ciò intendeva che i detentori del grande potere dell'immagine erano pochi, come in tutti i sistemi autocratici, in tutti i sistemi cioè dove vige una scala gerarchica. A scomparire sono i petits maftres: ma questo non l'aveva solo capito Apollinaire: l'aveva realizzato Picasso, quando aveva introdotto l'esorcismo di millenni di"''technè primitiva nelle Demoise/les d'Avignon. Oggi ci troviamo nella possibilità di pensare un'arte che incamera settori che non erano mai stati considerati tali, che non erano né commerciali né belli, ma erano stati espressione di religioni, di universi mitologici. Quindi il vero conflitto, la vera lotta che oggi esiste è quella tra la continua spinta dell'alfabetizzazione, della scrittura e dell'ideoloD unque, non bisogna sacrificare il progetto moderno. Ora se non dobbiamo sacrificare il progetto moderno, la modernità, se anzi, come ha suggerito recentemente Maldonado, dobbiamo applicare i «punti di sutura» proprio sugli «stessi punti di rottura» e non altrove, allora bisognerà incominciare a rileggere alcuni nodi della questione senza pregiudizi. Bisognerà, così, dire con franchezza che non si può più condividere l'osservazione che, agli inizi di questo decennio, ha fatto Habermas, quando ha colto quell'alleanza perversa fra premoderno e postmoderno, nominato appunto come pensiero neoconservatore. Né si può accogliere quest'altro rilievo, molto più recente, che fa del postmoderno una variante (magari impazzita) del moderno. Insomma, che si può riprendere la via del moderno con animo sereno dopo qualche trascurabile incidente di percorso. Dico questo perché mi sembra che sullo scenario del nostro dibattito si sia affacciata, profilata, una tendenza che è poi anche una tentazione. Si è infatti, parlato di «determinazione forte» (Fagone), di «significazione forte» (Poli), si è insistito nell'intervento di Mirella Bandini sulla figura e sulla presenza di Breton in alcune aree dell'esperienza artistica di questi ultimi anni. Di Breton, dunque, che rappresenta senz'altro del surrealismo il polo utopico, dialettico, umanistico. Certo, accanto a questi ragionamenti si sono affiancati i discorsi di Gilardi che ha suggerito, invece, per l'arte la via di una risemantizzazione minimale o fluida, di Tommaso Trini, di Menna che ha insistito, a più riprese, su una necessaria operazione riduttiva delle strutture del linguaggio, sull'azzeramento di qualunque elemento narrativo, simbolico, utopico. Allora, se la ripresa del moderno deve significare nuovamente una ripresa di istanze forti, la riproposta di un senso pieno, di un fondamento sicuro, evidentemente la questione si fa subito estremamente problematica: spinosa perché richiama quel problema sul quale si è soffermato, in un ambito più specifico, Menna. Il problema del discontinuo, la necessità di gia, fortunatamente in rapida discesa, e invece la possibilità della lingua iconografica. Questa è la costruzione auspicabile oggi: una lingua iconografica, di cui tutti, compresi i nostri giovani protagonisti metropolitani, sono i possibili detentori. Questa è la modernità; e questa modernità si riferisce a duemilacinquecento anni fa, quando non c'era che immagine, non c'era che simulacro. Per questo dico che l'avanguardia influenza la storia sul lungo periodo, per questo dico che noi non siamo qui a dividerci fra coloro che sono e sostengono nell'immediato il recupero del moderno come progettualità, rispetto a coloro che dicono che non c'è più progettualità, ma c'è progetto dolce con tutti i suoi fenomeni paralleli. Questa è cronaca e io posso anche aggiungere che, nonostante enorme potere, una grande capanon abbia mai partecipato al bai- cità di rivoluzionare il destino di letto di questi ultimi anni, condivi- ciascuno di noi; cosicché si era do molto, naturalmente come in- creato nella storia dell'arte un teresse personale, l'area in cui Fa- vuoto tale per cui è stato possibile gone è così esperto, così come attribuire a certe situazioni la defimolte delle scelte di Menna; però nizione di transavanguardia, situafondamentalmente, io