Alfabeta - anno IX - n. 97 - giugno 1987

quanto, appartenendo ali'Essere, sta in ascolto del/'Essere». 6 L'ascolto dell'uomo converte in discorso la silenziosa pretesa dell'Essere e «il linguaggio è il linguaggio dell'Essere come le nuvole sono le nuvole del cielo». 7 La «svolta» in questo senso ha due conseguenze rilevanti, che non hanno pressoché nulla a che fare con il ripudio della Volontà. In primo luogo, il Pensiero non è più «soggettivo». Indubbiamente, se non fosse pensato dall'uomo l'essere non potrebbe divenire manifesto; esso dipende dall'uomo che gli offre una dimora: «il linguaggio è la casa dell'Essere». Ma ciò che l'uomo pensa non scaturisce dalla sua spontaneità o dalla sua creatività; è la risposta obbediente al comando dell'Essere. In secondo luogo, gli enti in cui il mondo delle apparenze è dato all'uomo lo distolgono dall'Essere, che si nasconde dietro di essi - proprio come gli alberi nascondono la foresta che tuttavia, vista dal di fuori, è costituita da essi. In altre parole, l'«Oblio dell'Essere» (Seinsvergessenheit) rientra nella natura stessa della relazione tra l'Uomo e l'Essere. Heidegger ora non si accontenta più di sopprimere l'io che vuole a vantaggio dell'io che pensa - sostenendo, ad esempio, come avviene ancora nel Nietzsche, che l'insistenza della Volontà sul futuro costringe l'uomo all'oblio del passato, defraudando il pensiero della sua attività più autentica, che è an-denken, rammemorare: « La Volontà non ha mai posseduto in proprio il cominciamento, lo ha da sempre per essenza abbandonato col dimenticare». 8 Adesso Heidegger desoggettivizza il pensiero stesso, lo depriva del suo Soggetto, l'uomo in quanto essere pensante, e lo trasforma in una funzione dell'Essere, nel quale ogni «efficacia riposa [... / e di là scorre verso l'essente /das Seiende/ », determinando per ciò stesso il corso reale del mondo. «Il pensiero, a sua volta, si lascia reclamare dal- /' Essere [vale a dire, dal significato reale di ciò che accade attraverso l'essente/ per dare espressione alla verità dell'Essere». 9 Questa reinterpretazione della «svolta», più della stessa Kehre, determina l'intera evoluzione della tarda filosofia heideggeriana. Contenuta in nuce nel Brief iiber den Humanismus, che intf!rpreta Essere e tempo come prefigurazione necessaria e fondazione preparatoria della «svolta», essa si impernia suil'idea che pensare, cioè, «dire l'impronunciata parola dell'Essere» sia l'unico «fare» (fun) autentico dell'uomo; è qui che la «Storia dell'Essere» (Seinsgeschichte), trascendente tutti i semplici atti umani e ad essi superiore, accade realmente. Questo tipo di pensiero rammemora in quanto ode la voce del!'Essere nelle parole dei grandi filosofi del passato; ma il passato viene a questo pensiero dalla direzione opposta, così che la «discesa» ( Abstieg) nel passato coincide con la paziente, pensosa attesa dell'avvento del futuro, l' «avenant». w Ma iniziamo dalla Kehre originaria. Già nel primo volume del Nietzsche, in cui segue puntualmente le descrizioni con cui Nietzsche caratterizza la Volontà, Heidegger si avvale di ciò che più tardi figurerà come «differenza ontologica»: la distinzione tra l'Essere dell'Essere e l'«essentità» (Seiendheit) degli enti. Secondo questa interpretazione, la volontà di potenza indica l'essentità, la modalità principale in cui ogni ente è. Sotto questo aspetto, la Volontà è intesa come mera funzione del processo vitale («Il mondo scaturisce dal compimento del processo vitale»)" laddove l' « Eterno Ritorno» è visto come il termine nietzscheano per designare l'Essere del!'Essere, mediante il quale la natura transeunte del tempo è abolita e il Divenire, il medium del «tendere a... » della Volontà di potenza, riceve il suggello dell'Essere. L '« Eterno Ritorno» è il pensiero più affermativo poiché è la negazione della negazione. In tale prospettiva, la volontà di potenza non ·è se non un impulso biologico che continua a far girare la ruota ed è trasceso da una Volontà che è andata oltre il semplice istinto vitale nel suo dire «Sì» alla Vita. Nella concezione di Nietzsche, come si è visto, «il Divenire non ha meta; non sfocia in un 'Essere' [. .. J; il Divenire è di eguale valore ad ogni momento; [... / in altre parole, non ha valore di sorta, poiché qualcosa con cui misurarlo, e rispetto a cui la parola 'valore' avrebbe senso, non c'è». u Nella lettura di Heidegger, la vera contraddizione in Nietzsche non è dovuta ali'apparente opposizione tra l'Eterno Ritorno, con la sua concezione temporale ciclica, e la volontà di potenza che, nella sua direzionalità tendente a una meta, presuppone una concezione temporale rettilinea. La contraddizione risiede, piuttosto, nella nietzscheana «trasvalutazione dei valori» che, a detta dello stesso Nietzsche, avrebbe senso solo nella cornice della volontà di potenza, ma in cui, nondimeno, egli vedeva la conseguenza