Alfabeta - anno IX - n. 98/99 - lug./ago. 1987

li lavorodelloscienziato John Ziman Il lavoro dello scienziato Bari, Laterza, 1987 pp. 267, lire 28.000 Stefan Amsterdamski Tra la storia e il metodo Roma, Theoria, 1986 pp. 253, lire 30.000 Il Ora i fisici sanno cos'è il '' peccato.» L'amara osservazione pronunciata da Robert Oppenheimer al termine del processo che lo ha visto imputato, rappresenta qualcosa di ancor più profondo e globale che non l'estremo epilogo di una vicenda tanto angosciosa come la costruzione della bomba atomica. Essa riassume in sé e rende esplicita una delle più radicali cesure che dividono la scienza contemporanea dalla scienza moderna, così come quest'ultima si era venuta delineando dalle sue origini rinascimentali fino alla seconda metà del secolo scorso. «Se l'innocente formula E=mc 2 può essere alla base della produzione di armi di distruzione totale, il dramma morale dello scienziato non consiste solo nel fatto che la sua firma sulla lettera al presidente Roosevelt abbia contribuito a un tale uso della sua scoperta [... ] Si tratta del fatto che nella scienza industrializzata e professionalizzata persino la pura ambizione alla verità cessa di essere un'occupazione moralmente innocente, libera da conflitti etici» (Amsterdamski, p. 109, corsivo nostro). Ovvero, come scrive Gerald Holton (cit. in Amsterdamski, p. 110) «l'antico ideale di scienza come 'conoscenza ·senza limiti' al quale si sono educate molte generazioni di scienziati, è soppiantato da una concezione della scienza come 'conoscenza sospetta' [... ] Ci piaccia o no, la polemica sui pericoli connessi alla conoscenza scientifica e la necessità di porvi un limite sono diventate non solo inevitabili ma meritorie». Analizzare i caratteri dell'impresa scientifica contemporanea dal punto di vista della «sociologia deÌla scienza», oltre che da quello - più consueto - dell'epistemologia, come fa John Ziman nel suo Il lavoro dello scienziato, appare pertanto un'indagine utile e significativa. Legata ai destini dell'industrializzazione, sottoposta a forti pressioni economico-sociali al fine di ottenere i finanziamenti indispensabili per la costruzione di apparecchiature di ricerca sempre più costose, la scienza, ormai difficilmente classificabile come «scienza pura» o «applicata» (Ziman, p. 176), ha a che fare con un aspetto assolutamente nuovo e inatteso del suo sviluppo tecnologico. Si è infatti profondamente modificato quel rapporto scienza-tecnologia convenzionale e consueto, per cui i due poli, in continua osmosi, avanzano gradualmente per soddisfare i bisogni materiali della società (come nel caso, ad esempio, dell'invenzione della macchina a vapore, il cui sviluppo, avvenuto progressivamente nel corso di più di un secolo, benché «sia stato senza dubbio debitore verso la scienza accademica di alcune idee chiave, come la 'forza del vuoto' e il 'calore latente del vapore' si realizzò per lo più per tentativi, alla luce dell'esperienza quotidiana, senza far ricorso all'analisi astratta» e permise, a sua volta, il nascere e il consolidarsi di una scienza tanto importante come la termodinamica, la quale da un lato «fu disponibile come disciplina teorica primaria per la progettazione di nuovi prodotti industriali in vista di nuovi bisogni materiali e commerciali», dall'altro riformulò le sue leggi in forma astratta e queste «divennero la base di nuove branche della scienza accademica, come la fisica delle basse temperature, la chimica fisica e la meteorologia», Ziman, pp. 158-159). Da qualche decina d'anni, al contrario, le scoperte e i progressi scientifici comportano sempre più spesso un aumento brusco, repentino e notevolmente elevato delle potenzialità di alcuni settori tecnologici. «Tali tecnologie sono spesso fondamentalmente innovative, nel senso che si sviluppano fino a dare origine ai mezzi per conseguire fini tecnici considerati in precedenza del tutto irraggiungibili [... ] Queste possibilità non sono