Arbo. Maestro, sono passati più di sessant'anni dal momento della nascita «ufficiale» del metodo di composizione con i dodici suoni (mi riferisco alla sua prima applicazione nei 5 pezzi per pianoforte o. 23 ed alla Serenata op. 24 di A. Schonberg). Questa considerevole distanza di tempo ha visto manifestarsi molteplici innovazioni tecnico-strutturali nell'ambito delle tecniche di composizione. La prima domanda riguarda il modo in cui Lei personalmente si accostò alle proposte della seconda scuola di Vienna. In Italia Lei è stato uno dei primi compositori ad importare e ad utilizzare la Zwolftontechnik (Piccolo concerto per pianoforte ed orchestra, eseguito nel 1946 al Festival di musica contemporanea di Venezia). Che cosa le sembra che sia cambiato allora, quarant'anni fà, nella sua musica, nel suo modo di comporre, ma anche e soprattutto nel suo modo di intendere il significato linguistico-espressivo dell'arte musicale? In altreparole, nella sua attività la dodecafonia rappresentò una svolta (tecnica, ma anche estetica) piuttosto brusca, oppure una conseguenza, non troppo sorprendente, delle sue precedenti esperienze di musicista e di uomo? Malipiero. La sua domanda è piuttosto complessa. Andiamo con ordine: ho sempre detto, un po' paradossalmente, che io non mi sono accostato alla dodecafonia, ma questa a me. Voglio dire che, nato nel momento in cui la tonalità stava definitivamente tramontando, dopo il cromatismo, con l'-atonalismo, il politonalismo, la modalità, ecc., io non potevo più naturalmente esprimermi in do maggiore o con sguscianti passaggi nell'ambito della tonalità. Istintivamente cercavo un modo che rispondesse alle mie necessità espressive, ma nulla sapevo di tecnica dodecafonica: uscivo da un Conservatorio dove si riteneva Debussy uno sconsiderato, uscivo da un corso di perfezionamento a Venezia, dove mio zio Gian Francesco Malipiero affermava che quella tecnica non si poteva adattare alla nostra natura mediterranea. Ma un giorno (1942) qualcuno scoprì una serie di undici suoni (che si ripeteva) in una mia composizione (più tardi qualcuno né scoprì una di dodici in una del 1941) e questo mi fece pensare che forse la tecnica dei dodici suoni era una naturale necessità, come per Wagner era stato necessario il cromatismo e per Debussy l'esatonalismo. Ma erano anni bui: musica di Schonberg e di Webern era raro trovarla, trattati non ce n'erano. Così incominciai a fare esperimenti per arrivare metodicamente ad un totale cromatico: un lento lavoro, incominciato nel 1942 e che sarebbe arrivato verso il 1950a qualche cosa che penso più definito di quei primi esperimenti; non li rinnego certo (e qui rispondo alla seconda parte della sua domanda) ma da allora naturalmente molte cose sono cambiate. Ho superato (si fa per dire, perché ogni nuova composizione, oggi, è un nuovo esperimento) la fase sperimentale, ho superato la fase del radicalismo e sono arrivato ad esprimermi come ho fatto oggi. Tutto questo però, dai primi pezzi per pianoforte del 1932-1933 (per fortuna finiti tra le fiamme della mia casa distrutta dalle bombe) che sapevano di Debussy lontano un miglio, è avvenuto per semplice accumulazione di esperienze, non di esperimenti; voglio dire per germinazione spontanea, non per volontà preconcetta, se non in casi rarissimi e più che altro alla ricerca di forme, di strutture musicali (la morte della «forma» è una delle componenti della crisi della musica contemporanea). Arbo. Gli anni cinquanta rappresentarono forse uno dei momenti di maggior invecchiamento della dodeca/onia; il primato avanguardistico, detenuto per quasi un trentennio, passò alla musica elettronica, a quella concreta, a quella aleatoria. Scomparsa ogni aura di modernità, quale le sembra, tutto sommato, l'insegnamento più importante della proposta schonberghiana? In che modo poi questo insegnamento si inserisce, a suo avviso, nel panorama musicale contemporaneo? Malipiero. L'insegnamento di Schonberg, a parte il suo indirizzo iniziale, la sua «scoperta» di un nuovo modo di comporre, è sopra tutto di carattere morale, e con questo ritengo di esaurire la risposta alla sua domanda. Perché bisognerebbe citare troppe parole di Schonberg per dire esattamente quanto grande sia stato appunto sul piano morale, vale a dire forse nell'unico insegnamento che un compositore «arrivato» può dare ad un giovane apprendista. Io ritengo sia ancora necessario o quanto meno utile, insegnare il contrappunto (intendo un contrappunto poco scolastico e in ogni caso ormai solo strumentale), ma non credo si possa insegnare a comporre; si può consigliare, mettere al servizio dell'allievo la propria esperienza: io ricordo ancora i consigli (pochi per la verità) avuti da