uomo gigantesco, carnuto, i capelli crespi, i lineamenti da negro: ma, particolare tremendo, la sua pelle luccicava lattescente, di un candore smorto erano i riccioli, e viola bianchicce le labbra tumide. Era un gigante albino, un obeso slombato e sfatto, che doveva addirittura essere portato a braccia e poi calato con le corde nella barca, simile a una medusa molle e informe, priva del pensiero. Quindi, ultimo ricordo, la scena del deserto. A metà via fra il Mar Rosso e il Nilo, in una valle riarsa, costellata di strane rocce rosse, coniche e appuntite, stava accampata la spedizione di Harkhuf. Riverso sotto un baldacchino, il ventriloquo giaceva agonizzante: i disagi del viaggio l'avevano annientato. A un certo momento levava il capo, si guardava intorno con due occhi acquosi, bovini, vellutati da sconce ciglia bianche; poi cominciava a vomitare: vomitava lentamente, a piccoli fiotti; lasciava sgorgare un'acqua grigia come ferro, dall'aspetto gelido, quasi scaturisse da una cisterna sotterranea. «Muore senza aver più detto nulla» commentava una voce, forse quella di Harkhuf: «il mondo non ricomincerà mai più». L'uccello torcicollo e altre settimine Dopo quasi trent'anni vissuti a Londra, il signor Vasubandhu, preso da una crescente nostalgia per l'India, decide di passare in patria la sua vecchiaia. A Bangalore, dove con la numerosa famiglia ha trasferito il suo negozio, ritrova tutto quello che cercava: l'India sgangherata e ingegnosa, sudicia e amorevole. Ma con suo stupore, quella nostalgia che l'ha spinto a partire lo pervade ora ancor di più. Nostalgia di che, se è già arrivato? Non è insofferenza per l'India, semmai è affetto: un amore crescente per il paese, un anelito dolente per qualcosa che c'è nell'aria, che lo accarezza e sfugge via. Fra il baccano, i canti, i suoi profumi sporchi, l'India gli chiede: «Abbracciami!», e lui risponde: «Eccomi!», e, nel dir così, non capisce perché il cuore gli si gonfi di ansia e di tristezza. Un giorno, inquieto per la sua inquietudine, il signor Vasubandhu porta tutta la famiglia in gita: vanno a visitare il grande lago artificiale di Tungabadhra, a nord di Bangalore. C'è molta gente che passeggia sulla diga, altri fanno merenda nei giardini; ovunque grida, calura e foschia, aiuole curate e aiuole sconnesse, gente che dorme o che strimpella, prati spelacchiati. Che disordine! Che paesaggio informe! In India manca sempre qualcosa a che tutto sia al suo posto. Ma se fosse proprio in questo il fascino dell'India? Ciò che porta a sognarla quando si è lontani nel mondo? Il signor Vasubandhu lascia la famiglia coi suoi cartocci di curry e, siccome è sempre rimasto religioso, va a pregare nel piccolo tempio in cima a una collinetta boscosa, poco sopra la diga. Lì, dopo un breve atto di devozione, si sdraia vicino alla statuetta di Hanuman, il dio scimmia. E, nel dormiveglia in cui subito cade, gli torna in mente, chissà perché, sua nonna che gli raccontava la storia di un uccello ... ma quale? Era un uccello che cantava sei note in scala, per tralasciare sempre la settima e ricominciar daccapo. Era l'uccello meno-uno, protettore, diceva la nonna, di sua sorella nata settimina, e di tutte le bambine settimine. Oppure no: era l'inventore delle storie settimine, quelle storielle un po' incompiute che raccontava la nonna: narrazioni così brevi che parevano venute alla luce prima del tempo necessario per completarsi, favolette delicate, come bambine nate settimine ... Ce n'era una ... Il signor Vasubandhu è ormai addormentato; e nel sonno vede Hanuman che balza