Mario Spinella Lettera da Kupjansk Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1987 pp. 408, lire 24.000 Stefano Agosti. La novità di fondo di questo libro di Spinella, che a me è piaciuto moltissimo, è una sorta di antinomia operativa, cioè l'assunzione di un materiale epico che viene sottoposto a un trattamento che è il contrario dell'epos: infatti, Maria Corti, nel risvolto di copertina, parla di «un epos che è solo sfiorato». Per riprendere le definizioni presenti in un bellissimo saggio di Bachtin, si può contraddistinguere l'epos come memoria collettiva, azioni e destini esemplari e rescissione del tempo in atto. Allora, se teniamo presente questa terna e proviamo a verificare il trattamento che Mario Spinella dà al materiale epico, vediamo che il trattamento è veramente opposto ai tre punti di cui parla Bachtin. C'è anche l'espressione idiomatica «qualcosa di epico», nel senso di qualcosa avvenuto una volta per tutte, che come tale resterà. Per quanto riguarda la memoria collettiva, si potrebbe allora vedere nel romanzo di Spinella una omologazione dall'alto alla memoria collettiva del Narratore, il quale interviene appunto dall'alto, quindi ha una visione - diciamo - apparentemente obiettiva, ubiqua. Infatti, si parla contemporaneamente sia di·cose che succedono in Russia sia di cose che succedono in Germania; tuttavia questa visione dall'alto è continuamente contaminata da una focalizzazione che, a distanza ravvicinata, è addirittura rasoterra, per esempio il detrito, il dettaglio alimentare, i rifiuti e via di seguito. Secondo punto: le azioni. Le azioni non sono per nulla esemplari. Le azioni non si compiono, il nemico addirittura non appare quasi mai - si vede sotto forma di carri armati. Ho notato inoltre che nel libro ci sono solo due colpi di fucile, che vengono sparati uno dal Narratore, anzi dal doppio del Narratore, il personaggio del Sergente Trimbali, contro i corvi che stanno divorando dei cadaveri di russi appesi a un albero dai tedeschi per rappresaglia. L'altro colpo di fucile è sparato nel corso di un episodio bellissimo, trattato in forma ellittica, che mi ha ricordato Stendhal; mi riferisco all'episodio nel quale il Tedesco, rifugiatosi nell'isba, il mattino, quando si alza, ammazza la russa e il bambino e viene abbattuto a sua volta da un compagno di Trimbali. Ecco, sono i due unici colpi che si sparano nel libro, ed è interessante notare che essi sono diretti uno al Tedesco, l'altro al corvo, quindi si può stabilire una omologazione tra il corvo, il branco di corvi, e il Tedesco. Anche i destini si perdono, si interrompono, ~on sono mai conclusi e addirittura lo stesso destino del protagonista si dà come destino illusorio, nei senso che, alla fine, viene-sospesa una ipoteca, una forte ipoteca diirrealtà sulla figura del protagonista, del Sergente Trimbali. - Terzo punto: il tempo assoluto, la cosa accaduta, di cm parla Bachtin, l'evento immodificabile, proprio perché è accaduto in un certo tempo, non si verifica, nonostante la gravità e l'epicità dei fatti che sono effettivamente accaduti: questo tempo memorabile non c'è, si rovescia addirittura nel tempo fittizio di una narrazione che sottolinea incessantemente se stessa come finzione. E qui l'autore dà una chiave di lettura molto bella: il protagonista, Trfmbali, se ne va, per tutta la campagna di Russia, con l'Orlando furioso in tasca. Ecco, nell'Orlando furioso vi è un incessante lavoro proprio di metadiscorso, alla clausola dei singoli canti e all'inizio dei canti successivi, dove appunto viene sottolineata la finzione come finzione, la favola: nel caso dell'Ariosto è il Narratore che è il depositario della storia. Il tempo della narrazione di Lettera da Kupjansk è messo in crisi quando il récit si interrompe in quanto atto di scrittura e il Narratore si chiede: in questi mesi che cosa ho fatto, l'anno scorso sono arrivato a questo punto della narrazione, adesso potrei continuare o meno. Quindi, ecco che abbiamo fatti accaduti realmente - la guerra c'è stata - fatti molto gravi, fatti epici - nel senso, appunto, che sono accaduti e stanno nella memoria collettiva - che sono sottoposti dal Narratore a uq trattamento che è anti-epico, per i motivi che ho enunciato. Francesco Leonetti. La seconda parola del titolo di Spinella mi fa dire: cupi anni, colpa, cupio dissolvi, pietà, piangendo, scaricandosi, scarica, annullamento, schifo e anni del passato, Kafka, casa. E la prima parola, «lettera», si associa con: lievemente tutto era, let- _teralmente, letto e amore, memoria e malinconia tra la gente, con gli altri. Dunque mi piace molto il titolo e mi suggestiona, mentre trovai sbagliato quello del romanzo precedente, Le donne non la danno, che avrei voluto mutare con questo: Le donne non danno la fine. Ritengo che Spinella sia scrittore per atteggiamento e per elaborazione. Gli è insieme caratteristico il fuoriuscire dalla scrittura letteraria: agisce, diviene teorico, o si contraddice, si disperde: è docente e dirigente politico. Il suo periodo teorico che amo di più è quello del nesso Marx-Freud. È successo anche a me di fuoriuscire: ora ciò mi pare un atto di qualità. Dubito dello scrittore abbondante, che non si smonta mai, e del letterato continuo. La tradizione che Spinella elabora è quella piuttosto novecentesca centrale della narrativa: Svevo, Gadda. Scrive antico, però stima chi innova anche sulla superficie linguistica. Mentre il suo timbro molto inventivo è per lo più ironico, grottesco, seguendo e sviluppando quella tradizione interpretata da lui, mi sembra che egli cambi radicalmente in questo libro. Maria Corti. Quest'ultimo romanzo di Spinella è un libro, a parer mio, molto ricco e - come dire - «Pornografia» © R. Cobb polivalente. Del resto il discorso di Stefano Agosti già lo ha mostrato. Lo si può leggere, cioè da vari punti di vista. Per esempio, c'è un punto di vista, il primo che si adotta, per cui sembra un romanzo storico. Però c'è un exergo che dice: «Del resto, come tutti sanno, non c'è mai stata né un'A.R.M.I.R, né una guerra, né una Russia». Questo mette subito in sospetto sulla semplice lettura di romanzo storico, e solo alla fine del libro capiremo cosa voleva dire questo exergo. Un altro punto di vista può essere quello narratologico, perché è un libro in cui c'è una riflessione acuta sulla figura, la funzione anzi, del Narratore. Vediamo che il Narratore a volte è il classico narratore, nel senso appunto della meta-narratività; ma a volte diventa Mario Spinella il quale dice: adesso scendo al bar a bere un caffè,. a Milano. Questa è già un'operazione originale e curiosa, ma ha qualcosa di più: c'è un Narratore che parla in terza persona e che noi sappiamo che ha dietro di sé l'autore, e c'è il personaggio Trfmbali che è autobiografico, poi alla fine il Narratore e il personaggio Trimbali si fondono nell'io e non c'è più lui, !'egli, ma c'è Io: il personaggio, nell'ultima parte, che parla in prima persona. Spinella ha detto di aver pensato il tutto proprio in chiave, come dire, di trilogia. Per esemp10, lui ha pensato a un'andata in guerra a una presenza e a un n6stos, a un ritorno: quindi c'è una struttura importante. Mi pare poi una cosa originale che di fianco ai personaggi individuali ci siano dei personaggi collettivi, tre popoli che emergono m un rapporto di collettività con la loro sensibilità, con la loro coesione. Nei personaggi individuali - altro elemento importantissimo di struttura - ha inserito la tecnica del flash-back, attraverso la quale può dirci di ognuno che cos'era e cosa faceva prima della guerra, ed è a questo punto che noi ci rendiamo conto che Trimbali è decisamente l'autore. Prima di chiudere questo primo intervento, vorrei ricollegarmi a quello che ho detto all'inizio: non c'è una guerra, non c'è un'A.R.M.I.R., non c'è una Russia. Allora, per capire l'exergo, dobbiamo guardare il finale del libro, dove il personaggio che dice io è ormai Mario Spinella, che compie la stessa operazione simbolica di fronte a