considero zionismo, anacronismo ecc. importante che ci sia stato questo Voglio soltanto dire questo: non scatenamento selvaggio del prima- sarei d'accordo nel fare un dibattito dell'immagine contemporanea- to, che poi sottilmente finisce per mente come causa o come effetto. diventare una ricostruzione del Sono stato, negli anni sessanta, - •vecchio. Penso che l'arte, la storia un fervente cultore della cosiddet- dell'arte e i media di cui si occupa ta arte concettuale; ma mi sono in particolare come storico Fagoreso conto che l'arte concettuale ne, siano talmente determinanti, andava contro tutto ciò che io ho che dobbiamo capirne sempre di capito e sostengo oggi, cioè il pri- più, come hanno fatto gli studiosi mato dell'immagine sul pensiero dei media che sono i veri critici ideologizzante e quindi sulle for- della modernità, i veri teorici del me scritturali. Non si teneva conto postmoderno, coloro che lavorano dei grandi media nuovi, i media sulla storia delle varie possibilità dell'immagine, che hanno un di comunicazione, per immagini. Perlacostruzione delnuovo lii prendere una definitiva distanza dal continuismo storico, di individuare sempre meglio livelli di discontinuità radicali al di sotto di «zone di storia, ciascuna delle quali è definita da una frequenza propria, e da una codificazione· differenziale del prima e del poi», come ha già raccomandato Lévi-Strauss all'inizio degli anni sessanta. Perciò, continuare a lavorare al progetto moderno non può significare, in ogni caso, stabilire una continuità con la sua storia, dimenticando o, ancora peggio, cancellando l'insieme delle critiche che sono state rivolte a quest'intreccio complesso che siamo abituati a chiamare appunto la modernità. Vuol dire non potere impegnarsi seriamente a realizzare il progetto moderno, ancora incompiuto, senza tenere conto proprio dei movimenti, delle mosse, delle manovre suggeriti ed elaborati (talvolta enfatizzati) dal pensiero postmoderno, che, come del resto riconosce lo stesso Maldonado, non può essere semplicisticamente ridotto all'epidemia dell'heideggerese. D'altra parte una discreta (quanto maliziosa) lezione ci viene proprio da quegli studiosi, filosofi e storici dell'estetica e dell'arte, che in questi ultimi anni hanno perlustrato aree e zone diverse del moderno per mostrarne un'immagine e un volto diverso. Un'immagine non più centrata sul cogito e sulla pienezza del soggetto, sulle regole della ragione, ma sulle passioni e la teoria degli affetti, sul valore dell'etica e sull'importanza della retorica. Una lezione maliziosa, si è detto, perché del moderno ha messo in scena un'altra vicenda, senz'altro più vicina alla leggerezza e all'indebolimento delle grandi narrazioni. Così, alla demonizzazione del postmoderno si è, via via, affacciata l'idea che il postmoderno in fondo non sia che un'altra modalità, un'immagine nascosta e come segreta del moderno: di una modernità all~ggerita e indebolita. Del resto, da questo punto di vista, le argomentazioni e i ragionamenti di .Gilardi, Trini o di Menna, la sua lunga e paziente indagine sull'archeologia del moderno, non rientrano a pieno in questa Angelo Trimarco prospettiva? Non rientrano in questo spazio interpretativo altri sintomi e segni, ad esempio l'appassionato interrogarsi di Maldonado sul futuro della modernità? Insomma, il discorso forte o indebolito sul moderno e sulla necessaria ripresa non sono, per caso, due versioni e due letture dello stesso modo di porre la questione della modernità? re a lavorare al progetto moderno contro le suggestioni della modernizzazione, senza azzerare, cancellare, rimuovere le ferite che sul corpo della modernità sono state inferte da autori come Foucault. Dunque, da postazioni differenti risulta evidente che il futuro della modernità non può essere affidato a fondamenti sicuri, a progetti forti, a una razionalità che con- .. Emilio Tadini, Antonio Piccinardi, Anna Fa/letti, Gianfranco Pardi, Mimmo Rotella e Alik Cavaliere L a risemantizzazione minimale e fluida di Gilardi e l'aforisma di Mies van der Rohe, il meno è il