I tre scritti di F. Poli, T. Trini e A. Trimarco, che diamo qui di seguito, riprendono gli interventi svolti dagli autori nell'ambito del seminario su L'arte e la critica per la costruzione del nuovo (Torino, 20 marzo /987), organizzato dal CIPED (Centro di iniziativa politica e documentazione). L'incontro è stato introdotto da Vittorio Fagone, Piero Gilardi e Filiberto Menna e ha ospitato oltre a quelli qui pubblicati, contributi di Mirella Bandini e Franco Torriani G rande appare oggi, nelle arti figurative, la libertà di inventare, di scegliere i percorsi di ricerca e le soluzioni di linguaggio di provenienza più diversa. Ma quanti sono gli artisti in grado di affrontare questa prova di libertà senza perdersi nella generica e superficiale prova ad effetto, dell'ammiccamento citazionistico, degli attraversamenti stilistici, delle invenzioni plastiche e figurative a buon mercato, sull'onda più o meno effimera della moda, rincorrendo, di volta in volta, la tendenza che sembra tirare di più in quel momento? Chi è capace davvero, oggi, di credere in un lavoro con obiettivi seriamente impegnativi, senza preoccuparsi preventivamente di essere in linea con formule neoespressioniste, neogeometriche o neominimali? In altri termini, la libertà di operare che contraddistingue l'attuale situazione, può essere una piattaforma per sviluppi inediti, ma anche e soprattutto un pantano in cui tutto rischia di affondare senza più differenziazioni apprezzabili, senza più l'emergenza di quegli scatti estetici che fanno veramente la differenza nel caso sempre molto raro, di ricerche che si dimostrano H o molta perplessità sul titolo stesso, Costruzione del nuovo, perché sapevo che avremmo finito naturalmente per inneggiare tutti al lato costruttivo e alla aspirazione al nuovo; io purtroppo mi trovo a vivere, da un certo numero di anni, in una condizione in cui mi domando sempre c:::s da dove possa improvvisamente ·i apparire questo maledetto nuovo, ~ di cui non so più che farmene. Ma -. ~ ~ non è proprio questa la situazione -. in cui ApÒllinaire avrebbe detto 2 che non possiamo continuare a vi- .r vere sempre col cadavere del mo- :: demo? Io credo che Apollinaire lo °' avrebbe potuto dire. Il nuovo non è una cosa che sca- ~ turisca_ all'improvviso dal nulla, l oggi qui; il nuovo si trova sempre ~ da qualche parte ed è sempre esiPer-lacòStruzio·ne delnuovo I strutturalmente capaci di imporre la loro identità come punto di riferimento culturale artistico d'eccellenza. Questo genere di impegno è quello di artisti che non temono il confronto con la realtà esterna; artisti che, pur perfettamente coscienti dell'importanza dell'autonomia del linguaggio figurativo, pretendono una verifica o meglio accettano il rischio di una verifica all'interno del sistema più ampio di valori e significati. Perché, anche se marginalmente, l'arte è tale solo se partecipa, a suo modo, alle tensioni profonde del contesto sociale da cui nasce, se reagisce a queste tensioni in forma creativa interiorizzandole e facendole «lavorare» come stimoli catalizzatori per nuove produzioni di senso. Il problema che si pone non è certo di poco conto: si tratta di prendere atto del processo che appare irreversibile di perdita di senso della pratica dell'arte figurativa, del suo svuotamento di una funzione significante forte, di un esaurirsi della sua capacità di incidenza sul piano dell'intensità delle emozioni estetiche. Fondamentale e positiva è stata, negli anni sessanta-settanta, la lunga fase delle ricerche caratterizzate da un lato da un atteggiamento analitico e autoriflessivo delle strutture linguistiche e materiali dell'arte e dall'altro dal tentativo di allargare concretamente le condizioni spaziali di esistenza dell'intervento dell'artista, attraverso installazioni di più deciso impatto all'interno e anche all'esterno dei luoghi espositivi