Tomas Maldonado Il futuro della modernità Milano, Feltrinelli, 1987 pp. 232, lire 30.000 T ra le varie linee di riflessione svolte da Maldonado nel libro Il futuro della modernità mi piacerebbe discutere quelle che non riguardano l'architettura e l'urbanistica; e ciò perché le altre forniscono più informazioni, spaziano in campi più vasti, risultano forse più adatte allo scandaglio epistemologico del tema stesso del moderno. Se, viceversa, limito la presente nota alle questioni architettoniche lo faccio perché mi sembra che la ricerca di Maldonado, pur partendo da esse, si sia' man mano così ampliata da rele- .garle in un piano secondario, tant'è che in questo interessante trattato sulla modernità, quella dell'architettura figura come la parente povera. Del resto che dire di un saggio per tanti versi così vicino alle mie convinzioni se non trasferire la gran parte del suo contenuto sull'argomento che, conoscendolo meglio, mi consente qualche rilievo aggiuntivo e inevitabilmente critico? Com'è noto, Maldonado è uno degli autori che nei termini più seri ed affidabili si è da tempo schierato a favore della razionalità, del «progetto moderno» e di una ideologia propositiva contro l'irrazionalità dilagante, il pluralismo anarcoide, l'eclettismo più insensato incarnati nella poetica architettonica del postmoderno. Centrale resta comunque, sia nelle sue tesi sia in quelle dei suoi avversari, la nozione di Movimento moderno, sulla quale, nonostante tanta letteratura, regna ancora una grande confusione. Per Tafuri e Dal Co, «La stessa costruzione del concetto di 'movimento moderno', in quanto tentativo di accreditare una collettiva e teleologica dottrina della nuova architettura, è frutto di una favola consolatoria ma inoperante». Per quanto mi riguarda, come cercherò di dimostrare, l'espressione va intesa come «artificio storiografico» e, con una certa approssimazione, come «artificio di poetica». Ma veniamo al pensiero di Maldonado sull'argomento. Parlando dei fautori del Movimento moderno, egli osserva: «Molto spesso, diciamolo pure, questi ultimi hanno contribuito a fornire un'immagine non veritiera d~l movimento del quale facevano parte. L'immagine che volevano propagare doveva essere compatibile, anzi assolutamente congruente, con i loro as- ~ sunti programmatici. E quando i c:s conti non tornano, il che accadeva .s ~ sovente, si facevano tornare co- ~ munque ricorrendo alla consueta I'-. ~ procedura di trascurare o nascon- -. dere gli elementi che erano o ~ avrebbero potuto essere in con- --.f... traddizione con tali assunti. Così, ..., si è creata, di sicuro, un'immagine ]:i semplice, facilmente comprensibi- ~ le a livello di propaganda. Il Movi- ~ mento moderno era presentato cocio °' me una compatta, disciplinata mii:: lizia al servizio di una bandiera, e ~ ·soltanto una. Ma questo, adesso lo ;g_ sappiamo, era un mito. Appunto il 13 mito del Movimento moderno. Il Laquestione dellamodernità paradosso è che questo mito, nello sviluppo e diffusione del quale sono stati investiti tanti sforzi [... ] è tutto sommato meno interessante del vero Movimento moderno, con le sue contraddizioni, con i suoi laceranti, virulenti scontri tra i principali protagonisti. Scontri che, non di rado, esprimevano inconciliabili modi di intendere il ruolo dell'architettura e dell'urbanistica nella società. Il Ciam reale era meglio del Ciam mitico. Il Bauhaus reale, meglio del Bauhaus mitico. Malgrado ciò, l'indubbia responsabilità del Movimento moderno nell'aver incoraggiato un'immagine riduttiva di se stesso non può (né deve) servire di scusa alle inaudite semplificazioni a cui ricorrono coloro che oggi proclamano, in toni che hanno del millenaristico, la caduta definitiva dell'architettura moderna, affermando l'avvento di un'architettura postmoderna». A parte l'errore polemico di ridimensionare tanto il Movimento moderno, passandolo così impoverito nelle mani dei suoi oppositori, come si vede, Maldonado ritiene che sia esistito un «vero» Movimento moderno accanto ad un altro mitico e