84/86-Bologna: FeltrinelliP, iazzaRavegnan1a- BolzanoA: thesiaL, auben41 ma al contempo esigente a delegare, con un comportamento poco cartesiano, la formazione di un punto di vista accreditato e accreditante nei campi più disparati, dall'economia all'ecologia, al diritto. L'influenza esercitata sul pubblico come opinion maker incoraggia naturalmente il giornalista a proporsi come soggetto privilegiato dell'agire etico nel sociale, una sorta di vigile sentinella che esprime, esalta, o nei casi peggiori supplisce, la coscienza pubblica. Nel vissuto e nel teorizzato di una parte del mondo giornalistico questo stato di cose si configura come una vera e propria missione etica. Sul piano microeticatastrofi artificiali - lo stillicidio di vittime della strada, per esempio, ma in fondo anche gli episodi cronici e acuti di inquinamento - in cui riconosce i figli legittimi anche se sgraditi della sua specifica forma di civilizzazione. Viceversa, è culturalmente refrattaria alle catastrofi naturali, incerta se leggervi l'emblema perverso di uno sviluppo distorto o, forse meno consapevolmente, scenari d'altri tempi, scandalosi nell'era del computer. Per queste ragioni culturali, lo studio della messa in forma giornalistica di una catastrofe naturale, al crocevia tra spinte emotive, tensione conoscitiva e riti di esorcizzazione, rappresenta un'occasione per verificare l'impatto della stampa coi temi della grande etica e della microetica. Possiamo, a questo punto, schizzare il profilo di un tipo ideale di comportamento giornalistico alle prese con una catastrofe naturale. Sul piano della grande etica, si può pensare a un impegno in prima persona per la denuncia delle responsabilità umane e politiche di ordine generale per quel che riguarda le carenze nelle opere e negli interventi di difesa e soccorso, ma anche in senso lato culturali, relative all'impostazione del rapporto tra sviluppo economico e ·caratteristiche ambientali. Sullo specifico terreno professionale, è lecito aspettarsi affermazioni scrupolosamente documentate su fatti, cause, probabili conseguenze, responsabilità: una messa a fuoco disincantata dei fatti che riporti le piene emotive dalla deriva disordinata all'ordine del sapere. L e due sfere in cui si situa il comportamento etico ammettono di dissociarsi: in altri termini, possiamo raffigurarci un tipo di giornalista scrupoloso nei doveri strettamente professionali ma agnostico per quanto riguarda più generali missioni sociali della professione, così come è facile immaginare una mobilitazione generosa su grandi temi di risonanza sociale accompagnata da una certa disinvoltura verso i doveri professionali. Le due eventualità, tuttavia, non si equivalgono. Un professionista serio farà comunque un buon lavoro, che il fruitore responsabile saprà proiettare, se lo ritiene, su uno schermo più largo. Un'informazione che, in nome di una missione sociale nobile o presunta tale, è disposta a forzare o addirittura a ignorare gli specifici doveri di documentazione e di rispetto dei dati è del tutto priva di dignità etica. Scendendo dall'ideale al luttuoso reale, l'estate del 1987 non è stata avara di catastrofi, né la stampa di interventi. In questo contesto, l'alluvione in Valtellina vanta purtroppo un duplice primato: per la scala degli avvenimenti e per la qualità del loro racconto e commento. Di fronte alla messa in forma giornalistica delle vicende della Valtellina, vorrei a questo punto, cartesianamente, invitare i lettori a riflettere sui loro ricordi estivi, offrendo le mie dirette esperienze e personali conclusioni come puro e semplice esempio. L'alluvione della Valtellina ha travolto un intero bacino idrografico, senza distinzione di morfologia, di cultura, di frontiere

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