deputati. L'esigenza era sostanzialmente quella di far vivere l'opera d'arte come un fatto fisicamente determinato nella realtà e per la realtà: non una forma virFrancesc Poli tuale che rimandasse, in modo più o meno referenziale, a una realtà altra da sé, ma invece una realtà in sé autonoma, autosignificante. Un eccessivo irrigidimento concettuale, un chiudersi progressivo (anche per il riflusso politico) agli stimoli esterni più vivi, un eccessivo e idealistico coinvolgimento dell'arte nella «vita» (in chiave esistenziale o militante) ha portato a una reazione, per certi versi motivata, in direzione opposta. Si è ritornati alle forme e al ruolo più normalizzati della pittura e della scultura, rimuovendo in pratica le questioni aperte nel decennio precedente e enfatizzando la libertà creativa come gioco linguistico limitato a variazioni e incroci stilistici all'interno del microsistema dell'arte. Non sono mancati e non mancano risultati di qualità, per l'intelligenza e l'ironia o anche la tensione estetica delle soluzioni messe in scena, ma diventa sempre più insopportabile in troppi casi l'involuzione manieristica (intesa in senso negativo) e il dilagare di un eclettismo culturalistico che non ha più nulla a che fare anche con problematiche legate al dibattito del postmoderno. N on c'è da stupirsi, allora, se gli artisti più coscienti e preparati si chiedano che cosa può significare oggi il loro lavoro, che cosa significhi un impegno intellettuale e creativo nel campo della pratica artistica in rapporto alla realtà esterna, in rapporto a quanto sta avvenendo nella società, alle grandi tensioni emotive anche drammatiche in cui siamo immersi. Non si può rimanere comunque indifferenti a tutto ciò, rinchiudendosi nei tranquilli salotti delle gallerie e realizzando un'arte leggera e di superficie proposta come quintessenza di una raffinata operazione estetica; soprattutto quando manca una vera e intelligente direzione di ricerca. Vale la pena di correre il rischio (per esempio di essere fuori moda, al momento) di una decisa e coraggiosa apertura verso l'esterno. Vale la_pena per gli artisti di mettere in gioco gli elementi del proprio linguaggio in modo che interagiscano con le suggestioni che nascono dai grandi temi esistenziali e sociali. E questo non per ritornare a una retorica operazione rappresentativa, anche simbolica, ma per caricare di intensità e di forza espressiva autonoma le peculiari potenzialità estetiche del linguaggio artistico contemporaneo. Senza dimenticare che la forza espressiva autonoma è strettamente connessa a una precisa coscienza autoriflessiva del linguaggio e non all'esibizione di pulsioni soggettivistiche. L'opera d'arte non ha oggi la funzione né di rappresentare né di spiegare il mondo; non deve essere un «messaggio» (ce ne sono fin troppi in circolazione). All'interno del suo spazio di esistenza l'opera d'arte si impone con la sua identità formale e la sua struttura fisica come un evento del tutto originale attraverso cui è possibile sentire risuonare, quasi fosse uno speciale e sensibilissimo diapason, le questioni di fondo, le più evidenti, le più drammatiche, le più enigmatiche, relative al senso della realtà nei suoi aspetti maggiormente incombenti, quelli che in particolare segnano la coscienza della nostra impotenza individuale. Tuttavia l'artista, lavorando, Perlacostruzione delnuovo Il stito, si tratta di renderlo compresente, di renderlo contemporaneo, con la propria avventura e con il proprio destino: o meglio ancora con la struttura sociale, o addirittura biologica che ognuno ha. Questa contemporaneità del nuovo col proprio destino e con la propria struttura ha, ai nostri occhi, un referente ineliminabile, che è il mondo e il lavoro dell'artista, cioè l'immagine. Non si è parlato di immagine. questa sera, io vorrei dire qual è lo statuto dell'immagine in questo