Alfabeta - anno IX - n. 97 - giugno 1987

I / 15 marzo 1937 nel lane Memoria/ Hospita/ di Providence moriva, per un cancro a/l'intestino complicato da una nefrite, Howard Phi//ips Lovecraft. Fra i più significativi episto/aristi americani del secolo (i suoi carteggi assommano a decine di migliaia di pagine) Lovecraft istruì, attraverso una fitta corrispondenza, instancabilmente, tutta una generazione di scrittori americani. Psicopompo e vate di un genere, tenne a battesimo, ammonendo, esortando, consigliando, i più importanti scrittori americani del/' - horror e del mistery degli anni trenta. Attraverso lettere, talvolta lunghissime (fino a cento pagine!), e considerate attualmente dalla critica e dagli stessi destinatari dei veri e propri saggi di «filosofia della composizione» orrorifica, teorizzò la propria visione del- /' orrore. L'orrore del/'epoca della relatività. Un orrore cosmico, come egli stesso lo definì, dove l'uomo non è più al centro de/l'universo, dove il senso delle cose e la loro percezione si smarrisce. L'uomo non era altro per Lovecraft che un incidente nel cosmo, e L a narrativa di Lovecraft ripercorre tutti i luoghi e i motivi dei generi tradizionali, dal gotico al poliziesco, inglobandone i linguaggi e i modelli, e ne esibisce le tecniche, esplicitandone il funzionamento. In un racconto del 1924, I/ cane, si fa esplicito riferimento al funzionamento del genere gotico, di cui vengono evocate tutte le invarianti. «Stanchi dei luoghi comuni in un mondo prosaico [... ] avevamo seguito entusiasti ogni movimento estetico e intellettuale [... ] ma ogni nuovo stato d'animo perdette troppo presto le novità e il fascino del divertimento [... ] Baudelaire e Huysmans finirono per non darci più emozioni, finché da ultimo rimasero per noi solo i più diretti stimoli di esperienze e avventure personali. [... ] Le escursioni furono sempre avvenimenti artisticamente memorabili, [... ] operavamo solo in determinate condizioni di umore, ambiente, paesaggio, stagione, tempo e chiarore lunare». Qui il richiamo è, immediatamente, alla produttività del lettore dei generi di massa, alla sua disponibilità ad interagire con il testo, e alla spettacolarità degli effetti, all'uso di elementi scenici i cui antecedenti vanno ricercati negli espedienti di G.B. Bernini. Capovolto il rapporto tra modello e vita, diviene reale l'illusorietà della finzione. C'è in questo racconto tutto l'armamentario dell'orrore, i suoi luoghi deputati, dal cimitero all'abbazia, gli immancabili pipistrelli e, come sfondo, la grafica del Settecento e i paesaggi dei pittori dell'immaginario. 1 C'è, per intero, la lezione del Burke sull'esperienza estetica della paura2 ma, soprattutto, c'è la consapevolezza intellettuale del le divinità che lo governano sono tutte equivalenti: • cieche, sorde, crudeli, immonde. Appartengono ad un'altra dimensione, il loro tempo è quello de/l'universo e dei suoi paradossi. I/ nuovo horror trovò fondamento nella sua coetanea più fertile, la science-fiction. Frank Belknap Long, Robert Bloch (l'autore del soggetto di Psyco di A. Hitchcock), August Derleth, Richard Matheson (grande scrittore di short-stories e sceneggiatore dei racconti di Poe e dello stesso Lovecraft per i film di R. Corman), Donald Wandrei, provengono tutti dalla scuola del «solitario» di Providence. Un'università, in questo caso, dove hanno imparato sia il modello hard classico del gotico inglese che quello soft de/l'orrore americano de/l'Ottocento (dal razionale Poe, al pre-cosmico Bierce, passando per il raffinato Hawthorne). Non ci sembra un caso che almeno due di questi autori, R. B/och e R. Matheson, raggiungano la maturità e il massimo della loro popolarità intorno agli anni