dignitosi prodotti medi realizzati non da narratori maturi e carichi di esperienza, ma da esordienti. Sognando California di Cinzia Tani racconta un viaggio americano compiuto dalla protagonista alla ricerca dei luoghi e delle ragioni che hanno determinato l'esperienza californiana della madre (bella e indipendente), sui passi perduti, e non poco labirintici, delle sue sensazioni, dei suoi sentimenti, dei suoi amori. Da Roma a Los Angeles, la protagonista rifà, come in una sorta di remake, le «stesse cose» che sua madre aveva fatto vent'anni prima: ma dentro una specie di «protezione» che è la sua fatale passività, o la sua passiva fatalità. Il percorso è quello di un Bildungsroman molto lineare, privo di grosse scoperte e di grossi traumi. La problematicità del gioco del «doppio» è dissolta nella quieta funzionalità della scrittura, che si snoda con precisione fotografica, componendo con _idettagli un puzzle in cui di volta in volta riappaiono le figure (magari le figurine) dei tre uomini americani della madre, ripescati dopo due decenni chi al culmine di un successo decisamente volgare, chi spento se non distrutto. È forse uno dei tre il vero padre della protagonista che si racconta in questo romanzo dove c'è molto turismo e una discreta capacità di sguardo immediato, catturati da una lingua comunicativa, attenta e senza azzardi, che fa pensare talvolta a un esercizio scolastico corretto, ben patinato: qualcosa che somiglia a un telefilm girato con oliata professionalità. La musica che suona Marco Neirotti nel suo Assassini di carta è assai diversa: è una musica violenta, contratta, molto urlata, carica di malesseri e orrori italiani e metropolitani. Il suo libro si articola in una serie di quadri che, sullo spunto e l'abbrivio di un fatto di cronaca variamente atroce, dà la parola al protagonista-vittima per rintracciarne le dinamiche segrete, il rovescio che la scarna notizia giornalistica non dice, il background di :vissuto. Neirotti adotta una lingua tough, fitta di parlato e di gergo, che gioca sull'effetto brutale e sul sarcasmo perlopiù di lega grossa. Anche qui, mi pare di poter dire, l'influenza del dettato «forte», hard e buttato lì alla brava di marca americana nella sua versione di koinè ormai dissipata tra cinema e TV, è piuttosto massiccia. I risultati, è da aggiungere, peccano per eccesso, nel senso che si ha l'impressione che il raccontare di Neirotti lavori un po' sempre sopra le righe .. Si tratta di appunti certamente da non muovere ad Alfredo Antooaros, un narratore sotto i quarant'anni originario dell'Eritrea che s'è imposto all'attenzione due anni fa con il suo primo romanzo, Tornare a Carobel (Feltrinelli), un libro di scrittura picaresca dotata di grande irrequietezza e mobilità, la cui energia rompe schemi e strutture del dettato tradizionale, per toccare momenti di tempestosa concentrazione espressiva. Una qualità e un carattere amplificati in Mahò, Storia di cinema e di petrolio, nel quale riso e tragedia, solennità e sberleffo, presenze corali e individualità indomabili come quelle di Almereida che, da semplice chitarrista ambulante, diventa governatore dell'immaginaria città africana di Mahò (diventata a sua volta, grazie alla scoperta del petrolio, da villaggio di baracche, centro del mondo), s'incrociano nel magma di un linguaggio denso, fumigante, di fortissima presenza carnale: una sorta di lava affabulatoria che trasporta in Afrila dell'incongruenza, dell'assurdo e del paradosso. Al centro di questa triangolazione, il grumo vischioso della solitudine e dell'angoscia, che costituisce poi il nocciolo duro del microuniverso della scrittrice. È un microuniverso che scivola sempre pericolosamente sul piano inclinato del delirio a occhi aperti, o della follia ripetitiva. Il suo stemma è, appunto, la coazione a ripetere, che poi mima sic et simpliciter l'insensatezza del vivere. Per