estrema del pensiero dell'«Eterno Ritorno». In altri termini è la volontà di potenza, «in se stessa ponente-valori», che in ultima analisi determina la filosofia nietzscheana della Volontà. Alla fine, la volontà di potenza «valuta» un Divenire che si ripete in eterno come la sola via d'uscita dall'insensatezza della vita e del mondo, e tale trasposizione non equivale solamente a un ritorno alla «soggettività il cui segno distintivo è il pensare per valori», 1 -' ma soffre altresì della stessa mancanza di radicalismo caratteristica del platonismo rovesciato di Nietzsche che, ponendo le cose a testa in giù o a testa in su, conserva tuttavia intatta la cornice categoriale entro cui può essere effettuato ogni capovolgimento di questo genere. Le analisi strettamente fenomenologiche della Volontà nel primo volume di Nietzsche si pongono nel solco delle analisi del sé di Essere e tempo, ma ora la Volontà prende il posto che nella fase precedente era assegnato·alla Cura: «L'auto-osservazione e l'auto-esame - si legge - non portano mai alla luce l'io né mostrano come noi .stessi siamo. Ma nel volere, e anche nel non-volere avviene proprio questo: appariamo in una luce che è essa stessa illuminata dal/'atto del volere. Volere significa sempre: portarsi al proprio se stesso [. .. / Volendo, incontriamo noi stessi come Chi autenticamente siamo f. .. J ».,, Quindi, «volere, secondo la sua essenza, è volere il proprio se stesso, ma non un se stesso, semplicemente dato, che è così come è, bensì quel se stesso che vuole divenire ciò che é [. .. / La volontà di andar lontano dal proprio se stesso è infondo un atto di volontà». 15 Vedremo in seguito come questo ritorno alla concezione del sé di Essere e tempo non sia privo d'importanza per la «svolta», o «mutamento di stato d'animo», manifesta nel secondo volume. Nel secondo volume, l'accento si sposta decisamente dal pensiero dell'«Etemo Ritorno» a un'interpretazione della volontà quasi esclusivamente come volontà di potenza, più nel senso specifico di una volontà di signoria e di dominio che in quello di espressione dell'istinto vitale. L'idea del primo volume, secondo cui ogni atto di volontà, per effetto del suo carattere di comando, genera una contro-volontà (Widerwillen) - la nozione, cioè, di un ostacolo necessario interno a ogni atto della volontà, che deve prima trionfare di un non-volere - viene ora generalizzata nella caratteristica intrinseca di ogni atto produttivo. Per un falegname, ad esempio, il legno costituisce l'ostacolo «contro il quale» lavora allorché lo costringe a divenire una tavola. 16 E ciò viene ulteriormente generalizzato: ogni oggetto, proprio perché «oggetto» - e non semplicemente una cosa, indipendente dal valutare, calcolare e produrre dell'uomo - c'è per essere superato da un soggetto. La volontà di potenza costituisce il culmine della soggettivazione propria dell'epoça moderna; tutte le facoltà dell'uomo sottostanno al comando della Volontà. «La Volontà è voler essere padrone ... [È/ fondamentalmente ed esclusivamente: Comandare f. .. / Nel comando, il comandante [. .. J ubbidisce [. .. J a se stesso. Pertanto [l'io/ che comanda è il suo stesso superiore». 17 Qui la concezione della Volòntà perde realmente quelle caratteristiche biologiche che giocano un ruolo tanto rilevante nell'interpretazione nietzscheana della Volontà come semplice sintomo dell'istinto vitale. È nella natura della potenza - e non più della sovrabbondanza e dell'eccedenza della vita - estendersi ed espandersi: «La potenza esiste e rimane tale solo in quanto è accrescimento della sua potenza e in quanto /la volontà di potenza/ comanda tale accrescimento. La Volontà è di impulso a se stessa in quanto impartisce ordini; non la vita, ma la volontà di potenza è l'essenza della potenza. Questa essenza, e mai un quantum [limitato/ di potenza, resta l'obiettivo della Volontà, nel senso che la Volontà esiste e rimane tale solo in rapporto alla potenza. Per questo la Volontà ha necessariamente bisogno di tale obiettivo. Per questo, parimenti, un orrore del vuoto pervade essenzialmente ogni volere... Nella prospettiva della Volontà ... fil nulla/ consiste nell'estinzione della Volontà nel non volere... Perciò... /citando Nietzsche/ la volontà 'vuole il nulla piuttosto che non volere' ... 'Volere il nulla' significa qui volere ... la negazione, la distruzione, la devastazione [corsivo mio]». 