via dalla sua nicchia e gli si para innanzi; ma mostra ora le sembianze di un uccello. «Vasubandhu!» lo apostrofa Hanuman, «com'è che non mi riconosci più? Sono l'uccello torcicollo; sono io il signore delle settimine!» «Tu menti!» bofonchia Vasubandhu, «mi ricordo di te: tu eri l'uccello che sa ruotare il capo tutto indietro: ci facevi girar la testa e innamorare delle donne. Ah, che tristezza». «Sei triste? Ma non sapevi allora che ero proprio io l'uccello meno-uno? Io conosco le altre settimine! Ora ascolta: un tempo il dio dell'amore, il dolce Krishna, vagava invisibile per il mondo; gli amanti non lo scorgevano, ma sentivano la sua presenza e abbracciandosi più forte sospiravano di solitudine e struggimento. L'uccello meno-uno e l'uccello torcicollo volarono allora da Krishna e gli dissero: 'Mostrati, o benevolo, almeno in India' ... ». E il signor Vasubandhu si sveglia. Laggiù, ai piedi del colle, scorge nella confusione la sua famiglia: le nuore che giocano a palla, la moglie che confabula con la sorella settimina di lui, i figli che discutono col sorvegliante della diga, i nipoti impiastricciati di curry ... E tutto questo nell'afa, fra le cornacchie, le farfalle posate sul cofano sporco dei furgoni, due mendicanti seguaci del dio Shiva... E ancora dietro tutto questo, un'immensità imprecisa e sognante, le colline brulle che lontane, lontanissime, si disfano nella bruma del lago ... C'è tutto meno uno: Krishna ... Krishna, da quando è apparso, sta sempre alle spalle: per vederlo si dovrebbe torcere di mezzo giro il collo... «L'India mancherà sempre a se stessa» pensa il signor Vasubandhu, col cuore che gli trabocca non si sa se d'amore o nostalgia: «per questo l'India è il sogno del mondo». LestradecheRf!!anoal fucino O Strada, adito orrendo ove apparir deve il dio Ignoto, ampia si che con quattro quadrighe di fronte vi possa procedere un novo Trionfo latino, angusta tòrtile e sozza come budello bovino ... Q ualora mai dovesse capitarvi, viaggiatori lungo le terre dell'Italia centro-meridionale, di tra le nevose pendici appenniniche, innevate a volte sì, a volte no, a seconda delle stagioni, a tratti semplicemente imbiancate d'un sottile velo di neve, e sulla strada nella suggestiva prossimità di quelle vette severe e quanto rispettabili a vedersi, benché non altrettanto maestose delle alpine, le quali potranno presentarvi tuttavia un perfetto quadro dell'incantevole e del sublime, «della bellezza che dorme in grembo all'orrido», qualora mai dovesse capitarvi di attraversare come per qualsiasi singolare caso quella ridente regione che dicono la Marsica, se avete percorso, sortiti presso il casello di Pescara dalla autostrada A 14, avendo costeggiato quale greggia il litorale adriatico a partire presumibilmente dalla riviera romagnola la greve di umori, imboccando poi la A 25 e percorsala fra le nevose, pendici dell'Appennino abruzzese risalendo il corso della Pescara cantata dal Poeta, nell'incombere delle severe vette cariche di tempesta oppure di deliziosa . frescura, sebbene non altrettanto delle alpine, se avete percorso poco meno di un centinaio di chilometri nella direzione sud-occidentale a partire dell'amena città di Pescara lungo l'autostrada A 25, giù sino a Popoli e di là da Popoli, a Pratola Peligna, a Cocullo, m. 870, assai nota per la caratteristica festa di S. Domenico, per la quale occasione la statua del Santo viene tutta riem!')ita di serpi vive, guizzanti, che ti vien voglia di fuggirle oppure di mangiarle, e magari friggerle sino a Cocullo e di là da Cocullo per le