Di Cieco, il mondo è diviso in due, irrimediabilmente scisso: fuori e dentro. I personaggi del suo libro, che segna un esordio assolutamente maturo, ne replicano il bimorfismo drammatico nei rapporti città-campagna, professionevocazione, amore-tradimento. Le due zone del libro, che per comodità designeremmo non senza rozStudiBompiani GianfrancoBettetini ILSEGNO DELL'INFORMATICA i nuovistrumentidel comunicare: dal videogioco a/l'intelligenzartificiale ca quello che potremmo chiamare «effetto Macondo». T ra i libri di narrativa recentemente usciti presso le Edizioni di San Marco,· particolarmente degni di nota mi paiono Il gioco dei tradimenti di Daria Martelli e Duale di Antonio Di Cieco. La Martelli scrive racconti, e la sua coscienza letteraria ne determina il mondo: cioè a dire, i confini e le coordinate. Interessante è il fatto che lo determini prima delle risposte istintuali che il reale può provocare da parte sua. Così, coscienza letteraria significa in questo caso coscienza della conoscenza del mondo attuata attraverso i mezzi della letteratura. Ecco perché il libro della Martelli non è una raccolta di pezzi più o meno felici, ma un piccolo sistema organico che si muove secondo traiettorie convergenti in una rosa di punti geometrici: quelzezza come rurale e urbana, collettiva e individuale, s'intersecano anche a livello strutturale, dando luogo a un efficace contrappunto, che denuncia nello scrittore la capacità (ormai rara perché non manierata) di mettere a frutto certe esperienze, «moderate» ma non compromissorie, delle neoavanguardie e delle teorie del linguaggio di ambito strutturalista, in un impasto di parlato e di lingua colta elaborato con accanita fermezza di stile. Una sorta di viaggio costantemente incerto tra choc dell'esotico (l'Oriente, l'America) e densità fluttuanti della psiche è quello di cui si racconta in Oltre il confine della notte della giovanissima Dina d'Isa, da poco uscito da Vallecchi, che rifà il verso con qualche ingenuità - ma soltanto nel titolo - al gran libro d'esordio di Céline. La d'Isa dispone di una notevole capacità di resa «conservativa» delle proprie ricche esperienze, e - mi pare - di una maturità umana certamente superiore alle sue risorse di sc:rjttura. Il racconto è per l'esordiénte narratrice una scomoda, grumosa entità di cui è indispensabile liberarsi sulla pagina: di qui l'istintività (che pure talvolta infila con sicurezza l'ago nella cruna) e quel tanto di bava nai"ve che inumidisce talora ai limiti del kitsch l'avventura esistenziale e culturale della protagonista. Si pone per la d'Isa un problema di scelte di linguaggio. La sappiamo intelligente ben più della sua anagrafe, e su questa base restiamo in attesa della sua prova seconda. Sorprende al contrario il piglio deciso di un altro esordiente, Umberto Lacatena (classe 1947), che nei racconti raccolti sotto il titolo campigliesco di Le spose del marinaio, usciti da Piero Manni nella collana «La scrittura e la storia» diretta da Romano Luperini, dà un saggio assai convincente delle sue risorse di angry spericolato, dotato di un occhio malvagio e ficcante, curioso di piccole infamie e di sordide realtà italiote, sbattute sulla pagina con sfrigolante insolenza e carica sarcastica. Scrive di lui esattamente Luperini: «Lacatena è scrittore sperimentale, estraneo alle mode dell'ultimo decennio. La sua scrittura volutamente dissonante e discontinua punta all'onirismo grottesco, alla cattiveria della caricatura, alla deformazione espressionista. In questi racconti lo stile è il segno di una braverie dispettosa e insolente». D i notevole classe e eleganza è I belli di famiglia (Camunia) di Elisabetta Pierallini. Pirandello, Neil Simon, ma perché non anche un Watteau casalingo, e con le sue acidità verdi molto attenuate, quanto a «liquidità» del paesaggio (anche interiore, naturalmente), possono essere