Pizzetti, ricordo quelli (molti di più) avuti da Gian Francesco Malipiero, ma non ricordo affatto i farfugliamenti al pianoforte di chi cercava d'inculcarmi come si scrivono quattro battute di risposta ad un tema (4+4=8), otto battute di completamento, poi lo sviluppo ed infine la ripresa e la chiusa! All'esame di quarto anno di composizione fui bocciato nella «romanza senza parole» (mi pare che presuntuosamente si chiamasse così; tutto ciò che sa di Conservatorio è lontano nella nebbia della giovinezza perduta) perché sul tema dato avevo cercato di scrivere un pezzetto di musica che non teneva conto di quegli schemi, ma tentava una qualche espressione personale. Passai una bellissima e spensierata vacanza estiva quell'anno e mi ripresentai a ottobre con un foglio di carta con le battute già delimitate dalle sbarre di divisione: ANOrnAERTROCllY ONTHE AMERCSAlDN•E•• - .=.~~~ .r ,. - :·~~· , •4+4+8+ 16+8, mi pare! Fui promosso e credo di non aver scritto mai cosa più idiota! Negli anni passati si è fatta dell'elettronica, della musica concreta, aleatoria e via dicendo: tutte cose già scomparse salvo qualche sporadica apparizione di strumenti elettronicr. Nessuno però ha ancora dato un insegnamento morale come Schonberg. E questo affermo anche se io sono piuttosto lontano dallo scrivere «alla Schonberg» e se mai parentela mia si può trovare con la musica di Berg. Ma Berg era allievo di Schonberg e pure era Berg; io sono un discendente di Schonberg ma cerco di essere me stesso. Non è detto che ci riesca ma mi fanno sorridere certi atteggiamenti polemici di quei giovani che oggi tendono allo spontaneismo (lo chiamo cosl per comodità; spero si capisca cosa intendo): un giorno, presto o tardi, si accorgeranno di aver inventato un nuovo mezzo di espressione e dovranno tornare su posi'.?ioniarretrate in attesa che sorga un nuovo Maestro (con la M maiuscola) che indichi autentiche nuove vie. Arbo. Nella Harmonielehre Schonberg proponeva questa breve formuletta polemica: «Ho tolto ai miei allievi di composizione una cattiva estetica e ho dato loro un buon mestiere». Lei ritiene che la musica contempòranea debba prendere in considerazione, in un qualche modo, questo suggerimento, o che debba cercare invece un riavvicinamento nei confronti della propria autoriflessione critico-estetica? Malipiero. Mi pare che la risposta alla domanda sia già detta: come sempre le formule del pensiero sono approssimative. Anche questa di Schonberg: a quale estetica alludeva? Forse si illudeva di poter codificare un'estetica. Io credo che l'estetica non è «cosa» governabile: esiste, certo, ed esiste anche chi si pone contro l'estetica del momento. Anche con la tecnica dei dodici suoni, volendo, si può scrivere della musica abominevole che risponda a principi di una «cattiva estetica». Resta il fatto incontrovertibile che Schonberg ha indirizzato i suoi discepoli, diretti o indiretti, verso un «buon mestiere». Bisogna saperlo usare in modo da non cadere in una cattiva estetica. Arbo. Quella celebre lettura del mondo musicale contemporaneo che Adorno propose nel 1949 (lo stesso anno in cui, tra parentesi, Lei organizzò il primo Congresso di musica dodecafonica, qui in Italia) si fermava su due figure di compositori che sembravano porsi, nella loro antiteticità, come gli estremi fecondi di una Spannung di tipo dialettico: da una parte Schonberg, e il progresso, dall'altra Strawinsky, e la restaurazione. A suo giudizio, tenendo conto di quelli che sono stati gli sviluppi dei criteri di composizione in questi ultimi trentacinque anni, è ancora corretta questa interpretazione che individua un inserimento in un qualche modo autentico di Schonberg nell'ambito di una storicità del linguaggio musicale e caratterizza invece attraverso le categorie di falsa coscienza e di ideologia la poetica strawinskyana? Restano validi, in altre parole, i risultati teorici (pur sempre storicamente datati, come ha dimostrato più tardi e sotto alcuni punti di vista Adorno stesso) contenuti nella Filosofia della musica moderna? Malipiero. I «dualismi» nella storia della musica sono frequenti e non li esemplifico certo. Quello Strawinsky/Schonberg è il più vicino a noi. Nessuno ha mai pensato di teorizzare sul dualismo Berg/Webern, quasi perfettamente coetanei, nati nella stessa città, allievi dello stesso maestro e pure tanto distanti l'uno dall'altro? Non condivido tutto ciò che ha scritto Adorno e sarebbe troppo lungo e ormai fuori tempo polemizzare qui. Un giorno qualche nuovo filosofo-musicista scriverà una nuova filosofia della musica moderna; ne vediamo gli esempi nel passato e «Un'altraatrocitàda parte americana... »© R. Cobb
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