Alfabeta - anno IX - n. 98/99 - lug./ago. 1987

anzi si vuole far sentire, come una piccola scheda relativa; è quindi presentato insieme come esemplificativo e però irriducibile nella sua propria esperienza, comportando continuamente un gioco calcolatissimo di tessere. A questo punto, non c'è solo un'invenzione di autoanalisi o, come si usa dire, di autoriflessione, mentre si scrive il libro, ma c'è una duplicità inventiva che, in qualche modo, penetra anche laddove la pagina comporta un'esposizione apparentemente semplice di eventi. Maria Corti. Io mi sono domandata - e l'ho anche domandato a Spinella - perché ha scritto questo libro quarant'anni dopo. E direi che è stata un'intuizione straordinaria, perché è proprio per il fatto che questa sua esperienza personale è entrata nella dimensione tempo che ha potuto produrre il libro. Se lo avesse scritto subito dopo, all'epoca del neorealismo o della memorialistica di guerra, non potrebbe esserci intanto questo exergo, non c'è un'A.R.M.I.R., non c'è niente, e neanche il finale. In sostanza viene fuori di qui la profonda eticità che ha prodotto il libro, e sono sicura che Spinella è d'accordo con questo. La profonda eticità: in questo libro c'è quasi la vendetta del reduce, che ha visto tutti quei morti e li ha covati dentro per quarant'anni ed è di fronte a una dimenticanza collettiva, perché effettivamente la gente si comporta quasi come se non ci fosse stata la campagna di Russia, proprio perché, per i motivi che ha spiegato Porta, non c'è stata guerra, mentre il dramma c'è ugualmente. L'elemento drammatico di questo libro è prodotto proprio {~ • © R. Cobb • - - ~ • I . .. . < , , . :t""~~~ I . ,/ ~ , ;~a/'•- perché ci sono quarant'anni di di- • j/1~ ~,. menticanza e questa della dimenti- 1 canza collettiva a me sembra una trare questi due personaggi e subinozione veramente importante. to dopo gli altri?» Per cui il NarraVorrei chiudere, dopo aver par- tore è a un tempo soggetto e oglato dell'eticità del libro, sottoli- getto di questa narrazione. Occorneando la lezione che ci dà Spine!- re pensare a un altro dietro il Narla: ricordatevi che quei morti ci ratore che mette in scena il Narrasono stati; vorrei chiudere, come tore stesso, gli sottrae lo statuto dire, in bellezza, con quella straor- semiotico e gli conferisce lo statudinaria descrizione, che occupa to semantico dei personaggi. Per una cinquantina di pagine, della questo via via viene fuori quella ritirata, dove c'è il senso epico. I dimensione che Porta ha definito soldati che muoiono assiderati e «onirica». Io leggerei tutto il libro che a causa della morte per asside- (e Porta sottolineava come questo ramento hanno in quel momento fosse nella realtà delle cose), come un sorriso estatico. C'è qualche una sorta di allucinazione della cosa di sublime in quella descrizio- realtà, e quindi ancora più dramne, e sono i momenti, a parer mio, matico. Siccome la funzione metapiù belli e potenti del libro. narrativa scolla canonicamente la Stefano Agosti. Vorrei riprendere alcune cose, e in primo luogo la figura del Narratore, che nel libro di Spinella è addirittura doppia, proprio come figura di Narratore. Di solito, il Narratore, anche se è meta-narratore, non è implicito, ma è esplicito, fuori dal racconto, è una figura abbastanza univoca, è una figura semiotica. Il Narratore di Spinella allo statuto semiotico aggiunge anche uno statuto semantico, cioè il Narratore è anche personaggio. Il modello, in questo caso, penso, tra i tanti romanzi può essere Jacques le fataliste di Diderot, dove il Narratore entra nell'azione. Infatti, c'è una figura alle spalle del Narratore, che possiamo denominare l'Autore, che è depositario sia della fabbricazione del testo, sia delle sue scelte stilistiche, ecc., il quale addirittura dialoga con il Narratore. Per esempio, «abbiamo detto, lo ha detto il Narratore che tutto sa che il Sergente Trimbali», ecc.; oppure addirittura vi sono dialoghi tra il Narratore e il lettore, per esempio: «Non le sembra di esagerare, Signor Narratore, facendo inconJ I~, ·-fJ. rappresentazione dalla realtà, in questo caso lo scollamento da una realtà, che invece c'è stata, finisce per portare questa realtà che c'è stata a un grado di allucinazione che la rende ancora