Alfabeta - anno IX - n. 98/99 - lug./ago. 1987

e on «l'esperienza del dolore» Salvatore Natoli provoca il discorso filosofico a misurarsi con ciò che consegna al suo limite ogni ragionevole argomento. Niente di nuovo in questo. Anzi, un luogo tipico dell'intreccio problematico fra esperienza e ragione. E Natoli infatti sceglie uno spazio frequentatissimo, ormai quasi sommerso dalle citazioni dei classici delle due tradizioni che è in uso vedere sullo sfondo di ogni tratto della cultura occidentale: la filosofia greca per un verso, e la storia religiosa del/'ebraismo e del cristianesimoper l'altro. Tutte e due le culture - e la nostra che ne è il lontano derivato - trovano qui la sfida più insidiosa: produrre parole dotate di senso là dove parole e senso rischiano di risuonare vuoti. Non si tratta di recuperare un'impossibile «esperienza pura»: neppure del dolore che sembrerebbe capace di corrodere ogni parola. Il «nostro» dolore, «nostro» come proprio del convincimento di un soggetto, è variabile «del convincimento del/'epoca», è possibile «entro un mondo storico che è insieme un universo di fatti ed un'attualità di senso». Il «mondo storico» coincide con lo svolgersi di configurazioni di senso, diventa storia di modelli culturali. Il trapasso da uno scenario epocale ad un altro sarebbe dovuto alla simbolismo nella rappresentazione del territorio. Ora il problema drammaticissimo dei popoli del Terzo Mondo è che il segno che essi imprimono sulla loro terra ha dovuto confrontarsi e deve ancora oggi fare i conti con altre immagini e tracciati pesanti e incancellabili, quelli del dominio del passato e della dipendenza del presente, che sono realtà estranee e divoranti. L a storia africana è fatta di preistoria, di antiche civiltà africane, della tratta degli schiavi, della colonizzazione, dell'indipendenza recente e fragile. Anzi l'indipendenza_non è un punto di arrivo, ma un inizio e la «negritude» è ancora parte della colonizzazione, dice un'assenza, un desiderio, una memoria più che una presenza; ora lo sappiamo. Così anche l'uomo senegalese fa i conti oggi con le diverse società che ne hanno stratificato storia e territorio. Un te,,ipo terra dell'oro; terra degli schiavi, terra della gomma, il Senegal è diventato, e tutt'ora è, «terra dell'arachide» (p. 274). Il paradosso dell'indipendenza è che non esiste una nazione senegalese né può essere inventata: l'indipendenza eredita la struttura economica e sociale del colonialismo e i guasti che essa ha prodotto. Come tutti i paesi del Terzo Mondo; il Senegal è prodotto delle trasformazioni e delle scelte operate dal colonialismo. Il suo stesso sapere territoriale è quello occidentale che ha sostituito quello simbolico della società basica africana, del nomadismo, del villaggio, della pesca. La denominazione è ora performativa per la stessa ragione per cui il Senegal eredita come evento incancellabile la sua trnsformazione agricola in produttore di arachide. L'arachide è stato il modo in cui la Francia ha integrato il Senegal nei confronti della propria economia in una complessa strategia di divisione internazionale del lavoro e dello sviluppo industriale, secondo una logica della speculazione produttiva. L'arachide ha intronon identità di vita e senso: «Uno scenario epocale si fa anomalo quando la vita degli uomini diventa sempre di più un!eccezione rispetto al madello». La costruzione del modello greco in Natoli prende sicuramente le mosse da Nietzsche: l'infinità dello scontro fra le polarità e la sua insanabilità si annoda nella lotta, sempre rinnovata, fra l'espansione vitale e il dolore che limita e annuncia la morte. L'innocenza del divenire porta con sé ineluttabilmente il morso crudele del ciclo, ma è questa, di nuovo, la radice del rinnovarsi della vita. Il dolore non deve essere giustificato ma fronteggiato con gagliardia e virtù. Per sfuggirgli spesso l'uomo è indotto alla colpa, a ingannare la natura e a volgerla a suo vantaggio. Ma lo squilibrio sarà presto ripianato dalla Nemesi. È questa, secondo Natoli, la metafisica del tragico, la fedeltà alla terra propria del tipo greco. Va notato qui uno spostamento. Per Nietzsche l'età tragica non coincide con la grecità e tantomeno con «la filosofia greca». Tra Euripide, Socrate e Platone si consuma anzi l'abbandono del