Apiùvoci: PrometeoeHermes Pier Aldo Rovatti. II libro di Formenti ha la capacità di registrare, sensibilizzare, una serie di eventi teorici ch·e si sono succeduti negli ultimi dieci-quindici anni. Questo apprezzamento certamente qualifica il libro, però non è sufficiente; se il libro è infatti una specie di sensorio su quello che è accaduto nella teoria o in una parte della . teoria, esso inoltre si propone di promuovere un punto di vista, un progetto di riflessione: una modificazione, potremmo chiamarla così, del modo di pensare abituale. La proposta mi trova sostanzialmente d'accordo. Il confronto critico può cominciare a nascere sui modi, sulle conseguenze che noi possiamo trarre a partire da questa modificazione. Ho trovato nell'impianto del libro come un doppio movimento, sul quale sarebbe forse opportuno orientare la discussione. Da una parte - e credo sia questo il senso del riferimento, per quanto cauto, al «pensiero debole» - un allentamento e un allontanamento - allontanamento dalla violenza, dalle forme di teorie che comportano elementi di violenza, insomma un «allentamento dell'antagonismo». Quindi anche una presa di distanza da queste forme: il binomio del titolo, Prometeo e Hermes, può anche essere letto in questa chiave. Allentamento/allontanamento dall'elemento violento il quale è rappresentato dall'unità, dall'omnia in unum (nel senso del Serres di Rome). Accanto a questo movimento troviamo però anche un'esigenza di «rimitizzazione»: la positiva indicazione di una riemergenzq del sacro, in un rapporto critico rispetto ai dibattiti attuali sulla secolarizzazione. A me, in sostanza, non sembra facile far convivere questi due movimenti: l'allentamento con le sue immagini adeguate, e la riemergenza del sacro che, evidentemente, comporta che sulla scena appaia qualche cosa che non sappiamo, che ci risulta estraneo, non visibile, e che quindi forse non può essere assunto in un modo diretto all'interno di un'immagine o di un immaginario. Quando, per esempio, nel libro si assume che la teoria possa flutGiampiero Como/li, Alessandro Dal Lago, Maurizio Ferraris, Francesco Leonetti, Pier Aldo Rovatti tuare in accordo con le fluttuazioni del mondo fisico, troviamo una sorta di identificazione tra i modi di pensare e i modi di essere della realtà; ma allora non vedo più come possa intervenire, in questa ipotesi di identificazione, l'elemento del «sacro» che, o deve essere rimeditato in un altro modo, o viene a costituire un effettivo elemento di contraddizione. Giampiero Comolli. Uno dei meriti del libro di Formenti è quello di mostrare come oggi ci troviamo di fronte alla permanenza di un universo mitico: la secolarizzazione del mondo post-moderno, o meglio tardo-moderno, non è pura e .lineare; essa porta invece a una emergenza labirintica di miti, immagini, figure, presenza di sacralità. Secolarizzazione dunque come forma di rimitizzazione; nel campo del sociale, dei saperi, delle scienze assistiamo alla nascita di nuove figure mitiche; Prometeo ed Hermes di nuovo tra noi. Mi sembra che il libro di Formenti ci faccia capire come un simile manifestarsi di miti, di immagini, compo'rti anche una modificazione nel loro statuto di realtà. Queste immagini non possono essere prese come pure e semplici immagini. Fin dalle prime pagine del libro, parlando della metafora del «pensiero debole», Formenti ci dice che bisogna prenderla non allegoricamente, bensì «alla lettera». Ora, mi sembra che questa proposta non riguardi soltanto il pensiero debole. È il mito tardomoderno nel suo insieme che ha acquisito una diversa forma di realtà, diventando, diciamo così, più reale. Figure, metafore, immagini non sono, o non sono più soltanto, segni di linguaggio, significanti che stanno per una realtà assente, non fanno più parte dell'universo della comunicazione, ma entrano invece in quello del simbolo. E il simbolo viene qui inteso nel senso del mettere insieme, ricomporre frammenti di realtà separata; non appare più dunque come un termine segnico, bensì come una modalità dell'essere, della realtà. Accettando questa accezione di simbolo, si può oggi arrivare a dire che esiste un'analogia fra conoscenza ed essere: le strutture del pensiero si rivelano omologhe a quelle della realtà. Hermes non è un'invenzione della nostra immaginazione, ma «esiste», ;el senso che la realtà oggi assume, o può assumere fra le altre, anche la forma di Hermes. E quindi, per conoscere e agire nella realtà, dobbiamo saper pensare come Hermes, essere Hermes. Come Hermes, anche il libro di Formenti vuole essere messaggero e «psicopompo»: guida di anime verso la selva delle immagini tardomoderne. Credo però che per potersi orientare in tale selva senza perdersi nel labirinto delle immagini, occorra anche saperle distinguere, riconoscerle nelle loro differenze, ed è a proposito di questa differenziazione che la via tracciata da Formenti mi sembra ancora imprecisa, incerta. Faccio subito un