più, rilanciato da Menna, la stessa posizione di Maldonado (che senza dubbio muove da intenzioni critiche molto diverse, talvolta inconciliabili, da quelle di Gilardi e di Menna) pensano, si è ricordato, il moderno, il futuro della modernità, come una progettualità imparentata strettamente all'intrapresa di Robinson descritta da Defoe nel suo Essay upon Projects e la razionalità come un «metodo euristico». Del resto il corpo-a-corpo di Maldonado con • Habermas è, appunto, l'emblema di questa dilacerazione: continuaserva del cogito ricordi e memorie vividi. Significa, allora, che la ripresa del moderno non può avvenire nel segno dell'euforia del continuismo, come si è ricordato. Ma significa anche (e forse in maniera più sottile) che bisognerà stare attenti a non lasciarsi tentare da gesti inutilmente (e dannosamente) iconoclasti. E comportamenti liquidatori sono quelli che dicono che finalmente il postmoderno è morto e tutto può tornare come prima. Un errore teorico irreparabile, evidentemente, che non riesce a farci pensare alcune cose. Anzitutto che se del moderno si dà oggi una lettura che privilegia o, semSi può discutere poi dello statuto dell'immagine, in quanto prodotto di un individuo detto artista; io indubbiamente penso che sia il motore di tutto; le opere dell'artista, del pittore, dello scultore vengono copiate da tutti, utilizzate poi dall'arte commerciale, fino a Berlusconi e fino a Maradona, se vogliamo; ma non per questo dobbiamo illuderci che il produttore dell'immagine generativa sia àll'avanguardia. Probabilmente è solo la coda del corpo sociale, probabilmente più avanti di lui esistono tutte le altre tecniche di riproduzione di immagini. Quindi l'arte· cosiddetta commerciale, di cui il divo Warhol era veramente maestro, sono «avanti» in attesa che dal sociale emerga questa riserva di origine, di nascita, che è potere dell'arte e potere dell'immagine. plicemente, esibisce immagini, figure, una facies radicalmente diversa, questo è possibile proprio perché si assumono punti di vista, strumenti e ottiche elaborati dal pensiero postmoderno .. Poi (ed è l'essenziale) se si pensano una ripresa del moderno e il futuro della modernità come orizzonte proget~ tuale e razionale segnati dal nome di Robinson, se ci si rifiuta d'identificare il moderno con la modernizzazione, se si distingue il progetto dall'ideologia (e perciò dal piano) queste mosse sono possibili, mi pare, proprio perché ci si pone su un terreno comune d'intenti. Certo, non bisogna commettere l'errore teorico opposto: quello di non cogliere le differenze, gli scarti, e anche le lacerazioni che inevitabilmente si stanno producendo (si -sono prodotti) nel pianeta del postmoderno. Bisogna stare attenti a non pensare questa ripresa del moderno e il futuro della modernità come una variante (e perciò una semplice conferma) di alcune istanze del postmoderno. Insomma, una variante che stabilisce col postmoderno un non meno perverso continuismo storico. Il punto è pensare, invece, la ripresa del moderno (che guarda naturalmente con attenzione a Foucault e scarta con decisione Derrida e il decostruttivismo) come una riflessione che si sta sporgendo sull'inquieto scenario del nostro tempo e, inevitabilmente, s'incontra e si scontra, s'intreccia per poi tornare a sciogliersi, con momenti e schegge di pensiero già consolidati. È da questo intreccio, dalla capacità di tenere desta la complessità piuttosto che dalle tentazioni di ridurne le tensioni, che il discorso sul moderno, il futuro della modernità, potrà prendere l'avvio. Un avvio e un cam- ~ mino che dovranno, appunto, c::s smascherare proprio le semplifica- -S ~ zioni eccessive (anche se scinti]- l::l.. lanti), le parole d'ordine, del po- "' ~ stmoderno. La filosofia occidenta- ....... le come storia della metafisica, la Cl -~ b() l'-.. °' fine della soggettività, la morte di qualsiasi progettualità come rappresentazione del mondo della tecnica, la morte della critica co- i:! me luogo del potere. Per fare ~ qualche esempio. l - c::s
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