Messina, quando in un primo momento ha l'impressione che Messina sia una città conservat~, non distrutta dalla guerra, poi si accorge che sono rimaste in piedi solo le facciate, che Messina non c'è più. È a questo punto che dall'exergo e dal finale emerge il messaggio etico del reduce. Ma sul messaggio etico parlerò in un secondo momento. Antonio Porta. Vorrei cominciare precisando che le vicende narrate in Lettera da Kupjansk vanno dal luglio 1942 al marzo 1943, quando, appunto, inizia e finisce la grande ritirata dell'A.R.M.I.R., cioè l'Armata Italiana in Russia (questo è il significato della sigla A.R.M.I.R.). Condivido tutte le analisi che sono state•fatte finora; vorrei aggiungere che il senso di irrealtà di cui tutti hanno avuta la percezione e che è annunciato dall'epigrafe (ji cui ha parlato Maria Corti, ha anche radici storiche, perché i soldati italiani non hanno combattuto in Russia; hanno combattuto ·solo nella prima ondata, prima della" ,costituzione dell'A.R.M.I.R.; solo quelli che sono entrati subito in Unione oviettca con i tedeschi, hanno combattuto e alcuni, per esempio gli alpini, si erano attestati sul Don. L'A.R.M.I.R. è un'armata successiva di circa 200.000 uomini, che non ha quasi sparato un colpo di fucile, perché, arrivata al fronte, si e dovuta ritirare istantaneamente quando, nell'inverno 19421943 è cominciata la grande controffensiva dell'esercito sovietico. Secondo elemento che dà radici storiche a questo senso di irrealtà è quello che anche Mario Spinella ha detto in alcune interviste e conversazioni private: che in nessun'altro posto di tutta la seconda guerra mondiale l'esercito italiano si è sentito così estraniato, così assolutamente estraneo al luogo in cui si trovava come se la Russia fosse stata un luogo onirico. Questo romanzo è molto singolare perché la sua irrealtà è anche, come dire, storica. Dal punto di vista politico, occorre riflettere sul fatto che un gesto, dal punto di vista militare, completamente irreale, è costato 200.000 vite umane. La divisione Vicenza di cui faceva parte Mario Spinella era composta· da 16.800 uomini e ne ono tornati 800. 16.000 uomini sono periti senza combattere. Alcuni sono scomparsi dopo il ntorno a casa, a causa del tifo petecchiale indotto. appunlo, dalla invasione dei pidocchi che si produce necessariamente vivendo all'aperto, come soldati. Francesco Leonetti. Vorrei riprendere subito l'analisi profonda che della struttura del libro, della sua composizione, è stata fatta prima da Agosti e poi da Maria Corti, e provarmi anch'io, in breve, a definirla. A me pare che qui si giochi una specie di scommessa in senso alto: dare un libro di grande leggibilità . e nello stesso tempo svolgere un'astuta, massima sperimentalità. Questa emerge soprattutto in un certo filone di capitoli che sono indicati con il n. 9, 17, 23, ecc., dove il lettore che legge comunemente può scorgere distrattamente come una piccola bizzarria: qui accade che l'aùtore della complessa narrazione segue passo per passo la genesi dell'opera analizzan-. dola con criteri psicoanalitici e semiologici. Vi è una distinzione tra un Narratore che è detto altra volta falco, macchina da presa, ecc., e l'io narrante, identificabile, che si salda con l'altro. Mi sembra una bella invenzione. Ripeto che questa differenziazione fra l'identità biografica e, diciamo così, l'inventore linguistico ~ profondo, è già presente - l'ho ri- (:I ,5 petuto altre volte - in Engels su ~ Balzac e in Lenin, che lo imita, su ~ t-.... Tolstoj. Però esso è stato messo a ~ punto come un criterio di fondo ...., dell'analisi del testo in sede semio- .9 logica. j Questa operaziO'Oenon appare .9 semplicemente come un'operazio- j ne aggiunta, ma Ìnveste tutta la ~ struttura del libro, perché se ne ~ d . OC) possono osservare 1verse conse-. °' guenze. Per esempio, ogni perso- ti naggio non solo è funzione, nel ~ senso moderno dell'esperienza ro- ~ manzesca, ma si sente che parte, 1s .....
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