esempio. Formenti parla della necessità di allentare l'antagonismo basato sulla contrapposizione amico/nemico. Questa contrapposizione deriva dall'attuale permanenza della necessità del sacrificio, sul quale il sacro è fondato. La persistenza del sacrificio ci dice che la secolarizzazione attuale non ci ha fatto uscire dalla sacralità. La rimitizzazione, vista da Formenti come un fenomeno positivo, si accompagna a una risacralizzazione (necessità dei <<nemici»e del loro sacrificio) dalla quale Formenti si vuole allontanare. Qui allora c'è un problema, che riguarda proprio lo statuto di realtà delle immagini. L'opposizione amico/nemico si dà nella misura in cui nasce un mito dell'altro. L'altro va sacrificato in quanto non si mostra più come un simile dell'uomo, bensì come una sottospecie umana, un quasi-animale, un «non uomo, ma solo nemico». Ma nel momento in cui considero l'altro, alla lettera, come un animale nocivo, sono legittimato all'uccisione, al sacrificio. Anche nel sacrificio dunque abbiamo un'assunzione di metafore alla lettera. E l'attuale permanenza del sacro, la diffusione di nuove forme di sacrificio, è dovuta al fatto che si sacrificano immagini prendendole alla lettera. Le immagm1, sacrificate proprio in quanto prese alla lettera, si ripresentano come realtà che affascinano il soggetto, lo schiacciano e lo annientano. Nella contrapposizione amico/nemico il soggetto viene travolto da un'immagine che si mostra nel reale e come reale. Occorrerebbe forse qui introdurre la nozione di «fantasma», modalità di presentazione di un'immagine «para-reale», che non coincide né con quella della metafora, né con quella del simbolo. Perché, per concludere velocemente, anche fra metafora e simbolo non ci può essere, credo, un medesimo statuto di realtà: se il simbolo è reale e ci pone in un'omologia fra essere e conoscere, rimane il fatto che l'essere non coincide con il conoscere (tranne che in forme «estreme» di pensiero, come quello zen, che ci porterebbe su un'altra strada, più lontana ancora): non si può quindi semplicemente o impunemente uscire da un universo del segno per «simbolizzarsi» nel reale. Anche in una via simbolica di ricomposizione nel reale, la metaforà rimane pur sempre segno, a sua volta distinta dal fantasma. Per accedere all'universo mitico tardo-moderno, sembra dunque necessario distinguere fra le diverse forme delle immagini e dei miti che ci si fanno incontro. Ma in che modo distinguere? La distinzione infatti è per essenza un'operazione concettuale, ·astratta e antimitica, forma di pensiero dunque che ci costringe a uscire proprio da quel mondo di immagini nel quale vogliamo o dobbiamo accedere. An-. che il modo di distinguere, anche la forma della concettualizzazione dunque devono mutare. Ma come? Assumendo immagini all'interno dei concetti, ci dice Formenti. Così che non si possa più distinguere fra concetti e immagini. In questo modo il pensiero della differenza (su cui si fonda il logos occidentale) si troverebbe preso nella spirale di un rimando interminabile fra immagine e concetto (dove il «fra» non sarebbe più una differenza ma il continuo annullarsi della differenza). È sull'enigma di questa spirale mitica che il libro di Formenti ci porta a riflettere. Francesco Leonetti. Sento che avete approfondito alcuni punti, molto acutamente: il sacro, la metafora, i miti1E vorrei insistere su ciò, ma anzitutto con uno svisceramento più complessivo del problema che il libro ci presenta, a mio avviso. Ritengo che esso utilizzi o voglia utilizzare o voglia proporre proprio l'uso di un tempo antropologico; nell'attuale vuoto di progetto storico. Certo, lo fa mostrando la incidenza protratta dell'immaginario; però direi che risente così fortemente il vuoto di progetto storico che mette in gioco alcune cose abbastanza inaspettate nel discorso teorico. D'altra parte, a me pare che il libro finga, o protragga, quelFpttica che tutti conosciamo I tradizionale nella critica deda sinistra e propriamentf nella posizione di marxismo critico do.vecriticando i teorici di alt sponde: si fa un utilizzo di loro, o quanto è possibile si cerca di connettere e collegare alla propria posizione quello che i teorici di altre sponde a estrazioni hanno avanzato. E·sta"in>questo il costante attraversamento, che è quasi -. direi in terrriini •ottimi r - • \b "' • ~una rassegna recensiva,. en .,recisa e consequenziale, cht_thnziona in tutto il \ibro. Anch<f ~r 'es~mpio, nei riguardi .diGirard, dst cui viene l'influenza più plausibile, quella sul sacro. Ma mi sembta che anche essa non sia esaustiva e non sia una vera influenza. -Formenti ha prodotto un libro molto giocato, al limite di domandarsi fino a che punto c'è la sua consapevolezza in questo gioco, oppure se è un poco un apprendista stregone, niente di male, lo siamo un poco tutti ... Ma anche nel caso di Girard - per non dire negli altri, negli attraversa-
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