praterie vie più aperte, poi uscitevene a Pescina, usciti da Pescina, voi potreste imboccare, giunti al quadrivio della cittadina di Pescina, punto di partenza di splendide passeggiate, la statale n. 83. Codesta strada, che vi offrirà panorami incantevoli, aggirandosi a tratti sulle alture ricoperte di lavanda, timo, ginepro e tamarisco, si snoda tra boschi di faggi, querce, cerri ed aceri, e fra località dai nomi di nuovo assai invitanti, quali Venere, o Gioia dei Marsi, o Sperone, e più giù, di Gioia vecchio, giù sino a Pescasseroli m. 1167, sita in una conca di monti con grandi macchie di faggete e di pinete, località di villeggiatura estiva e di sport invernali, che può vantarsi di aver dato i natali al filosofo Benedetto Croce. Lì sareste nel cuore del Parco Nazionale degli Abruzzi, ove potrete trascorrere come usa gradevoli giornate in picnic in compagnia di tutti i vostri parenti, dai vostri suoceri ai vostri nipotini, sostanziate, come già state sognando, di un frizzante sentore di barbecue, sfrecciando già in compagnia della vostra consorte e dei vostri figliuoli nella vostra veloce berlinetta, quello di tutti gli altri mescolato con quello vostro, il sentore, barbecue su barbecue, osso su osso, invero un poco divertendovi con il vostro sin troppo vivace cagnolino, mescolandosi l'odore della corsa e l'odore della bava del cane a tutti gli altri odori, in primo luogo quelli dei barbecue vostri e degli altri sui prati, tutti insieme in un solo fumante e odorosissimo peana. Tutti d'accordo, sì. Tutti a sorridersi nell'erba. Sempre più forte, sì, tutti. Ecco i pastori, che vanno pel tratturo antico al piano, ecco i pastori. Ah perché non son io co' miei pastori? ecco i pastori. Tutti a guardarli anche per !'«erbai fiume silente», ecco i pastori; a guardarli tutti: forti, forti che sono, tutti. Allora i sensi tutti si risveglierebbero, e i più inconfessabili vostri desideri. A quel trascorrere di belati e pecore sul fiume erbale, placido passaggio, quando in silenzio due montoni si prenderebbero a capocciate, è così. Allora, tutti, tutti sarebbero contenti; gli uccellini cinguetterebbero, i bambini sgambetterebbero, i capretti sfrigolerebbero sul barbecue. (Oh, la cicatrice ora si smargina ... ) Benissimo, quelli che rincorrono la palla, quelli che saltano la campana così così, quelli che sbocconcellano una merendina, se hanno merendina, quelli che gettano i ciottoli nel ruscello malinconici, quelli che si passano la palla che rotola sull'erba e rimbalza sull'erba, erbale scia, quelli che selvaggi mordono «la barra che vi farà ruggire di piacere»: Lions! (nella realtà, una specie di «Mars»; ma ci sono ormai tante di quelle merendine! anche nel tuo freezer, bambino), quelli che spiano con pace voluttuosa, eppure carica di inquietudine, la propria giovane sposa, quelli che scrutano con voluttà dalla testa ai piedi le spose ancor più carine e giovani degli altri, (e ahi quante mogliettine a tirarsi le sottane fra di loro, ahi!, sull'erba), quelle appunto con le • c1ne. seggiolino, il signore, preso dal languore, si carezza i cosiddetti; insomma, un'atmosfera davvero satura di erotismo!... Taluni a snocciolarsi il rosario, nonostante, a sgranocchiare i celeberrimi peanuts (nel doppio senso di fumettini e di spagnolette!), taluni già a piluccare con gusto alcune delle copiose vivande. I bambini in canottiera prima o seconda misura che incespicano e ridono e dicono: «Papà!. ... » e la mamma dietro, su, a raccogliergli il cappellino, col grembiulino e le sottane la mamma nonostante, a calcargli sulla testa