Alfabeta - anno IX - n. 98/99 - lug./ago. 1987

I l punto di partenza e la soluzione finale, l'alfa e l'omega della ricerca di Valesio riguarda la possibilità di concepire una teoria della retorica in quanto dotata di un chiaro e fondante atteggiamento filosofico. La fedeltà a tale proposito è il filo rosso che attraversa l'intero percorso del libro; ma si tratta di un'attenzione che presenta molti aspetti, anche contrastanti tra di loro. La prima questione fondamentale riguarda la stretta congruenza e la quasi identità fra le esigenze di una «teoria unitaria della retorica», poste al centro dell'exemplum aristotelico, e disdette nel corso della tradizione del pensiero occidentale, e la costituzione di una riflessione di natura essenzialmente filosofica. In quali, effettivi termini si attua tale convergenza? Nel riconoscimento del/'approccio ontologico della retorica, che coincide con l'attribuzione, ad essa, di un inalienabile «statuto di scienza». Ma cosa si può intendere, ()ggi, con «retorica»? Aprendo una digressione di carattere terminologico - estremamente funzionale al proprio, sia pur frastagliato ordini' del discorso - Valesio propone di riferirsi, nei termini di una validità teorica e non storica di tale distinzione, alla coppia, esistente in lingua inglese, di rhetoric («il complesso di fenomeni oggettivi») e rhetorics («La sistematica descrizione ed analisi di questi fenomeni»), traducibile nella nostra Linguarispettivamente con retorica e rettori<::a. Il secondo termine (che ha, in ambito italiano, una sua precirn storia e fortuna: basti citare La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter, opera di deciso rilievo nella cultura del nostro secolo) indica dunque il metalinguaggio scientifico riferibile al linguaggio-oggetto dato dal primo polo della coppia semantica. Se l'indicazione dell'approccio ontologico della retorica come teoria (rhetorics, rettorica) serve a Valesia per precisare lo statuto scientifico a partire dal quale essa si muove, da contrapporre ad uno N ei t~e fil":1s~lla taurom~chia pro1ettat1 m omaggio a Budd Boettinger, non viene neanche messo in discussione il principio di realtà; si esalta il coraggio dell'uomo, il suo amore per il rischio, il rischio della morte. Per evidenziare maggiormente la vecchia trama della passione e morte, si aggiunge una fotografia magica, maestosa, dove i toreri, ripresi dal basso mentre sono posti (:I in alto, risultano magnifici giganti -5 ~ che tengono in pugno la loro sor1::l... te, eroi tangibili, pronti a dare " ~ amore o a morire, con lo stesso -. slancio. È u·na r.!altà ferma e chiara do- .9 ~ ~ ve non c'è spazio per dubbi, e la visione dell'uomo viene conferma- .si ]' ta nella dimensione reale-naturale, senza appunti né critiche, così come è. Questo si legge nei film. I:! ~ (I; Eppure, il contesto in cui furono girati era in netto contrasto con l'idea di cinema che Boetticher vo- l leva portare avanti, contro il cine- ~ ma hollywoodiano degli anni cinRetoriceasilenzio studio retorico in quanto analisi tassonomica di particolari tecniche discorsive (che, viste in una nuova dimensione interpretativa, assumeranno valore diverso), ancora più densa di risultati appare la delimitazione del campo di indagine di tale teoria, del linguaggio-oggetto che si trova a descrivere, della retorica in quanto rhetoric: si tratta di «tutta la lingua, nella sua realizzazione come discorso» (p. 22). Una teoria unitaria e organica della retorica ha dunque come riferimento l'intera, effettiva complessità della lingua. Ciò comporta, da un punto di vista di modalità interpretative, il predominio della retorica all'interno delle scienze umane, come unica e motivata dimensione metodologica capace di valutare gli stessi statuti teorici di queste ultime, in quanto realizzazioni discorsive. A partire dalla prima delimitazione teorica della retorica, dall'indicazione cioè del suo statuto scientifico e del campo di indagine a questo pertinente, Ascoltare il silenzio esibisce un fitto discorso interpretativo, operando alcune, particolari scelte selettive, che si collocano ad una grandezza sensibilmente diversa dal grande percorso progettuale indicato, come avant-propos, nelle prime pagine del libro. Si tratta di scelte che hanno una Lorochiara natura teorica: l'oscillazione tra l'indicazione della base ontologica della retorica e l'indagine particolareggiata ed empirica di materiali