Alfabeta - anno IX - n. 98/99 - lug./ago. 1987

<<Lbeiella,luipiùbello>> L'attesa Cristina Annino In treno un cane con la zampa levata, leccandosi le labbra verso l'uomo del caffé che gli offre una pasta. Per scherzo. Il padrone dice «no» gentilmente. Ho aria calda davanti e dietro; penso a una reclam: lei bella, lui più bello, uomo di Vogue e anima dostoevskiana, più anima che cervello, solo anima e avrebbe potuto ucciderla col braccio anche steso, eppure zimbello di lei. Così per infinite ore di terra, ho quella foto avanti e il cane dietro. Che bisogno c'è d'avere paura? Perché si teme sempre di non averne più, quasi fosse birra? Non vedere più destini, crederlo magari, ci rende ridicoli, come dire in balia dei primi assassini di strada. Il cane ha ingoiato la pasta; ora da un metro d'aria mi fissa; è un bel vento il suo moto interiore, motore azzurro più d'un nastro. S'apre talmente a cassaforte, sull'ombelico, che sembra stato li da secoli su un divano, col viso fermo. «Vogue, gli dico, bel Vogue o almeno Vestro». Sia come sia dovremo stare così, e sedere e avere pazienza. Ricordo l'iride d'un quadro; la odiai per mesi. Quella forma che pareva gelato a cubetti messo lì come un cencio. Avrei potuto invece andare all'aperto, cantare o innamorarmi. Ma quando un difetto diventa virtù: ci scrissi su un libro. Finché arrivano gli indiani: c'è una mostra dentro, ma anche fuori la sua afflizione sa di nero pollice. Veloce, lo scompartimento; lei pensa a un po' di bellezza. Tutti, pensiamo. lo a chi non debba niente, che non mi aspetti ma che conosca: Henri Julien ed Henriette del Moulin Vieux, gente che battezza, indiani morti, poliglotti per bene, coi loro comunisti Francia-Spagna su cavalli nel treno. «L'altezza ha cambiato vortice, da franchista s'è fatta parallela» diranno. E io «non mi resta che la b;rra coi gradi? V'aspettavo!». Bene. Eccome. Ma ancora «Il finto è l'aspetto depurato del vero», non so a chi, alla mosca forse, al cane, loro, indiani santi. La paura, allora? «Impossibile: tutto è talmente provato, bollito sbollito. L'universo come un cucchiaio s'è reso comprensibile». Un evento è un evento, non è storia. Ora posso scendere se scendo dal treno, se sento freddo, se il mondo mi va di traverso; non si capisce mai in un altro né attraverso né per. Dovrò vedermela la paura accanto come un vetro, metterla sotto vetrino; birra, certo: è concreta più d'un oggetto. È. Esprimo così - capite? - che svendo, non scordo, che sono al limite dell'impresa. Il velo del calco Riccardo Held Ora ti prego dio delle macerie Non lasciare che il vento la trascini Trova un angolo in ombra ben protetto Nel luogo del catalogo nascondi Lei che non ha talento di vestale Né l'incarnato ha pronto per l'altare.• Emblemi, allegorie, svelte dimore, Quasi disabitati appartamenti, Sogni distanti dalle cose, attenti Che non si tocchi il sonno al confessore. Fra buio e notte mai tanta discordia Si fece quieta dentro un solo grido Di sirene, nutrite in acque morte, A sventagliarmi di paure il ponte Con raffiche di vento, di rumore; Nel cuore poi senza fatica incorsi Come tra vene limpide di ghiaccio sempre tu che ti nascondi; Questi che il sonno trascinava in danza Si urtarono con quelli che schierati Sgorgavano da più prof onde tane, E ci fu guerra in trame di silenzi Di che scudi e che lance non so dire, Lo saprai tu che tieni sulle spalle Quello che mi rimane da sognare E sei curvo per questo del futuro E non mi ascolti e taci e non rispondi; Ma quell'uomo velato era una donna Con un coltello e il secondo velo Sopra il mio letto non mi proteggeva E il fagottino ricacciato indietro Due braci rosse, un pigolio omicida Impersonale come una missione Che mi atteseper mesi nell'ingresso E il fiato lo sentivo dietro al collo Come