sessanta, gli anni in cui comincia a diffondersi - forse addirittura esplode esponenzialmente - la poScheda Antonio Fabozzi, Gianni Mammoliti polarità di Lovecraft, soprattutto in Europa, ed in particolare in Francia. Ignorato dalla critica, Tzvetan Todorov 1 nel suo celebre saggio sulla letteratura fantastica non lo cita nemmeno, mentre David Punter lo sottovaluta completamente, Lovecraft ha dovuto fondare e tentare il rilancio del genere orrorifico, come dicevamo, attraverso un altro genere: la fantasdtnza. L'operazione non sempre gli riuscì. La dimensione del racconto è quella che maggiormente gli si addice. Due suoi romanzi3 infatti si perdono in tediose descrizioni, pure esercitazioni barocche, e vuote genealogie delle razze preumane che abitarono il nostro pianeta, risultando essere di fatto una piccola capitolazione alle necessità della sopravvivenza quotidiana. Eppure il Lovecraft de Il richiamo di Chutlhu, de Il colore venuto dallo spazio, e de La maschera di lnnsmouth' pur non spaventando più il lettore (vedi il saggio di Salvatore Sodano in questa stessa pagina), ci ha regalato tre intelligenti esempi di quello che egli stesso definiva un genuino orrore cosmico. Possiamo distinguere, nello scrittore americano, tre fasi. La prima auratica, nella quale Lovecraft disegna la propria visione elitaria, dunsaniana, del/'arte, e dove si interroga sulle varie figure professionali del/'esercizio estetico (Hypnos, La musica di Erich Zann, L'innominabile, Lui, L'estraneo, Il modello di Pickman). La seconda fase è quella della consapevolezza de/l'inevitabile compromesso tra esigenza estetica e industria della cultura, dove più viva è la preoccupazione di strutturare in qualche modo il proprio cosmo (qui i riferimenti sono a R. W. Chambers, A. Machen, W.H. Hodgson e A. Blackwood). Pensiamo in questo caso al ciclo di Randolph Carter (La chiave d'argento, Attraverso le porte della chiave d'argento, La casa delle streghe, Il miraggio dello sconosciuto Kadath) che a/l'«età di trent'anni perse la chiave della porta dei sogni», esattamente come lo scrittore americano che dovette misurarsi con il mercato5 nei panni di revisore di manoscritti altrui e di ghost-writer per la rivista, il pulp, «Weird Tales». Infine la terza fase, la più matura, quella del/'accettazione dei meccanismi dell'industria culturale e della sintesi (il connubio con 1150° di Lovecraft valore di citazione assunto dalla tradizione precedente. Lo scenario della paura è ormai la metropoli, il grande corpo estraneo, ideale luogo di solitudini metafisiche. «È uno sbaglio credere che l'orrore sia associato indissolubilmente al buio, al silenzio e alla solitudine. Io l'ho trovato nel fulgore d'un pomeriggio d'estate, nel fracasso di una metropoli, nell'interno affollato di uno stabile malandato e comune [... ]» (Aria fredda), dirà altrove. Nella produzione di Lovecraft sono forse racconti come questi, non dilatati artificiosamente dalla necessità di maggiori compensi economici, a sfuggire alla semplicità e alla ripetitività dei meccanismi narrativi, presentando una maggiore complessità stilistica e Salvatore Sodano semantica. Segni che mostrano innanzitutto se stessi e aprono lo sguardo su un universo parallelo, irreale luogo di finzione in cui, oltre ogni distinzione tra vero e falso, è una viola a muovere la mano al musicista. Questa metafora del linguaggio artistico, non referenzia/e e dotato di autonomo potere generativo, è contenuta in uno dei pochi racconti per i quali ottenne un riconoSylvia Zanotto scimento, La musica di Erich Zann, nel quale si trovano molti dei temi della narrativa di Lovecraft, da quello della finestr{l a quello della contemplazione dell'infinito, della salita verso