Alfabeta - anno IX - n. 98/99 - lug./ago. 1987

Moda: BeniaminSitQ,mHeleidegger Walter Benjamin Parigi capitale del XIX secolo A cura di Giorgio Agamben Torino, Einaudi, 1986 pp. 1110, lire 100.000 N ei suoi scritti raccolti nel volume curato da Rolf Tiedemann Das Passagen Werk, ed edito in italiano a cura di Giorgio Agamben con il titolo Parigi, capitale del XIX secolo, Walter Benjamin rintraccia l'immagine del passaggio come maschera dello spazio, in frammenti di costume, segni della scultura, tracce del pensiero, sulla scena di un mondo, quale quello della fine del moderno, il cui destino è proprio il transito perenne, il movimento come passaggio e mutazione. Passaggio letterale: Benjamin scruta i passages parigini, la figura delflaneur, e la moda, luogo quest'ultimo di «scambio dialettico fra donna e merce - fra piacere e cadavere» (p. 105). Benjamin coglie l'essenza della moda, così come si manifesta nello stesso cosmo e territorio di cui scriveva Proust, nel suo «alludere a un corpo che non conoscerà mai la nudità completa» (p. 111). Sono noti i riferimenti del narratore proustiano all'eleganza femminile; valga, tra le tante, una delle descrizioni di Odette: «[... ] e quanto al corpo, che era fatto stupendamente, era difficile coglierne la continuazione (per effetto della moda del tempo, e benché Odette fossè una delle donne meglio vestite di Parigi), a tal punto il busto, sporgendo ad aggetto come su un ventre immaginario e terminando bruscamente a punta mentre al di sotto cominciava a gonfiarsi il pallone delle doppie sottane, dava l'impressione che la donna fosse composta di pezzi diversi male infilati l'uno dentro l'altro» (Alla ricerca del tempo perduto, voi. I: Dalla parte di Swann, tr. di G. Raboni, a cura di L. De Maria, - Milano, Mondadori, 1983, pp. 240-1). Il corpo incarnato sulla scena della moda è un corpo sostituibile, fatto a pezzetti, è un'architettura la cui composizione non è mai stabile. Edificio mobile, registra l'ambiguità del desiderio: mai interamente «natura», mai freddamente «tecnica», questo corpo è automa e pelle, rigore meccanico ed ebbrezza erotica. L'architettura meccanica che la moda celebra edifica un corpo ideale come quello della mannequin, ieratica forma pura, preconizzata forse dalla figura benjaminiana della ciclista nei manifesti ottocenteschi alla Chéret (p. 104), o dalle bambolemanichino che servirono, fin dai secoli XVII e XVIII a diffondere le creazioni della moda parigina (pp. 876-7). Nel corpo della mannequin Barthes individuava un paradosso strutturale: il suo essere da un lato istituzione astratta e dall'altro corpo individuale, ricalcando in questa opposizione lo statuto del linguaggio e della sua articolazione in langue e parole. Così, il corpo della ciclista pioniera si muove, letteralmente, tra l'istanza meccanica della velocità incommensurabile al passo umano e la dimensione onirica, infantile, della prefigurazione del futuro abbigliamento sportivo (p. 104). Ne risulta una buffa lotta fra una mise che imita ideali tradizionali di eleganza e questi stessi ideali; la scena è un po' la stessa di quella delle prime auto che imitavano le ultime carrozze: «Il risultato di questa lotta è quella venatura di sadica ostinazione che la rese [la ciclista] così provocante per l'universo maschile di quegli anni» (ibidem). Nel paradosso che ha come protagonisti da un lato il corpo come forma pura, come automa di cui è impossibile la morte, e dall'altro il corpo con le sue scansioni sessuate, con le sue aperture fatte di pieghe, di incisioni, di abiti come segni del rapporto fra corpi e fra il corpo e il mondo, si ritrovano apparentate moda e morte. Nella moda il corpo si struttura nel succedersi delle sue apparenze, né soltanto maschera né nudità da scorticato: piuttosto metamorfosi. E la mutevolezza perenne che l'abito regala al corpo è dalla parte della carnevalizzazione, dell'alternanza, dell'imprecisione dei caratteri, contaminate con la tipizzazione e l'individuazione proprie della moda. Ironia sulla morte. Scrive . Benjamin: «Poiché la moda non è mai stata nient'altro che la parodia del cadavere screziato, la provocazione della morte attraverso la donna e un amaro dialogo sottovoce con la putrefazione, fra stridule risate meccanicamente ripetute» (p. 105). La moda uccide il tempo lineare, cumulativo, fatto di scansioni ben allineate, e vi sostituisce un tempo, come direbbe Barthes, «ucronico», realizza un'utopia del tempo in cui si alternano anticipazioni e r~vival. Prerogativa della moda in rapporto alla «modernità» è la sua possibilità di