un mantello, rasentando il muro. lo lo so di saperlo, l'ho sognato Un ricordo di morte, una vergogna Dei miei e di me stesso, me presente E un disgusto bruciato nell'odore Come quello del trapano sul dente. Era un'alba nel sogno ma la notte Ancora balbettava tra le fasce Forse di parto, forse di estinzione Del mio tempo reale che, stordito, Farmisi incontro appena distinguevo Nessun giardino a me privato sorse Da quel prodigio da quei corpi stretti Nulla dell'Eden, solo una certezza Maligna come ruggine sul ferro: Essere figli sempre astrattamente, Divisi in un rancore senza storia A scavare trincee di una memoria Che non è nostra e ancora ci appartiene; Erano i fuochi e molti erano giovani, Raccolti alla coperta dei comizi Con propositi fermi di rivolta Bastava poi un intonaco d'azzurro A una svolta di strada sullo sfondo Per sibilare un minimo sgomento E frenare lo slancio e fare incerta La strada e subito insicuro il passo. Un'immagine è più di una visione Molto più di un pensiero, di un sistema Se dipingeva giovani corazze Con i colori di una confessione. ma ancora un'impotenza onnipotente, non conoscendo segno di diritto, si dispiega dovunque lentamente inchioda alla funzione ed al profitto, di topi di cadaveri di ragni forse di sentinelle di deliri si gonfia l'acqua interna degli stagni mista derisioni e di raggiri e in fosse avanza un'ombra dalla cima una strisciata aurora si conforma scava buchi nel cuore dove prima si contentava di lasciare un'orma: emblemi allegorie svelte dimore. Superfellar Lucio Mariani Il sorbetto si gusta in tanti modi Ma nocciole e cassis meriteranno Più devote attenzioni. Prima tulipando le labbra Sul profilo di cupola Elusiva prenderai il calco Poi la corda sottesa Di lingua vibrerai Vellicante eccessiva Ut arpista dionisia. Ora il giunco è fastoso in colori namibi Di nodi pastosi bisunto Un oltraggio Da occludere nel pendolo di fuoco Tra labbra iugulari E ciuccio/are spasimo e midollo Con rumine paziente. Dai retta a me e un dio ti sarà grato. Biscuit Lucio Mariani Dopo Le bravure argonatiche Amico savoiardo Ti vedo imbibito Escrescere a capo incline verso Il bordo della tazza Temo sempre imminente il distacco L'orrido splash (Urano qual perfido fato!) Senza che speme o spuma d'Afrodite M'apparecchi il conforto Strafoia Lucio Mariani Una eredità fraudolenta Soltanto Consumabile dietro le persiane Questa mammutica foia Grassa sempre È minuziosa quale Un finale di razzia. Non voglio che ne resti Nemmeno un po' Per terra o sul sedile E il barile assi/uro Con ogni fallo irto Per frizione scarpetta Quanto timo Ab imo gorgoglia. Da Pandemia Figlio Guido Oldani Un più che insieme nostro non si scioglie include, opera è lui su noi vivi non oltre radicando; dagli avi viene eppure in dirami a successione o (peraltro il modo) loro in capolino ecco e intanto idea in vezzeggio primavera inabissando zolla seme a reliquiarsi e poi. Generazione Guido Oldani Voi voi che inseguo mi estinguo d'un tratto compagno muovendo. Si cresce in maggiore (mio passo slisando incipiente) vostrempito corpo. Sfiorate in saluto le dita di mani" in un gesto il distacco, io polvere in nube lontano d'opposto voi punto a orizzonte salendo. Tu e loro Guido Oldani Tu che ne attingi a seme figli sole parendo quel che avvolge incontro e che sai sai sapore insapido silenzio, da lì traendo o circa lor passi e via crescendo rumorosi oltre a ridire di me meglio alla riprova loro. Risultanze Guido Oldani Senza seme quasi a caso non voluto sprizza verde incontenuto rampicante. Poche dita appena esposte coagulate a un muro pietra senza nome si serpeggia. Non mai chino a qualsiasi peso sé abbracciando a voce immota quello basta, nome e data d'altro tempo valicando.

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