tragico dionisiaco e prende avvio quella svalutazione della terra, quella volontà di abbandono e di annichilimento dei valori del mondo di questa vita, che troverà poi la sua versione «polarizzata» dotto la monetarizzazione nel mondo rurale e ciò ha inciso non solo sull'economia, ma sull'insieme dei rapporti sociali (p. 278): ha aggredito le antiche solidarietà, le antiche gerarchie, le antiche stratificazioni. In particolare, ha sgretolato la famiglia estesa, cardine dell'ordine sociale negro-africano (p. 279) e ha mandato in crisi la proprietà collettiva. Le conseguenze immediate, insieme alla proprietà nuova capitalistica e individuale della terra, sono state quelle della mobilità e dell'esodo rurale. Ma vi sono conseguenze più insidiose e a lungo termine, che il Senegal dell'indipendenza sta ora pagando pesantemente. L'arachidizzazione del territorio ha attenuato la vigilanza sull'equilibrio ecologico del territorio stesso, l'antica, sapiente vigilanza del contadino, che l'agricoltore moderno non ha più e che assicurava la ricostruzione pedologica dei suoli attraverso associazioni sapienti, rotazioni, lunghi periodi di riposo. Il risultato è stato un proDolore R mano Madera nel cristianesimo. Su questa linea è anche Heidegger in Introduzione alla metafisica: « È solo con la sofistica e con Platone che l'apparenza viene intesa come mera apparenza e così declassata [. ..]. Viene a delinearsi così la separazione [... J tra l'essente meramente apparente, quaggiù, e l'essere reale situato, in qualche luogo, lassù». Natoli, senza discutere passo per passo la sua distanza dalla linea interpretativa nietzscheana che pure mostra di prediligere, stacca decisamente come propriamente greca la «metafisica del tragico» e la «fedeltà alla terra» dal tentativo opposto di negare la terra e di «salvarsi», di «redimersi» (direbbe Severino) dal divenire: anima orfica e straniera questa, per lui. Il suo amore intelligente per i luoghi comuni reagisce qui, con una orgogliosa pretesa di originalità, all'immenso luogo comune platonico del Fedone che stringe in uno la meditazione del dolore, della morte e del «rimedio» filosofico. Natoli non ci perde neppure una pagina in un libro pur così stupefacentemente ricco di rimandi (cfr. i «passaggi» alle pagine 177 e 255). Ma questa voluta sbrigatività permette maggiore evidenza per l'opposizione tra fedeltà alla terra dei greci e attesa del Regno e della salvezza nella tradìgressivo impoverimento del territorio reso più grave dalla messa a coltura delle nuove terre, dal disboscamento selvaggio particolarmente pericoloso data la natura sabbiosa del suolo, che diviene allora scoperto all'erosione eolica e al ruscellamento. Inoltre la coltura speculativa dell'arachide e l'ortifrutticoltura hanno mutato il rapporto con le colture alimentari: ne hanno dissolto il delicato equilibrio. La crisi ha investito l'antica coltura del miglio e il riso - il riso indocinese - ha sopperito alla stagnazione della produzione alimentare: ciò nel sistema dell'impero, quando appunto il riso proveniva da un'altra zona coloniale a basso costo. Ora al Senegal resta lo squilibrio alimentare e un'irreversibile crisi dell'antico mondo, quello nomade dell'allevamento, quello del miglio: è la società antica africana che è stata emarginata a favore, ieri come oggi, della cultura islamica nera, la società maraboutica, che è stata la punta di diamante - -,- ~ --:.. - . . .. .. . - .. - - . © R. Cobb zìone ebraico-cristiana. In quest'ultima, secondo Natoli, la «terra» è sempre spostata nel futuro della speranza, nella fede di un tempo e di uno spazio redenti dal dolore. Come sempre la tipizzazione dell'opposizione grecità-tradizione ebraica e cristiana è infinitamente discutibile, raro però è trovare una tale capacità evocativa del pathos teologico in un filoso/ o «laico» italiano. Il doppio clericalismo italico - quello della Chiesa cattolica e quello laicista - non consentono di frequente feconde compartecipazioni. Più «scontato» il terzo scenario, quello a noi contemporaneo, dominato dalla «tecnica» e dalla «complessità»: e troppo lungo sarebbe il discuterne in una recensione. Più importante sembra invece l'accennare alla costruzione di questo testo, alla sua proposta filosofica implicita. Natoli interroga i contrassegni, la grammatica