evocati a numi tutelari di questa intelligente impresa narrativa ambientata in un quadro che ha per poli una villa sul Garda e la città di Brescia. Le «maschere» di questo teatrino leggero e crudele sono mogli, mariti, genitori, figli, suoceri, generi, nuore, amici-rivali, giovani e anziani, seduttori e innamorati: in una lieve girandola che mescola miele e aceto con sapiente dosaggio. La Pierallini è narratrice di razza: basterebbe a dimostrarlo la perizia del suo gioco di frizione che non affonda mai sull'acceleratore degli effetti «forti», eppure spiazza costantemente il lettore; la scioltezza sguincia del dialogo; infine, l'efficacia del suo stendere tutta la sua sfoglia sottile sulla spianatoia del tempo presente, ricavandone sfumature molteplici, evitando benissimo il rischio della monotonia e della maniera. Un singolare romanzo storico è I fuochi del Basento di Raffaele Nigro, fin qui apprezzato soprattutto per la sua ricerca poetica e i suoi testi teatrali. Da poco uscito presso Camunia, il libro di Nigro si pone come una saga corale che tra il 1784 e il 1861 insegue tra Puglia, Basilicata e Campania il sogno impossibile di una repubblica contadina. Lo scrittore melfitano risolve sul piano visionario e fantastico la questione che il vecchio Manzoni aveva posto a proposito del romanzo storico e, in genere, dei componimenti «misti di storia e d'invenzione»: ma nel suo racconto corre il filo rosso della tensione politica e dell'attenzione acuta ai fatti sociali. I Nigro di cui si narra ne J fuochi del Basento sono una dinastia emblematica, la prova concreta e documentabile di un'utopia attiva, stroncata - con tutte le sue contraddizioni - dalla brutalità burocratico-reazionaria del governo dell'Italia unita. Si legge, in appendice al forte romanzo di Nigro, che, dopo la morte di Carlantonio Nigro (1861), «la rivoluzione continuò per altri quattro anni. Ci furono leggi speciali e speciali rinforzi armati. I contadini combattevano alla disperata: contarono oltre dodicimila morti. Più tardi scelsero la via dell'esodo di massa. Partirono su bastimenti diretti alle Americhe. Vitodonato Nigro, che aveva coltivato questo disegno, non lo mise in atto. Si era legato alla terra e alla famiglia. Vide partire molti compagni e, con loro, il figlio Bartolomeo. L'idea di uno Stato in cui fossero i contadini a governare non morì. A metà del Novecento, durante una cruenta occupazione delle terre demaniali e degli incolti della Chiesa e dei baroni, fu rialzata la bandiera bianca con le cinque fasce azzurre simboleggianti i fiumi della Basilicata( ... ] C'erano Giuseppe Novello e Rocco Girasole, assassinati dalle forze dell'ordine; c'erano Anna Avena, Nunzia Suglia, Rocco Scotellaro, Michele Mulieri e altri. Fu in quegli anni di lotte e nuove emigrazioni che Michele Mulieri, anarchico, sognò una grande repubblica [... ]». Di questo sogno Raffaele Nigro ci comunica, per forza di immaginazione e di scrittura, il senso tangibile e l'irrealtà disperata. Ho considerato nove testi: ho prodotto, quindi, un test. La sua attendibilità è legata, certo, anche fortemente, alle mie inclinazioni e al mio metodo (di reperimento e d'analisi). Fatto sta, comunque, che l'esistenza di almeno alcuni di questi testi dimostra che non tutto il nuovo e il notabile della nostra narrativa si esaurisce nella pattuglia iper-reclamizzata dei cosiddetti Nuovi Narratori. fl I ,,.:, • : I I : I ~ C'l (:3 .s ~ t:I.. " ~ ........ _..,_., __ Sl ..-----------~~~~~~~~-;:;":~~~-=:-::::-:~~~~:".~~~=-:-:;-::::~:;:~~~~~=-~..;.;-:7_-;;.,:~;~;:::;:=~====~~-=~~~~-~----- t ----- /jllJJiW/111.llllHJIUlUffl\llll\l\\\ffll\\(: W------~~~--------i / \ ~ ~ -e ~ ~ I «Se un po' di inquinamento atmosferico è tutto ciò che dobbiamo wpportare per rendere la vita un po' più confortevole, direi che ne vale la pena» © R. Cobb
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