momento, di fronte alle trasformazioni imponenti che lo statuto e la funzione dell'immagine, delle \eone, ha da molto tempo e che, .soltanto recentemente, grazie anche alle follie del cosiddetto postmoderno, Tommas Trini noi siamo stati in grado di riconoscere. Lo squallore della vita politica cerca di riscattarsi attraverso l'immagine, riproponendosi come immagine; la filosofia oggi non ha più il coraggio di chiamarsi filosofia, ma si trasforma attraverso le mostre, si propone attraverso un cappello che viene chiamato arte; le nuove idee degli stessi filosofi, cioè dei detentori del potere dell'alfabeto, della scrittura, del logos, si propongono attraverso l'arte . Io, quindi, ho una grande considerazione del potere dell'arte, che si esplica attraverso l'immagine, primato che l'immagine ha su tutte le altre forme, anzi sull'altra forma fondamentale che è l'ideologia. Ciò che noi chiamiamo modemo, e che può essere riassunto dal punto di vista dell'ottica europea più che italiana, è l'area delle avanguardie, che ci è sembrata una breve avventura, che si è sviluppata, arrotolata su se stessa ed esaurita in una serie di trasgressioni, di evoluzioni di corta durata. Ma le avanguardie sono il primo chiaro sintomo che l'arte di questo secolo, l'arte moderna, o il modernismo, il movimento moderno, se vogliamo, che naturalmente abbraccia una buona parte dell'Ottocento, ha un riflesso sulla storia di lunga durata. Perché c'è un ritorno continuo al passato e una contemporaneità dell'antico, perché c'è questo presente ormai sempre più dilatato; talmente dilatato che tutto è presente e teoricamente infinito? non guarda tanto alla realtà esterna (che è presente, per così dire, come un fantasma, come una lunga ombra inquietante) quanto piuttosto a quella interna dell'opera, alle sue articolazioni materiali, la cui resistenza offre spunti, ostacoli, suggerimenti, stimoli d'azione formativa, d'invenzione. La produzione artistica diventa così, in un certo senso, un procedere per interrogazioni della materia (e materia dell'arte può essere tutto dalla creta e il colore alle immagini computerizzate), uno sforzo creativo che mira alla realizzazione di quell'incanto estetico, di quella particolare dimensione sospesa di visione, dove il «contenuto» non si contrappone alla forma, ma è il senso profondo intrinseco, alla particolarità delle strutture formali (se è lecito.usare ancora vecchie categorie come contenuto e forma). L'opera d'arte, ha scritto Bachelard, «se segue semplicemente il tempo della vita è meno della vita; non può essere più della vita che immobilizzando la vita [... ] essa ha bisogno di un preludio di silenzio, poi, dopo le sonorità vuote, produce il suo istante. È per costruire un istante complesso, per annodare su questo istante numerose simultaneità che il poeta (l'artista) distrugge la continuità semplice del tempo [... ]». L'opera d'arte può così definirsi come «un istante spaziale di realtà», indipendente e allo stesso tempo carico di un'energia estetica significante in rapporto alla dimensione esterna che ne determina le specifiche condizioni di esistenza. Perché, evidentemente, si stanno ricuperando proprietà del pensare e del comunicare, del raffigurare, che erano antichissime e che sono andate perdute. Voglio soltanto indicare che il tema su cui vorrei riflettere, e su cui mi hanno fatto riflettere le esperienze recenti, è appunto un universo in cui il primato è quello dell'immagine, con tutto ciò che comporta, compresa la storia dell'arte e la partecipazione del sensorium di ciascun individuo, di tutti gli spettatori. I n questo senso ha ragione Beuys quando dice che l'arte è una potenzialità, anzi tutti gli individui sono artisti; e aveva ragione anche Apollinaire quando diceva che nell'arte pochi sono i detentori di questo primato. Con
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