solo Alberta Rebaglia poraneo è dunque posto di fronte a dubbi e incertezze che gli impediscono di presentarsi ancora sotto un segno totalmente positivo e, come scrive Amsterdamski, «non si può più difendere la convinzione che lo sviluppo della scienza sia un beneficio univoco per l'umanità intera e neppure che esso sia normalmente neutrale» (p. 109). Ciò che quindi, indubbiamente, gli scienziati hanno oggi compreso è l'impossibilità di ritenere ancora, come in passato, «che la loro regola morale si riduca all'osservanza delle regole metodologiche dell'attività di ricerca» (Amsterdamski, p. 110). Ma, se l'indagine sociologica e storica sulla scienza ci ha condotti fino a queste conclusioni, una riflessione filosofica ed epistemologica che, ovviamente, si focalizzi principalmente proprio su quelle regole metodologiche, quale contributo potrà portare al «lavoro dello scienziato»? Quest'ultimo, consapevole di non potersi fondare unicamente sulla «razionalità scientifica», quanto potrà .,T~EREAS RUMOR . GOING'ROUND TtmTWEWON .. !' senza precedenti, ma sono anche imprevedibili in linea di principio, non avendo origine da una estrapolazione, per quanto fantasiosa, da tecniche esistenti» (Ziman, pp. 159-160). Proprio l'imprevedibilità dovuta all'assoluta novità ed al grande impatto sociale caratteristico di molte tecnologie avanzate è una delle cause principali ad imporre a chi opera in campo scientifico la massima cautela e la massima responsabilità di fronte a quesiti etici difficilmente risolvibili. Lo scienziato - ed è questo il tema principale svolto da Ziman nelle pagine del suo libro - deve essere consapevole di operare all'interno di un sistema dinamico nel quale egli non conduce più da solo, in prima persona, la propria indagine conoscitiva, ma è inserito in un organo «collettivo» in cui strategie e finalizzazioni di programmi di ricerca sono defiQiti anche, e soprattutto, in base ad esigenze economiche e sociali. Il processo scientifico contem- «Pare che abbiamo vinto»© R. Cobb comunque fare affidamento su di essa per mantenere un legittimo margine di rassicuranti «certezze»? L, attenta analisi che Stefan Amsterdamski conduce nel suo Tra la storia e il metodo ci aiuta a rispondere proprio ~ tali quesiti. È opinione del filosofo polacco che le regole metodologiche non siano immutabili, come spesso la tradizione epistemologica - e particolarmente la scuola popperiana - ritiene, e che dunque nemmeno la «razionalità» su cui la scienza si fonda possa costituire per essa un punto di riferimento metastorico e assoluto. Sono gli «ideali scientifici» - i giudizi valutativi tendenti a stabilire che cosa sia la «scienza» (accettati «in un dato tempo da un determinato gruppo di individui», p. 24), dai caratteri tanto globali che, secondo Amsterdamski, spesso è al loro interno che i «paradigmi» prospettati da Kuhn possono mutare senza provocare così una lacerazione totale del tessuto storico («l'ideale scientifico accettato costituisce appunto quel consensum omnium nel cui ambito è possibile la discussione razionale durante il passaggio da un paradigma di ricerca all'altro», p. 291) - che determinano, fra l'altro, le regole metodologiche. E, poiché tali «ideali scientifici» si costituiscono via via nelle diverse epoche storiche, anche la razionalità scientifica che essi caratterizzano non potrà che essere storicamente determinata. Inoltre «le regole metodologiche accettate sulla base di un determinato ideale di scienza non forniscono criteri univoci per la scelta della teoria» (Amsterdamski, p. 210). Come afferma Amsterdamski, anche tenendo in considerazione le critiche mosse da Pierre Duhem (e riprese ed approfondite da Quine) alla possibilità di condurre esperimenti cruciali, e dunque alla possibilità di ottenere una falsificazione completa delle teorie scientifiche, bisogna convenire che non esiste un criterio assoluto di razionalità scientifica cui fare appello per condurre scelte univoche tra