del patire, e li vede disporsi entro scenari le cui quinte sono figure, immagini simboliche di visioni del mondo. È questo «l'orizzonte interpretante», lo «spazio eidetico» entro il quale l'esperire prende ed ha il suo senso. La molteplicità immensa, raccolta nelle figure che la ordinano, riesce allora ad articolarsi, sintatticamente, «in una dina- . mica migratoria dei concetti» che della arachidizzazione del Senegal apeunto. . E un percorso che l'indipendenza non ha potuto invertire, ne ha potuto solo ereditare la struttura con gli squilibri accentuati dalla fuoriuscita dal sistema dell'impero. Qui sono le ragioni della fame e della desertificazione e un destino di cultura altra in cui la «negritude» è sogno e desiderio e occorre saperlo come occorre sapere che i tempi dei processi geo-ecologici sono tempi lunghi - i tempi delle civiltà sembrano invece accorciarsi e i tempi della progettazione politica somigliano sempre più all'evento «fragile fiore di un sol giorno», come dice F. Braudel. In questa sfasatura del tempo vi è dispiega il senso stabilizzandolo in idee e formalizzandolo in «costrutti logico-razionali». L 'esercizio filosofico diventa teatr;ofilosofico, ed i suoi tre atti mettono in circolo il gesto ermeneutico con il ritrovamento della sua genealogia e con le modalità logico-retoriche della sua costruzione. E poiché l'interpretazione riporta sempre alle coordinate figurali il presentarsi dei fenomeni, ecco che è proprio dal simbolico che metafisica e teologia si originano. Se si può intendere la proposta di Natoli ricavandone la tessitura da questo testo, allora si può azzardare che la sua filosofia ermeneutica non si svolge al superamento della metafisica se non reinterpretandola e però facendosi a sua volta contenuto di quella reinterpretazione. L'esercizio filosofico si afferma come interno ad una forma culturale, e tuttavia, al contempo, solo per esso possiamo intendere le forme culturali. Così la filosofia stessa sembra oscillare tra il suo riconoscersi in un «ambito disciplinare» e il ribadire la sua disciplina come quella che tali ambiti deve assegnare. Salvatore Natoli L'esperienza del dolore Le forme del patire nella cultura occidentale Milano, Feltrinelli, 1986 pp. 320, lire 35.000 forse una delle ragioni della crisi ecologica e della difficoltà di correggere e di invertire i percorsi dati ed ereditati come destino. Mi sembra allora che nei paesi del Terzo Mondo e ugualmente nelle cittadelle e.metropoli americane ed europee occorre per una nuova strategia operativa che si cominci a riflettere sulla profonda deterritorializzazione che il sapere geografico occidentale, nella sua astrazione rarefatta e nella sua nominazione ossessiva, mostra e che le trasformazioni economiche e tecniche hanno indotto. Le conseguenze sono a tutti note e parlano il linguaggio della fame, della siccità, della desertificazione o dell'inquinamento e dell'esaurimento delle risorse e della guerra. È una riflessione che investe l'uomo e la sua civiltà produttrice di diseguaglianze sempre più profonde e gravi, tanto più che si prospettano nuove e aumentate innovazioni tecnologiche, che portano a un carico e a un eccesso di «complessità», già ora drammaticamente incontrollabile. Allora una riflessione sul Terzo Mondo come quella che Angelo Turco ha condotto ci dice che l'indipendenza non porta con sé automaticamente il passaggio da una territorializzazione eterocentrata a una autocentrata. L'indipendenza chiede una nuova pratica territoriale, quindi una nuova geografia. E senza di ciò non c'è una «nuova misura» dell'uomo africano: non c'è senza presa di possesso secondo se stessi della propria ter- ~ ra, ovvero del proprio destino. i;:s ' .s E questo un discorso che ci inte- ~ ressa oggi a livello generale, che 1::1.. " deve investire i centri dello svilup- ~ po, perché sono questi centri che ....., dominano, controllano e impon- ~ ~ gono la territorializzazione su sca- ~ la mondiale. Inoltre, mi sembra di ~ particolare interesse metodologico } che storia e tempo vengano verifi- ~ cati e riportati di nuovo nella spa- ~ zialità. E uno sviluppo, non un'in- ~ versione di tendenza, dell'incon- r.:: tro tra storia e geografia che nel ~ lontano 1922 Lucien Febvre ha ;g_ inaugurato. ~

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