più drammatica. Parlerei proprio di un grande libro in cui si opera, si attua, un'allucinazione del reale. Antonio Porta. Anche l'allucinazione del reale, sottolineata benissimo da Stefano Agosti, ha radici storiche. In sostanza, il regime fascista era ormai un regime fantasmatico che produceva morte: questo è uno dei grandi temi del romanzo. E due tra i momenti in cui mi pare sia raggiunta l'epica, sono il momento del suicidio di Inge, una devota nazista, che vede crollare all'improvviso il mondo intorno a sé perché capisce che il suo capo ha mentito, e si uccide. E l'altro momento, invece, tutto italiano, è il suicidio dei carabinieri. Durante il ritorno, un colonnello dei carabinieri chiama i suoi uomini e dice loro di non poter più garantire nulla, né armi, né cibi, né rifornimenti, nulla; e di fronte ' ~ ,. • . •• ___ , r '~ ~ ~~~== -- . _-, . ~ - __,_ e .,. ...._-; • .-~J~✓..._._'t-6ta~ ..,. -.....,,,.---· _ ........ -_ , - - - ,-4,- I' I a tutti si mette la canna della pistola in bocca e si spara - suicidio che tra parentesi mi ha ricordato quello di un uomo politico americano alla TV. Molti carabinieri lo imitano compiendo lo stesso gesto; e sono gesti conclusivi, anche dal punto di vista politico. Quando i reduci tornano in Italia, vengono soccorsi da alcuni volonterosi della milizia fascista che portano loro dei generi di conforto, e tutti rifiutano questi doni: tutti, ma senza che la cosa fosse preparata, assolutamente. C'è anche la cancellazione di un regime, in questo romanzo. Noi avremmo cancellato questo passaggio della storia, come diceva Maria Corti, se non fosse arrivato l'artista, il romanziere, che con i suoi strumenti 1~ha riportato alla luce. Maria Corti. Io vorrei fare una piccola postilla alle ultime affermazioni di Agosti commentate da Porta, quindi a entrambi. Quello che a me sembra ancora più bello di questo libro è che l'allucinazione del reale - che ha anche, appunto, ragioni storiche, ecc. - ha luogo in una lingua pianissima, che scorre via, quasi colloquiale, e riesce a essere epico, drammatico, allucinato, con un linguaggio che non ha nessuna carica formale eccessiva, cioè la carica formale è raggiunta senza eccessi formali. Quindi è una grossa lezione anche per certi narratori d'oggi, che pensano di aver bisogno per forza di un linguaggio molto carico. Ancora, per chiudere, questo libro ci mostra come fossero poco fondati tutti i discorsi di due anni fa, dell'anno scorso, di tanti giovani narratori, sull'eutanasia del romanzo. Dall'autunno a adesso, sono uscite almeno tre opere, tra le quali questa di Spinella è di massimo rilievo, che mostrano tutt'altro che un'eutanasia del romanzo ma perfino lo svilupparsi del grande romanzo, sia pure in forma modernissima. Francesco Leonetti. Sento parlare di allucinazione, e mi sembra che sia l'allucinazione delle illusioni che muovono i grandi processi storici, degli inganni, della guerra. Mentre invece nel libro, a mio avviso, ci sono i grandi luoghi della storia e del poema. A dire il vero, mi sembra che non ci siano le intense situazioni narrative degli altri libri di Spinella. Poi mi fermo un poco sopra a pensarci e mi rimangio questa osservazione critica, dicendo che c'è una grande situazione narrativa iniziale, che è stata presente prima solo in Vittorini: il treno e la gente in esso. E per Spinella è la tradotta, il vivo di questa tradotta che va e intanto si gioca a carte, si attende, si va su una sorte tragica: è veramente un'invenzione narrativa che in qualche modo va al di là degli eventi a cui si riferisce. Antonio Porta. Diciamo che questo treno ha solo l'andata, perché il ritorno è impossibile, e quindi il ritorno è la morte. La ferrovia è stata distrutta dall'esercito sovietico. Stefano Agosti. L'omologo del treno, nel ritorno, è una figura tremenda, che è la figura del bruco che passa verde nella neve e che è la grande ritirata degli Italiani dalla disfatta del Don. Da una parte il treno, la tradotta, tra-duco, vado chissà dove; il ritorno - il n6stos, c'è anche questa ironia, di solito l'ironia tranquillizza, invece qui diventa angosciosa - c'è la figura del bruco e il ritorno a cavallo del bruco, e dietro non c'è assolutamente nulla.

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