l'alto e dello smarrimento della realtà. È una letteratura dello sguardo che affonda le radici nella tradizione letteraria americana, fino a Hawthorne e a Poe, 3 e che trova in lui la parabola discendente. Il protagonista di questa storia è un vecchio musicista che si distrugge nel folle godimento del proprio genio, concedendosi al magico richiamo di una musica sovrannaturale proveniente da una finestra aperta su spazi infiniti. Morirà, vittima delle oscure forze incontrollabili che il suo desiderio ha scatenato, e al narratore, un giovane studente di metafisica che subisce la stessa fascinazione dell'arte, è negato il privilegio della contemplazione. Al punto più alto dell'esperienza, è concesso a lui solo uno sguardo su un orizzonte vago e incerto e la fuga ed il ritorno al reale, nel precipizio della follia. Sono esperienze, da cui raramente si torna integri. Lo sguardo, rinunciando al sogno di contemplare dall'alto il reala fantascienza) con l'esigenza estetico-romantica: La maschera di Innsmouth, il canto del cigno di Lovecraft, dove il protagonista, ennesima mimesi dello· scrittore, scopre, gradualmente e con un fascino che potremmo definire kafkiano, di far pàrte della progenie acquatica di Chut/hu. Con una metamorfosi ancor prima che fisica psicologica, il protagonista sceglie la tanto aborrita (da Lovecraft) commistione razziale: l'accettazione del proprio ruolo di scrittore stilisticamente ibrido. Note (1) T. Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 1977. (2) Cfr. D. Punter, Storia della letteratura del terrore. Il «gotico» dal Settecento ad oggi, Roma, Editori Riuniti, 1985, pp. 237-244. (3) Cfr. H. Ph. Lovecraft, Le montagne della follia, Il miraggio dello sconosciuto Kadath, in Opere complete, Milano, Sugar, 1978. (4) Tutte le citazioni di racconti di Lovecraft del nostro articolo e di quello che abbiamo presentato si trovano nelle Opere complete, cit. (5) Cfr. A. Fabozzi e G. Mammoliti, La leggenda di Lovecraft, in «Alfabeta» n. 43, Milàno, Intrapresa, dicembre 1982 (IV). le e gli infiniti spazi cosmici, ribaltando la prospettiva precedente, sarà ormai quello esterno dell'outsider, che porta a termine, o quanto meno testimonia, il percorso della letteratura americana ( L 'estraneo). Ma nello scambio non c'è salvezza, e verrà frustrato anche il tentativo di entrare in contatto con il mondo al suo stesso livello. Modello e riflesso si risolvono in una reciprocità di sgu~rdi, quasi a confondere l'identità dell'emittente e a manifestare l'intercambiabilità delle due realtà. È l'ambiguità del rispecchiamento, la circolarità della scrittura, a indurre il terrore, il terrore di scoprirsi osservati dal proprio sguardo. Nei fantasmi della scrittura si rispecchia uno scrittore sempre più impalpabile e inafferrabile, ghostwriter, fantasma egli stesso, costretto a sfuggire la propria immagine quanto più essa gli si contrappone estranea e quanto meno gli apparterrà il suo prodotto artistico. Costretto negli estetismi di un impersonale passato senza specchi, il desiderio di una impossibile totalità dell'esperienza estetica, la ricerca dell'assoluto, diventerà solo un gioco, ripetitivo e senza meta. 11mondo dei personaggi di Lovecraft è sempre circoscritto, separato, spesso nello spazio limitato di una biblioteca che contiene l'infinito. La realtà è sempre un altrove, raggiungibile solo attraverso la mediazione della scrittura, a volte indecifrabile o anche priva di contenuto. Lo sguardo è quello deformante delle visioni e degli incubi, oppure quello 'deformato dalla malattia, dall'isolamento e d~i vecchi libri, un occhio della mente che materializza i prodotti dell'immaginazione.

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