desunti dal Linguaggio-oggettopone una domanda di carattere generale: cosa si può intendere, in termini discorsivi, con linguaggio «filosofico», e cosa con linguaggio «scientifico»? La risposta di Valesia appare aderente alle proprie esigenze di lavoro: è necessario procedere tra due estremi, affrontare l' «aridità» di un discorso scientifico che deve riferirsi a «dettagliate descrizioni di natura empirica» senza perdere di vista la dimensione ontologica sempre emergente da tale descrizione: «Non vi è, pare, via d'uscita: il Rocco Carbone discorso filosofico tende al vacuo e all'arbitrario, mentre il discorso scientifico scivola verso l'aridità» (p. 4I). Soluzione incontestabile da un punto di vista operativo, ma che non esaurisce la necessità di risposte propriamente teoriche al quesito. L'esigenza, posta alla base di una teoria organica della retorica, di descrizione particolareggiata del linguaggio-oggetto che costituisce il suo campo di indagine, è uno degli elementi centrali, e più ricchi di conseguenze, per quanto riguarda il percorso interpretativo adottato da Valesio. I due poli di tale ricerca appaiono, da questo punto di vista, antinomici. Da un lato, vi è la constatazione del numero limitato di quegli elementi funzionali che regolano il discorso umano: «Ogni discorso considerato nel suo aspetto funzionale è fondato su di un insieme relativamente limitato di meccanismi - la cui struttura resta essenzialmente la stessa da testo a testo, da lingua a lingua, da periodo storico a periodo storico - un insieme che riduce ogni scelta referenziale a una scelta formale» (p. 43); dall'altro, il privilegio dato, ai fini di una interpretazione retorica della lingua nelle sue effettive realizzazioni, al linguaggio e ai testi letterari. Contrariamente alle indicazioni di base offerte dalla linguistica, che fa della distinzione tra linguaggio comunicativo e Linguaggio letterario, tra funzione referenziale e funzione poetica del linguaggio, tra denotazione e connotazione, insomma, uno dei modelli interpretativi più attivi, in merito alla riattualizzazione della coppia saussuriana di langue e parole, una teoria unitaria della retorica deve sottolineare il carattere tortuoso e non lineare del linguaggio comunicativo. Questa non linearità, questa complessità costitutiva è ciò che permette di esaminare il linguaggio letterario come terreno privilegiato per isolare quelle funzioni comuni che regolano ogni realizzazione discorsiva, e che qui si manifestano in modo esemplare. Così, la lettura di alcuni testi, scelti per la loro rappresentatività culturale, in una vasta gamma di possibilità che spazia da un frammento eracliteo al King Lear di Shakespeare, dagli Essais di Montaigne alle opere di D'Annunzio e Pirandello - per citare qualche esempio, tra i numerosi offerti - diventa essenziale per una riflessione teorica sui momenti di formazione e trasformazione del discorso umano. Due sono Lenozioni di fronte alle quali la retorica deve, a questo punto, dar conto: l'ideologia e La dialettica. Mentre la prima, configurandosi come «retorica degradata», «non è più espressione dettagliata di strategie all'opera in discorsi specifici» (p. 115), ma si pone come regolatrice contestuale di determinati ordini del discorso, è nella dialettica che si esplicita un carattere essenzialmente retorico: essa testimonia l'esistenza di contrasti, antinomie, complessità non dei realia, ma della lingua e delle sue plurime manifestazioni. Ma è proprio nel momento di massima estensione e capacità della retorica che si propone una nuova direzione di ricer.ca: nel momento in cui essa scopre Lesue possibilità infinite, giunge anche, estenuata, al proprio limite effettivo. È in questo limite, significativo e teoricamente inquietante, che ha origine il «sl'Condo movimento» della rewrica come filosofia, al quale Valesio dedica l'ultimo capitolo del suo libro, e nei confronti del quale l'autore sembra voler decisamente reinterpretare e mettere in nuova luce tutto il cammino metodologico intrapreso. La retorica, qui, si incontra e si confronta con il silenzio, inteso non come limite comunicativo ed espressivo, ma come momento di più profonda riflessione sull'uso del linguaggio. A partire dalla consapevolezza che ogni messaggio verbale è permeato da una retorica non-verbale, si tratterà di valutare in quali termini è possibile parlare del silenzio, e in che modo esso può