Northrop Frye Il grande codice. La Bibbia e la letteratura tr. di G. Rizzoni Torino, Einaudi, 1986 pp. 306, lire 28.000 Emmanuel Lévinas L'aldilà del versetto. Letture e discorsi talmudici A cura di G. Lissa Napoli, Guida, 1986 pp. 290, lire 25.000 Moustapha Safouan L'inconscient et son scribe Paris, Seuil, 1982 S crittura sacra, scrittura profana: il rapporto è di contrasto (sacro/profano) ma anche di omologia (scrittura/scrittura). Proprio nella scrittura, sacro e profano ritrovano la loro originaria inseparabilità di contro alla separazione che voglia distinguere fra momento utile o economico (profano) e momento non-utile e non-economico (sacro). La scrittura, come pratica «intransitiva» e «perversa» (Barthes) fuoriesce dal profano identificato con la sfera dell'utile. Il rapporto è semmai di «abbassamento» (Bachtin); o di sostituzione: «La letteratura moderna nelle sue molteplici varianti e quando si scrive come linguaggio finalmente possibile dell'impossibile della a-soggettività e della non-oggettività, propone una suScrinU·rsa cra scriH~~l;oprofana blimazione della abiezione. Così la letteratura si sostituisce alle funzioni svolte un tempo dal sacro, ai confini fra identità soggettiva e sociale. Ma si tratta di una sublima-· zione senza sacro. Decaduta» (Kristeva, Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione, Milano, Spirali, 1980, p. 28). Ma il rapporto risulta già, se non da altro, dalla innegabile influenza esercitata dalla imagery biblica sulla letteratura, al punto che, come dice William Blake e come riafferma Frye - che ne riprende l'espressione facendone il titolo del suo libro sulla Bibbia e la letteratura - il Vecchio e il Nuovo Testamento sono il «Grande codice» della letteratura e, più in generale, dell'arte. E ciò non solo perché la Bibbia possieda, come dice Frye, essa stessa qualità letterarie. Certo, la Bibbia è più di un'opera di letteratura; ma non diversamente da quanto non possa esserlo un'opera letteraria. Ciò perché scrittura sacra e scrittura profana appartengono alla pratica della scrittura più di quanto non si lascino appartenere alle istituzioni della Religione e della Letteratura. Come tali esse risentono di una logica, e di un'etica, che è propria di questa pratica per il rapporto che essa istituisce con ciò che Julia Kristeva chiama «semiotico» per distinguerlo dalla dimensione della rappresentazione, della determinazione, della univocità, della accumulazione del senso e della costituzione del Soggetto, della unilinearità costruttiva e programmatica - dal «simbolico». Nella cultura occidentale, scrittura sacra e scrittura profana stanno, perciò, anche nel collegamento che Jabés individua fra ebraismo e scrittura, se scrivere - essere scritto - è passare dal visibile, la rappresentazione, alla non-visibilità, alla non-rappresentazione; dall'udibile, al silenzio, dal pensiero sovrano alla sovranità dell'impensato. La scrittura non è da intendersi solo in senso letterale. Per tale senso si potrebbe adoperare con Barthes il termine scrizione. Perché «La scrittura non è necessariamente la modalità di esistenza di ciò che è scritto» (Barthes, La grana della voce, Torino, Einaudi, 1986, p. 3). Come pratica della significanza, come testo, essa è presente nella tradizione orale dei racconti, delle fiabe, dei miti, delle rappresentazioni sacre. Una scrittura al di là della lettera dunque, e al di là delle settorializzazioni (la Letteratura, la Religione) al di là della esegesi ufficiale, «al di là del versetto» (Lévinas). Del resto, per la capacità di significare sempre di più di quanto non dica, per l'eccedenza del significante rispetto al significato, del Dire sul Detto, per il suo contatto con il «semiotico» e per il suo risentire dell'etica della fabulazione che sottende la fabula, per il ,,,,., suo rapporto con l'Altro della narrazione, la parola umana è già scrittura. In quanto espressione dell'alterità, in quanto «traccia» (Lévinas), presenza di un'assenza, la parola si presenta come scrittura indipendentemente dal fatto di essere scritta nel senso letterale del termine. Perché il linguaggio non ha il semplice statuto di strumento, non si esaurisce nella letteralità di ciò che prescrive o tematizza o fa conoscere, ma è anche l'enigma della espressione, del volto (Lévinas), del rivelarsi di ciò che non si disvela: è anche la letterarietà di un rapporto in cui l'invocazione, il contatto, la presenza, l'intrattenimento - e la letteratura non è essa stessa intrattenimento, «intrattenimento infinito» (Blanchot)? - costituiscono il testo, mentre ciò che è comunicato, rappresentato, è solo pre-testo. Se è così, allora, come dice Lévinas, «la scrittura comincerebbe con il rigo che, in qualche modo, si delinea, e si condensa o si libera come un versetto nel fluire della lingua - di ogni lingua, indubbiamente - per tramutarsi in testo, come proverbio o come favola o come poema o come leggenda prima che lo stilo o la penna lo fissino sotto forma di lettere su tavolette, su pergamena o su carta. Letteratura ante-litteram! Indubbiamente proprio in questa essenza ispirata del linguaggio - già scrittura di un libro - si instaura e regna un ordine 'ontologico' che non assomiglia ~- ~~--~w,;.,;,,... Da sinistra: Tam Johnson, Fatma Lootah, Esther Ferrer, Walter Marchetti, Isidoro Valcarcél Medina né alla realtà naturalmente necessaria della storia e delle cose che tutti si affrettano a ritrovare dappertutto, né all'idealità normativa del dover-essere, né alla profondità insondabile e utopica di una interiorità la quale - nelle acque del realismo poetico, che riempie la buona coscienza - si configurerebbe come un isolotto mitico, ma nella quale tutti sospettano inconscio, ideologia o puerilità. Essenza religiosa del linguaggio, luogo nel quale la profezia farà sorgere le Sacre Scritture, ma che ogni letteratura attende e commemora, sia che lo celebri sia che lo profani. Donde il ruolo eminente svolto, nella stessa antropologia dell'umano - e non soltanto nella superstruttura e nella fragilità delle sue culture - dalle letterature dette nazionali, Shakespeare e Molière, Dante e Cervantes, Goethe e Puskin» (Lévinas, p. 60). La scrittura è implicata dal linguaggio, da ogni linguaggio: è la tesi di Safouan in L 'incoscient et son scribe formulata in rapporto al problema che suscita l'affermazione di Freud - ricorrente nella sua opera - secondo cui il sogno è scrittura: affermazione inacettabile se si considera la scrittura come un'invenzione riscontrabile a un certo punto della storia umana e assente presso certe culture, dato che, invece, il sogno è riscontrabile sempre. «Il linguaggio non sarebbe linguaggio - dice Safouan - se non implicasse la possibilità del-
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