offrire, nell'anticipazione temporale e nei ritmi vorticosi delle sue stagioni, l'eccezione come abitudine, l'eccesso come dimensione del quotidiano, «l'ultima novità, ma solo laddove emerga nel medio del più antico, del già stato, dell'abituale» (p. 106). Simmel, nel suo saggio del 1895 sulla moda, ha parlato del contrasto, tipico tra imitazione e innovazione, del «diritto all'infedeltà nei suoi confronti» che la moda decreta, esibendosi così sin nel suo statuto come paradosso. L'imitazione parodizza la ripetizione, perché il modello che ritorna non si riproduce staticamente, ma si reinterpreta, alla luce della «contemporaneità». L'innovazione tende a circolo la linea del progresso, e la. moda può così costituirsi nella modernità, come scrive Benjamin, come «colei che precorre il surrealismo», anzi come «colei che gli prepara eternamente il terreno» (p. 107). Il «surrealismo» si celebra come maschera del moderno, che attraverso la legittimazione sociale della moda penetra nel quotidiano, sotto la forma di un'avventura onirica in cui il fascino dell'eccézionale, dell'assurdo, dell'ignoto, si colora di già visto. Con in più l'emozione dell'ornamento, cioè dell'inessenziale, del superficiale, in cui la sostanza, lo Stoff del significato, può tutt'al più divenire stoffa, tessuto come testo di cultura. L a moda contemporanea porta a compimento la sua funzione di vestale del surrealismo, nel senso di surreale sotto gli occhi di tutti, di vita quotidiana come «fantastico mélange di finzione e valori strani», come sostiene, nell'intervista pubblicata sul n. 62 di «Autrement» (1984), il giovane stilista americano trapiantato a Parigi Billy Boy. Consuetudine della strada dove perfino i contrasti sociali o l'indistinzione sessuale si presentano come immagini banali, casuali, tanto «già viste» da diventare troppo reali. La moda di strada coglie oggi l'essenza di questo surreale-iperreale: da un lato essa è eccesso, ricerca, sovrapposizione di tempi e di stili, esagerazione del corpo; dall'altro è invece casualità, banalità, immagine stanca e ripetitiva. Il video Thriller, ormai classico caposaldo di genere, ben esprime questa visione: il corpo è deformato, imbruttito fino all'orrore; l'urlo e la danza generano, in una straordinaria inversione carnevalesca di «moderno» e «primitivo», di bello e di brutto, di comico e spaventoso, una moda che è tecnologia di scena, gesto del confondere e dell'invertire, richiamo alla strada di notte come luogo dove la casualità può trasformarsi in eccesso. li casual serviva ancora, in qualche modo, a rivestire un corpo produttivo, funzionale; ma la sovrabbondanza delle forme e degli stessi accoppiamenti «casuali» di strada segna un oltrepassamento della ripartizione della moda per tempi e per luoghi, per ufficialità o per rifiuti. È come se la moda fosse arrivata a un punto, nella sua storia per immagini, in cui si è verificato un precipitare della situazione, ma in cui il passaggio non è ad un contrario o a una distruzione del passato secondo un'evoluzione ancora lineare, ma ad uno stato in cui tutto va bene, purché esageri, o comunque enunci a chiare lettere le sue citazioni e i propri racconti. Nei Vier Seminare Heidegger richiama il fenomeno della moda contemporanea come esempio di sostituibilità, in cui «non sono più essenziali la toilette e l'ornamento [... ], ma la sostituibilità del modello di stagione in stagione». La sostituibilità è diventata, secondo questa ipotesi di Heidegger, forma dell'essere, dal momento che l'abito non risponde più a quella che possiamo definire funzione pratica, ma risponde al carattere specifico di essere «la veste del momento in attesa del prossimo». L'ucronia e la velocità di moda modificano, insieme all'immagine del tempo, anche quella del corpo. I ritmi dell'anticipazione, il fascino del momento, la «cronomatica» cui appartiene la moda, contribuiscono a creare un corpo istantaneo, la cui sostituibilità frammentaria soppianta l'usura e l'invecchiamento. Al corpo piegato, aggrinzito, appesantito, si sostituisce un corpo smembrato, sminuzzato, a cui la moda regala, nell'estasi dell'attimo, raddrizzamenti, stirature, appiattimenti, rassodamenti. Quanto afferma Heidegger a proposito dell'inattualità dell'ornamento e della toiJette in moda può essere proprio inteso come dominio dell'attualità frammentaria di un corpo che vive sempre sulla soglia del prossimo pezzo da mutare, nell'attesa perenne di una sostituzione. Attesa estatica, non storica, che fa del frammento l'essenza, e che ingigantisce la minuzia e il particolare, a scapito dell'intero e