mistificante; in altre parole, che esso appartenga alla storia dell'architettura e a qualcos'altro come la propaganda, l'immagine facile e riduttiva, ecc. In un suo precedente scritto su «Casabella» è ancora più esplicita la doppia natura che egli attribuisce al fenomeno: «I limiti (e le debolezze) del Movimento moderno già da molto sono stati denunciati, e tra i primi a farlo sono stati i protagonisti del Movimento moderno stesso. Ma se al Movimento moderno - tramite certe forzature - si può attribuire una morfologia, è evidente che essa era molto di più di una morfologia. Era anche e forse principalmente un tentativo di mutare la vita quotidiana. Intendiamoci: siamo perfettamente coscienti del fatto che quella di Movimento moderno è solo una nozione di comodo, che copre in realtà un ambito di indirizzi e di problematiche estremamente vasto. Al tempo stesso non si può negare, però, che il termine si riferisce ad una serie di modelli e proRenato De Fusco poste emersi nell'architettura degli anni venti e trenta che sono in qualche modo assimilabili». Ora, premesso che, richiamandoci al principio della contemporaneità della storia, non mi pongo tanto il problema di come intendessero il Movimento moderno Pevsner e compagni quanto quello di capire ed indicare come esso viene inteso oggi, se resta problematico sostenere che un certo periodo della storia dell'architettura possa definirsi Movimento moderno, mi pare del tutto certo che tale nozione sia appannaggio della storiografia; e non come «nozione di comodo», ma come strumento di metodo, punto di vista prospettico, modo di inquadrare e spiegare una serie di eventi altrimenti inafferrabili; in una parola come «artificio storiografico» nella linea del tipo-ideale weberiano. Del resto senza questa «costruzione», senza questa struttura basata su precisate premesse, come stabilire ciò che era «vero» Movimento moderno, «vero» Bauhaus, «vero» Ciam, ecc.? Dove quel vero significa appunto rientrante in una struttura preannunziata dallo storico inter- © R. Cobb pretante, il massimo della soggettività dichiarata coincidendo con il massimo dell'obiettività. E che altro accertamento avrebbero le più generali nozioni di tipo, di modello, di stile se non questo inquadramento convenzionale, beninteso da modificare ogni volta che viene smentito dai fatti? Ma proprio questo è il punto. Ha ragione Maldonado nel notare che nella vicenda del Movimento moderno quando i conti non tornavano si deformavano affinché rientrassero in un precostituito e ideologico programma; ma questo non ha nulla in comune con il metodo ideai-tipico che qui si sostiene. Un corretto «artificio storiografico» è tale quando, per spiegare i fatti, si modifica continuamente in loro funzione e non quando li deforma per farli rientrare in un immutabile schema preconcetto. In sintesi non è la storia (coi suoi eventi) a piegarsi alla storiografia (con i suoi metodi), ma questa a quella. Non volendo contrapporre la pedanteria del metodologo a quella dei filologi, che credono di raggiungere solo attraverso pm approfondite analisi dei fatti la loro veridicità, spingo le mie considerazioni verso una linea più spregiudicata. Anche ammettendo che . il Movimento moderno sia stata tutta una costruzione con pretesa di veridicità e persino un mito (termine che non mi scandalizza affatto se penso alla funzione di referente che ha avuto in altri periodi di storia dell'architettura), ad esso vanno riconosciute tante e tali valenze da renderlo il nodo centrale di riferimento per tutta la vicenda architettonica contemporanea; dove per nodo centrale intendo un insieme di norme (le norme notoriamente sono tali quando ammettono la pensabilità della loro violazione), un codice così forte verso il quale si sono mossi i «moderni» e contro il quale si vanno muovendo i «postmoderni». I o~posizio_ne al post~o~ermsmo - sia detto per mc1so, ritengo fondato parlare di una condizione postmoderna per descrivere con una certa approssimazione quella attuale socioculturale, mentre è del tutto assente un «progetto» postmoderno - non si fa, a mio avviso, prendendo le distanze dal Movimento moderno, ma affondandovi pienamente le mani. Escluso che esso sia storia, dagli storici va visto, ripeto, come «artificio storiografico»; dagli architetti e dai critici operativi come un «artificio di poetica», ovvero quell'insieme di norme-deroghe codificate cui accennavo sopra. Come utilizzarlo? Cominciando a volgere in positivo alcuni suoi aspetti che una critica troppo esigente ha letto in chiave negativa. Si stigmatizza, ad esempio, il fatto che il Movimento moderno sia stato riduttivo senza capire che solo grazie alla «riduzione» (una filosofia peraltro auspicabile in ogni campo), esso ha portato temi e problemi dell'architettura e dell'urbanistica alla comprensione di tutti, anticipando l'odierna cultura di massa. Ho ragione di credere che quando si è abbandonata questa linea e i discorsi sono divenuti meno decifrabili si è contribuito ad allontanare le nostre discipline dal pubblico relegandole in un dibattito elitario via via sempre più stanco e con sempre meno interlocutori. Quando si è abbandonata e persino derisa quella circolarità di metodologia progettuale che andava dal tutto alle parti e viceversa si è contribuito ad una frammentazione tale dell'arco progettuale, in cui gli architetti sono contro gli urbanisti, gli uni e gli altri contro i progettisti del prodotto industriale. Quando, a proposito di design, si è avallata la scissione dei suoi principali capisaldi (la qualità, la quantità e il giusto prezzo), non solo si è tradito il principio del Movimento moderno di un'«arte per tutti», ma si è anche omologata l'opera degli industriai designers a quella degli stilisti di moda. Altro che «moderno»! La Wiener Werkstatte risulta un avveniristico traguardo. L'interpretazione del Movimento moderno come «artificio di poetica» ci porta ad altre considerazioni. Intesa l'architettura come arte elitaria, le conclusioni della presente nota non differiscono da quelle che ho tratto nella mia Storia dell'arte contemporanea, dove notavo: tutta l'arte dd nostro secolo e segnatamente le tendenze più recenti hanno cercato dei «pretesti», degli «artifici di poetica», anche qui assunti quali parametri, verso i quali o contro i quali muoversi. Cosicché dall'avanguardia storica alla neoavanguardia è stato tutto un fare e disfare, un continuo succedersi di moti del gusto, il cui senso è stato quello di assicurare comunque, persino in assenza di una committenza, la presenza dell'arte in un mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica. Bisogna allora riconoscere alla cultura degli «ismi» una ricchezza di trovate, un attivismo frenetico, il coraggio di durare anche una stagione assai breve, il conferimento di pari dignità sia alle componenti razionali sia a quelle irrazionali che coesistono nell'uomo e, in ultima analisi, il merito di aver agitato il problema dell'arte che, se fosse dipeso dallo «strapotere dell'esistente», sarebbe stato definitivamente abbandonato. Cosicché, l'intera fenomenolo .. gia dell'arte, ivi compresa la componente artistica dell'architettura, dell'urbanistica e del design va spostata, per la sua sopravvive,iza, su un piano virtuale e sovrastrutturale; ma se ciò vale appunto solo per una componente dell'architettura, del tutto scoperte rimangono le numerose altre: il dibattito culturale dei nostri giorni non sposta di un centimetro i temi e problemi pratici contemporanei, quali la mancata pianificazione, la questione dei centri storici, il mercato degli alloggi, ecc. Il Movimento moderno tentò di risolvere anche quest'ultimi; oggi pochi ritengono che ciò sia possibile, come dimostra il proliferare di tanta architettura disegnata. Quel completamento del «progetto moderno» non può intendersi in prima istanza e nel nostro specifico campo come il recupero alla cultura anche dei suddetti temi? Per il potenziale che ancora possiede il Movimento moderno e in assenza di credibili proposte alternative è lecito sperarlo.
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