giocare un ruolo decisivo in meriSalsoFilmFestival quanta (e anche dei successivi), idea per la quale lo stesso regista veniva chiamato «dissidente» e boicottato in tutti i modi. Cosicché, questi film che tanto assomigliano alla realtà «semplice» sono in effetti il risultato faticoso di una ricerca di stile, di valori, per la cui definizione serviva - esattamente come oggi - un distacco dall'ambiente comunemente accettato, dalle idee in auge, e insomma la ricerca di una strada autonoma e inconfondibile da percorrere da soli, verso la propria creatività. Così quello che a noi sembra oggi un risultato semplice quando guardiamo un cinema senza conflitti apparenti, o dove sembra manchi ambiguità, è invece il risultato di una complessità di intenzioni inalienabili. Che dire allora quando l'istanza principale viene dichiarata proprio nella ricerca di un'identità, come se l'immagine riflettesse l'impossibilità di raggiungere l'idea che vuole esprimere, e restasse così qualcosa di non Patrizia Vicine/li svolto, in nuce? Tra la sperimentazione degli anni sessanta e quella di oggi, a prima vista, le condizioni e gli intenti sembrano diversi. Rivedere Rabbit's Moon di Kenneth Anger (1950) o Fireworks del 1947, o tutti gli altri suoi film, disperanti nella immediata dichiarazione di una solitudine intravista e mai colta, nell'immane tentativo di proporre ancora un universo emblematico dell'uomo nel suo farsi, cioè di un universo più vicino alla riappacificazione con l'uomo, ci riporta al sogno mai dimenticato di un mondo che si realizza secondo la concezione di un uomo adulto: la sperimentazione serve a .. to ad una teoria della retorica che manifesta esplicitamente il suo intento filosofico. Di porre, in primo piano, L'alternativatra il dire e il non dire, che il discorso umano, in ogni sua realizzazione, esprime. Ora, questa alternativa apre una dimensione nuova per quanto riguarda la possibilità di lettura e di analisi del testo letterario, nel quale La dimensione silenziale sembra stare, continuamente, appostata dietro ogni manifestazione verbale, e dove la parola sembra accostarsi sempre a questo Limite, che è di natura conoscitiva. Giacché se l'idea progettuale di una teoria della retorica «piena» si trovava ad adottare categorie «aggressive» e, in qualche modo, preponderanti, una retorica che vuol tenere conto del silenzio come territorio nel quale la parola e il discorso si motivano profondamente assumerà un atteggiamento diverso, posto all'insegna del/'ascolto: «[.../ la retorica come teoria contemporanea, giunta al limite del silenzio, rifonda l'analisi letteraria come auscultazione di complessi_testuali» (p. 399). Ma la presenza del silenzio, in merito alle attuali possibilità di lettura del testo letterario, sembra anche connettersi, e in modo incisivo, con una teoria (e una pratica) del Linguaggio poetico: nel momento in cui la retorica, nel suo progetto di valutazione del discorso umano, non può non constatare la definitiva • divisione ideologica dei linguaggi, non separabili ontologicamente in rapporto ai loro elementi argomentativi, essa troverà nel testo della poesia quel luogo nel quale l'ideologia si vanifica, e il silenzio appare quella condizione «muta» che è lo stato originario e mitico del Linguaggio,dove esso esprime, semplicemente, la conoscenza, in quanto manifesta del tutto se stesso. Paolo Valesio Ascoltare il silenzio La retorica come teoria Bologna, Il Mulino, 1986 pp. 508, lire 44.000 questo, con quello che comporta in costo umano, (sia Kenneth Anger che Budd Boettinger finirono in galera). Perseguire questo sogno di integrità in una realtà corrotta, che per il momento resta immersa nelle sue estreme contraddizioni, comporta appunto l'assumersi oneri come questi. Anche Kramer in Ice del 1968, conduce un tipo di ricerca dalla parte del «sociale», che riporta ad Anger, e a tutto il cinema sperimentale degli anni cinquanta-sessanta. Così l'antica richiesta di essere disposti a morire, che fa parte integrante dell'avanguardia, come sempre si compie. Si muore di desiderio, d'ombra, di non senso, di una pistola congiunta alla bocca, di manicomio, di Aids, di vita si muore, e dentro le galere, immuni dai fuochi d'artificio creati prima, si muore sempre di peste, una cosa che riguarda tutti quando arriva. Kramer nel suo Doc's Kingdom modestamente si mette a parlare

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