dell'universale. Benjamin cita Helen Grund (Vom Wesen der Mode, 1935), che constata come la moda, pur «contraria al senso», si sia oggi assunta «il ruolo di madre natura» (p. 117). Il corpo artificiale è dunque corpo «naturale». I segni della sua presenza nel mondo sono oggi segni in cui vige la regola della sovrapposizione, del contrasto, della rivisitazione della natura attraverso il trucco e la tecnica, contemporanei alla simulazione del «naturale». Si può «scrivere» il corpo con l'artificio e la stanchezza, con il maquillage e le rughe, con l'abbronzatura e i segni del costume; si può giocare con la trascuratezza, levigare un volto inciso, mascherare da naturali due folte sopracciglia. La logica della moda che vuole che l'abito sia, come dice Heidegger, «la veste del momento in attesa del prossimo», allora, non è soltanto e semplicemente la meccanica ripetizione di un gioco che ha dimenticato l'ornamento. Non è il privilegio della tecnica rispetto all'estetica, ma piuttosto il costituirsi dell'ornamento come tecnica del gusto, gioco dell'eleganza. Come la metafora nel linguaggio vive tra gioco linguistico e gusto dell'enfasi, così il corpo di moda si insinua nel differimento tra meccanica rituale della sostituibilità ed eccezione dell'istante, irripetibilità di quell'attimo di cui s'attende il prossimo. Nella impossibilità a ripetere, pur celebrata dall'assoluta riproducibilità, la moda incontra ancora una volta la sua dimensione mortifera, a cui s'accompagna uno strano gioco di seduzioni o avversioni incontrollabili: il passato prossimo, la moda della generazione appena trascorsa, risulta così essere spesso, come scrive Benjamin, «il più potente antiafrodisiaco che si possa immaginare» (p. 124). Secondo Benjamin: «In ogni moda è contenuto un tratto aspramente satirico nei confronti dell'amore, in ogni moda sono virtualmente presenti perversioni nella forma più sfrontata. Ogni moda è in conflitto con l'organico. Ogni moda accoppia il corpo vivente al corpo inorganico. Nei confronti del vivente la moda fa valere i diritti del cadavere» (ibidem). Il feticismo sarebbe allora, secondo Benjamin, il nervo vitale da cui trae alimento la moda, nella sua prerogativa di carpire all'inorganico la forza di sezionare corpi e apparentarli all'inanimato. Tuttavia, questa natura devitalizzata che è l'anima del feticismo e che pervadeva il fenomeno della moda nella «modernità», si trasfigura oggi in una sorta di orizzonte mitico a cui la moda guarda con ironia, a cui ammicca nel suo ostentare, insieme ai suoi «contenuti», anche e soprattutto le storie che narrano, e i meccanismi che regolano, il suo statuto. Nel suo statuto «classico» la moda esprimeva bene la tensione fondamentale che alimenta la vita umana, individuata da Simmel nella dualità delle forze da cui la moda trae vita: imitazione e innovazione. La moda rispondeva anche all'esigenza dialettica, espressa da Benjamin, • di inserire il nuovo nello spazio simbolico, accendendo al tempo stesso «la miccia del materiale esplosivo riposto nel passato» (p. 512). Prerogativa, questa, tipica dell'infanzia, del bambino che fruga tra le pieghe dei vecchi vestiti della madre (ibidem). La forza della moda era allora quella di inserire queste «vecchie storie», questo passato caduto nell'oblio, entro una dimensione collettiva, dando corpo alla reminiscenza, che fa soccombere il singolo - come è accaduto, dice Benjamin, a Proust - e trasfigurandola, per l'appunto, in «correnti», «mode», «tendenze» (p. 514). Come sottolinea Agamben nella Avvertenza editoriale preposta al volume, «l'astuzia e l'ironia del risveglio consistono nel suo attestarsi proprio attraverso il ricordo del sogno da cui ci si desta»; allo stesso modo, «nel libro, il luogo in cui la cultura europea si risveglia è l'immagine stessa del proprio passato più recente: il XIX secolo» (pp. VII-VIII). Oggi le «vecchie storie» raccontano se stesse, fanno trasparire i fili delle loro trame, le tecniche 'O della loro edificazione, i trucchi e c::s .s gli imbrogli delle loro finzioni. La g:i moda si trascina dietro tutto il suo ~ " passato, facendoci sopra della sapiente ironia. Se, con Benjamin, è possibile - nella moda, nella pubblicità, negli edifici, nella politica - «interpretare il XIX secolo come ~ ..... ~ j j la sequenza delle sue visioni oniriche» (p. 509), oggi la moda ci offre uno sguardo sul mondo e del mon- ~ do come parodia di quelle stesse ~ visioni, passaggio perenne, pre- ti ,senza che si fa transito. L'ultima ~ disincantata mutazione della ma- l schera. ~

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