il cappellino, che gli scappa dalla testa il cappellino, sennò gli piglia l'insolazione sulla testa. Piglia bambino! bene, nemmeno i lupi parran più tanto cattivi, soprattutto se con aria attenta e cocrJ 1nema Rivista trimestrale fondata da Adelio Ferrero in edicola e in libreria il numero 47 nel nuovo formato a colori 100 pagine Lire 10.000 In questo numero: De Palma, Russell, Jarmusch, Rohmer, Scorsese, Resnais 10 storie per rtlm-maker Busi, Comolli, Fiori, Lodoli, Manfredi, Panebarco, Pascutto, Piersanti, Rasy, Tondelli Abbonamento a quattro numeri Lire 35.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa belle gambe che sgambettano sul- !'erba, quelli che accasciati sul seggiolino pieghevole agitano a mo' di ventaglio non le gambe ma il quotidiano locale, con gesti plateali, o che ronfano coperto il capo dal quotidiano locale, appena adesso ridivenuto ventaglio, milleusi quotidiano locale, anche perché, diciamolo, sono grassi; il fantolino, destandosi, solleva le manine verso Iddio dall'innocente me circospetta (Uuuuhh), si avvicinano alle vostre tenere bambine, vicini vicini, lasciando risplendere i dentoni all'affacciarsi timido timido di quella gioiosa spera di sole che voi, Uh!, come imprecando «cicciso!» avevate già tanto implorato (non diversamente, dirà qualcuno, mi salutava la mia povera madre, appena avanti ch'io mi confondessi nell'oriente sole, lasciandola sulla soglia), che già avevate implorato, mentre il vostro barbecue, ecco i vostri amatissimi suoceri, i vostri stessi fantolini già paventavate risucchiati dall'acquazzone turbinoso, giù vorticanti nella imminente piova, e allora cari miei addio capretto. Posto che le vostre davvero siano bambine, e posto che siano poi tanto tenerone come immaginate voi. I grandi denti si serrano, la faccia del lupo fa slurp!, la lingua lo fa. Buona la pappa, i capretti. Sfrigolerebbero sfrigolerebbero. Così, se Dio vuole, anche i bambini; a Lui sollevando le manine; si sono proprio divertiti. Lupi cattivi, teneri capretti, belle bambine: questi i tipici ingredienti di tutte le favole del mondo, e non soltanto dei vostri barbecue nel Parco Nazionale degli Abruzzi. Sarà stato a Pasquetta o invece a Ferragosto, come potete supporre; l'esperienza insegna difatti che sono queste, in assoluto, le giornate più piovose dell'anno, quasi quasi che il Sole stesso malandrino si seccasse di offuscarsi di tutti quei fumi e di tutti quegli strilli di atterrite tenere bambine, e bambini, e caprettini, nel Parco Nazionale degli Abruzzi. Una giornata di Pasquetta davvero faticosa! che cosa sarà domani di noi? che cosa sarà domani di noi? Eppure, si potrebbe agevolmente congetturare che tornerete in ufficio per la quotidiana routine. Un'altra cosa che potreste fare, ma questa sera, visto che vi trovate da quelle parti, è una puntatina a Villetta Barrea, altro paesino dall'assai ameno nome, come si noterà, circondato da boschi di pino nero di Villetta Barrea, per mangiare con la vostra compagna le famose quagliette: T'avrei del fritto scelti/i più dolci pezzetti/e per te i petti/al pollo sveltii, già, ma mettete le quagliette al posto del fritto e dei petti di pollo; potremmo indicarvi Alla Campana d'Oro, ristorantino di aspetto rustico ma di squisita raffinatezza ed intelligenza in ogni dettaglio del1'arredamento (tutto in legno, s'intende, dal soffitto agli zoccoli dei camerieri), dalla stuzzicantissima, fantasiosa lista, ricca di denominazioni sorprendentemente francoabruzzesi, ove voi siete deliziosa-
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