Alfabeta - anno IX - n. 97 - giugno 1987

Rossana Rossanda Anche per me Milano, Feltrinelli, 1987 pp. 208, lire 20.000 U no stile di pensiero si impone, prima che per ogni altra sua virtù per un tono - il modo, cioè, in cui vibra la tensione secondo cui si inarca, l'arco di emozioni che suscita ... Del tono, tuttavia, non sempre v'è scelta; spesso esso si impone allo scrittore, quasi fosse portato dalle questioni che lo agitano, dai pensieri che lo occupano. Nel caso dell'ultimo libro di Rossana Rossanda, il tono inquieto non è quello, come lei stessa si attribuisce, del «lamento»; colpisce piuttosto l'ostinazione, l'implacabile fermezza con cui Rossanda afferma, o rifiuta, sempre con fulminea certezza. Se questo colpisce è per il suo paradosso; petché mai certezza fu così infondata, e dunque veramente eroica. Perché è evidente; se Rossanda afferma e nega non è perché ciéc'amente si affidi a delle prove, o evidenze. C'è semmai in ogni suo movimento uno scatto di passione; per questo a volte è così severa, a volte arbitraria, a volte capace di straordinari riserbi, altre di impudenti giudizi - come chi appunto si muova per stringere insieme, nello stesso patto, volontà e verità. La verità non è cosa che possa garantire una teoria generale: questo Rossanda lo sa: ci sono tuttavia dei principi da cui non deflette; e questi appartengono, più che a un vocabolario storico, a una idealità della politica che in Rossanda non s'oblia. L'interesse e la simpatia che n~msi può fare a meno di provare per questa straordinaria intellettuale, nascono forse precisamente di qui: dalla forza pura con cui Rossanda ha salvaguardato tutta intera, in modo forse anacronistico, l'idea della possibilità della salvezza. C'è la sventura, questo è indubbio. È un enigma contro il quale si spacca la testa ogni giorno, immagino, chi come Rossanda sia esposto, in veste politica, e professionale, alla «gente». Questo libro è fatto nient'altro che di questo: degli incontri che Rossanda stabilisce, nella concretezza di un contatto, nella passione a distanza del pensiero, con Ancheperme chi si pone di fronte a lei come un soggetto di domanda. Rossanda si sente responsabile; e risponde. Non indietreggia di fronte alle cose più difficili; la malattia, il suicidio, il terrorismo. Tutto ciò rispetto a cui tacere ci sembrerebbe più dignitoso, Rossanda lo assume. Scrivendo, si espone. Perché se c'è molto stile nella sua scrittura, e lo stile sempre ripara, protegge, tuttavia non è certamente estetico il fine che Rossanda si prefigge. Non cerca l'eleganza formale, non elabora strategie compiacenti. Non vuol dire bene, semmai vuol fare bene, pensare giusto. Rossana dichiara subito, e non certo per modestia, che lei non è una scrittrice: ove questo titolo si dia a chi in rapporto alla scrittura si senta impegnato da un vincolo di «bella forma». Lei parla per passione politica: perché affida alla parola una potenza «fattiva»; perché pensare bene e agire bene per lei coincidono. Un pensiero corretto, leale, fedele ai suoi presupposti, fa bene alla comunità: questo Rossanda fermamente crede. È un'idealista, potremmo dire. La si potrebbe attaccare per questo; se non fosse che questa fiducia nel pensiero ristora in tempi di facile scetticismo. O le si potrebbe rinfacciare il privilegio di una mente bene educata, cui mai viene meno la capacità di pensare, e la presunzione che ci sia sempre qualcosa da dire, proprio lì dove ogni dire pare esaurirsi. O le si potrebbe dire che .crede troppo nel giusto: di poterlo possedere; e questo dà ai suoi enunciati un tono spesso apodittico - come apodittici sono gli oracoli. Un tono che ad alcuni potrebbe sembrare irritante, e contraddire ciò che dicevo ali'inizio, la natura problematica, interrogativa, di queste sue riflessioni. Ma non è così: il tono assertivo, io lo intenderei, piuttosto, come una violenza passionale, un gioco retorico della lingua che non sempre; sotto la pressione e l'urgenza del momento, possiamo modulare caricandola di tutti i dubbi che ci assediano. Direi inoltre che c'è del coraggio nel tono assertivo, in chi predica al modo indicativo, e si mette così a disposizione dell'errore. Rossanda del resto non rifiuta i propri scacchi. Anzi volonterosa li Nadia Fusini mostra, convinta giustamente che non sono solo suoi. E dunque ci invita a rivisitare tutti i nostri fallimenti; anche quelli che vorremmo dimenticare. La forza della memoria è in Rossanda stupefacente; una potenza che disarma, e atterrisce; la quale, io credo, si sostiene ad un'intima convinzione, silenziosa, invisibile, perfettamente