teorie rivali. «Scegliendo tra teorie rivali concorrenti gli scienziati possono farsi guidare anche da ulteriori criteri, come semplicità, esattezza, coesione interna, coerenza con altre teorie accettate, generalità, produttività, operatività e in fine utilità pratica» (p. 210). Ma in questo modo dobbiamo supporre che quelle indicazioni euristiche che la metodologia sa fornire, se sono piuttosto insufficienti per gli scienziati singoli, in quanto «studiosi» che richiedono criteri inequivocabili, risultano però una guida preziosa per quelle istituzioni politico-sociali che organizzano e finanziano la ricerca, alle quali occorrono soltanto criteri di massima per progettare investimenti e calcolare rischi (Amsterdamski, pp. 199-205). Dalle conclusioni teoriche del libro di Amsterdamski si potrebbe comunque trarre, probabilmente, almeno un motivo di certezza e rassicurazione per chi opera in campo scientifico. L'Autore infatti, nell'intento di trovare «punti solidi» che permettano alle teorie scientifiche di inserirsi nel «divenire storico», evitando il darsi di momenti rivoluzionari di netta cesura ed incommensurabilità, tali da distruggere, all'opposto, ogni effettiva storicità, afferma che il contenuto empirico della teoria non può «essere definito per mezzo della cifra dei dati spiegati», ma «dipende dalla superficie del reale che essa riguarda» (p. 227). Secondo Amsterdamski, dunque, la nuova teoria, a prezzo della squalifica di alcuni dati, «abbraccia una delle parti di realtà che non erano comprese nell'universo di validità della teoria precedente» (p. 228) (pertanto «la non cumulatività non si identifica con la frattura da qualsiasi eredità. Un processo discontinuo sotto un aspetto può essere continuo sotto un altro. Malgrado le opinioni degli anarchici, nessuna rivoluzione, neanche la più radicale, nella scienza o nella vita sociale, può creare un mondo dal nulla», p. 225). Se così fosse, ci si potrebbe quanto meno affidare alla prospettiva, pur sempre estremamente rassicurante, che qualsiasi indagine, qualsiasi conquista del sapere non farà che svelare «parti» già preesistenti di una «realtà» in sé. In quest'ottica, ovviamente, l'ideale di un progresso scientifico comunque sempre positivamente connotato, troverebbe sostegni preziosi: la scienza non farebbe infatti che avvicinarsi alla «verità», mentre risulterebbe impossibile che una realtà che è da s~mpre sotto i nostri occhi, per quanto non venga compresa, possa contenere aspetti negativi o distruttivi. Le critiche e i sospetti che, come si è visto, si possono insinuare in modo più che legittimo all'interno dell'impresa scientifica ricadrebbero quindi interamente sulla sola tecnologia. Pur prescindendo da un'analisi teorica che evidenzi come la scienza contemporanea indichi alla filosofia alcuni argomenti che possono indurla a negare il presupposto originario da cui derivano le conseguenze sopra descritte, ovvero l'esistenza di una «realtà in sé», tali conseguenze risultano comunque inaccettabili sul piano fattuale in quanto, come si è detto precedentemente commentando il testo di Ziman, scienza pura e tecnologia non sono concretamente separabili, non sono settori autonomi che interagiscono, ma costituiscono un unico sistema globale, inscindibile. Percorrendo le strade, spesso intrecciate, di storia, sociologia e co filosofia della scienza non abbia- ~ .:; mo quindi forse fatto altro se non ~ acquisire una nuova consapevolez- I:).. t-.. za delle radici profonde, probabil- ~ mente inestinguibili, che legano """' l'antico mito di Prometeo all'inte- S ra cultura occidentale. D'altronde -.-..~ proprio nel riconoscere che il " «fuoco della conoscenza» è ciò che cio ::i - noi di giorno in giorno con «curiosità gnoseologica» e «responsabili- ~ tà» sappiamo produrre e alimenta- °' re possiamo cogliere una connes- i:: sione significativa tra la nostra ~ eredità culturale e il futuro. ;g_ - ~

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