segreta e perfettamente superba - che lei è chiamata a testimoniare di un'epoca, e lo vuol fare. E fare bene. In questo Rossanda è un irriducibile: come Antigone, come Cassandra. Finché avrà voce, sono sicura, non smetterà di voler dire ciò che vede, e prevede, e non le piace; finché avrà forza, non smetesclusione, oppressione, ingiustizia. Ecco perché un pensiero giusto è necessario. Ed ecco perché Rossanda si dispone, nell'arco di anni che questo libro attraversa, all'ascolto di quello che in questo libro risulta, a me pare, l'interlocutore più vitale per lei, e cioè le donne. Pare a Rossanda di sentire venire di lì, dal luogo escluso delle donne, una domanda di senso che lei si orienta a raccogliere. Sia che si rivolga a Virginia Woolf, o a Simone de Beauvoir, o a Lisa morente, o alla compagna Melania, Rossanda si impegna con loro in un dialogo che è costantemente teso sul filo di una differenza che potrebbe spezzare la possibilità \\lr I~ una ~tralunata ••• •••• ••• ••••••• •••••• ••••••• "città di mare con abitanti" un uomo, armato di revolver, è alla ricerca del suo rivale: la lotta è per la scrivania, l'impiego, lo stipendio ... i Luigi Compagnone I L'ULTIMO terà di voler fare, magari contro ogni costume del tempo, ciò che crede giusto sia fatto. Nel fare ciò, io credo, Rossana obbedisce a una vocazione, di cui ha fatto destino. e iò che la chiama è un'esigenza rigorosa di senso, e di giustizia. Perché lei sa che solo nel senso può darsi giustizia. Per questo lei ogni volta tenta di comprendere esperienze marginali, al limite del senso: siano esse la morte, il dolore, di un essere, di un gruppo, di un'idealità, non importa. Là dove c'è mancanza di inscrizione nell'orizzonte del senso, c'è stessa dell'incontro. C'è qualcosa, infatti, nella questione che le donne pongono al pensiero di Rossanda che quel pensiero pare non poter tenere; Rossanda tocca qui il limite di quel pensiero laico, di sinistra, progressista, cui ella si tiene, per fedeltà, legata. Ed è qui che verrebbe di dirle: non vedi, Rossana, che quel pensiero ti impedisce di andare a fondo di cose che sono venute ad esistere, avendolo superato? Esponiti dunque all'abbandono di ciò a cui sei più attaccata. Vai contro te stessa. Non cercare di costringere le domande delle donne in un giudizio già formulato per te da quel pensiero che vuoi difendere. Non dire che difettano di coerenza. Molto di ciò in cui viviamo ha lo stesso difetto: tanto che potremmo ascrivere quel difetto al pensiero che vuole coerenza, piuttosto che al soggetto che non vi entra. È inevitabile, forse, l'opposizione dei pensieri. Tra l'ebreo e l'israelita sappiamo che non possiamo tracciare dei quieti confini; come tra la donna e l'uomo; tra la femminista e la lesbica; tra il terrorista e il rivoluzionario. E questo non per incoraggiare pigrizie mentali, e diventare tutti dei post-moderni Ponzio Pilato. Ma perché solo nel disordine estremo dei nostri pensieri, e giudizi, e pregiudizi, nel disorientamento che viene quando veramente ci affacciamo sull'esistenza dell'altro - forse solo lì le ragioni dell'altro si affermano. Contro di noi, contro i nostri stessi pensieri; forse addirittura contro il nostro·stesso senso della giustizia. Ma forse dire questo a nulla servirebbe: perché Rossanda già sa che la sua attrazione a certe esperienze del limite scatta per lei proprio dal loro carattere paradossale. La radicalità delle questioni che le donne hanno posto in questo inquietano la sua coscienza vigile, attenta: perché la conducono a saggiare la tenuta di certe verità del progressismo. Per Rossanda, bisogna darne atto, le donne non • sono state mai l'ultima categoria da liberare da parte di quel pensiero laico, democratico, e progressista che così vorrebbe pensarle. Se alle donne Rossanda s'è appassionata è, io credo, per una sregolatezza del suo pensiero, di cui non è facile accorgersi; e che tuttavia in questi scritti si rivela. Irregolare è Rossanda in questo: perché nelle case della politica, dell'ideologia, della critica, in cui abita, vi sta sospettandone un'incapacità, o forse semplicemente un'avarizia: come se per far tornare i conti lì si debba sempre tener fuori qualcosa, la cui assenza lei si ostina invece a rimemorare. Forse semplicemente perché, ancora una volta, non sa dimenticare quell'intuizione radicale e tragica della vita, che in questi scritti si infiltra: quasi un tono pa- • scaliano che invade segreto queste pagine, e che è, alla fine, il tono «vero» dei libro.

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