18 L'ultima parola di Heidegger sulla Volontà concerne la sua natura distruttiva, proprio come l'ultima parola di Nietzsche concerneva la sua «creatività» e sovrabbondanza. Tale natura distruttiva si rende manifesta nell'ossessione della Volontà per il futuro, che spinge l'uomo all'oblio. Per volere il futuro, nel senso di esserne il padrone, l'uomo deve dimenticare e da ultimo distruggere il passato. Dalla scoperta nietzscheana che la Volontà non può «volere a ritroso» non derivano solo frustrazione e risentimento, ma anche la volontà attiva, positiva, di annientare quello che fu, e poiché tutto ciò che è reale è «divenuto», cioè incorpora un passato, la natura distruttiva del volere concerne in fin dei conti tutto ciò che è. Così, secondo il riepilogo heideggeriano di Che cosa significa pensare?: «Di fronte a ciò che 'fu', il volere non ha più nulla da dire [. .. / il 'così fu' resiste al volere della Volontà [. ../ il 'così fu' è dunque ciò che è contrario e si oppone alla volontà. Ma, mediante tale apposizione, il contrario mette radice nel volere stesso. Il volere[. ../ ne soffre - la Volontà cioè soffre di se stessa[. .. / dell'[. .. fandato via, del passato. Ma il passato discende dal passare [. ../ Così la volontà stessa vuole il passare[. .. / L'avversione della Volontà contro ogni 'così fu' appare come Volontà di far sì che tutto perisca, dunque di volere che tutto meriti di perire. L'avversione che nasce nella volontà è così la volontà contro tutto ciò che passa - ovvero, contro tutto ciò che sorge a partire da un sorgere e perdura /corsivi miei/». 19 In questa lettura radicale di Nietzsche, la Volontà è secondo la sua essenza distruttiva, ed è contro tale essenza distruttiva che irrivolta la Kehre originaria di Heidegger. Conformemente a questa interpretazione, la natura stessa della tecnica consiste nella volontà di volontà, cioè nella volontà della volontà di sottomettere il mondo intero al proprio dominio e alla propria signoria, la cui fine naturale può essere solo la distruzione totale. L'alternativa a tale signoria consiste nel «lasciar-essere», e il lasciar-essere in quanto attività si identifica con il pensare che obbedisce alla chiamata dell'Essere. Lo stato emotivo che pervade il lasciar-essere del pensiero è l'opposto della tonalità del «tendere a... » finalizzato intrinseco al volere; più tardi, nella reinterpretazione heideggeriana della «svolta», riceve il nome di «Gelassenheit», la calma dell'abbandono che corrisponde al lasciar-essere e «ci prepara» a «un pensare che non è un volere». 20 Questo pensare è «al di là della distinzione tra attività e passività» poiché è al di là del «dominio della Volontà», al di là, cioè, della categoria di causalità che, d'accordo con Nietzsche, Heidegger fa discendere dall'esperienza del produrre effetti propria dell'io che vuole, quindi da un'illusione prodotta dalla coscienza. Che pensare e volere non siano semplicemente due facoltà diverse dall'ente enigmatico chiamato «uomo», ma siano in opposizione, è un'idea che venne tanto a Nietzsche quanto a Heidegger. È la loro versione del conflitto mortale che ha luogo allorché il due-in-uno della coscienza, attuato nel dialogo silenzioso tra me e me stesso, muta la sua armonia e la sua amicizia originarie in un conflitto mortale tra volontà e contro-volontà, tra comando e resistenza. Ma è vero che abbiamo trovato la testimonianza di questo conflitto lungo tutto il corso della storia della facoltà di ~~ • La differenza tra la posizione di Heidegger e quella dei suoi predecessori sta in questo: lo spirito umano chiamato dall'Essere affinché ne trasponga nel linguaggio la verità, è soggetto a una Storia dell'Essere (Seinsgeschichte), e tale Storia determina se gli uomini rispondono ali'Essere in termini di volere o in termini di pensare. La Storia dell'Essere, che opera alle spalle degli attori umani, è ciò che, come lo Spirito del mondo di Hegel, determina i destini degli uomini e si disvela all'io che pensa, se questi sa oltrepassare il volere e attuare il «lasciar-essere». A prima vista, questa sembrerebbe un'ennesima versione, forse solo un po' più sofisticata, dell'astuzia della ragione di Hegel, dell'astuzia della natura di Kant, della mano invisibile di Adam Smith o della Provvidenza divina, tutte forze invisibili che guidano le alterne vicende degli affari umani verso una meta predeterminata: la libertà in Hegel, la pace perpetua in Kant, l'armonia tra interessi contraddittori in un'economia di mercato in Adam Smith, la salvezza finale nella teologia cristiana. L'idea in quanto tale - la nozione che le azioni degli uomini siano di per sé inesplicabili e si possano comprendere solo come opera di un fine segreto o di un attore nascosto - è molto più antica. Già Platone poteva «immt;zginareche ciascuno di noi viventi sia una marionetta fatta dagli dei, forse per loro baFrancesco Leonetti tocco, forse per uno scopo più serio», immaginare che ciò che assumiamo come cause, la ricerca del piacere e la fuga dal dolore, non siamo che «i fili da cui siamo mossi». 21 Non abbiamo certamente bisogno di dimostrare delle influenze storiche per comprendere la persistenza ostinata di quest'idea, dalle eteree visioni di Platone alla compatta costruzione hegeliana - risultato, quest'ultima, di un ripensamento senza precedenti della storia universale che sopprimeva deliberatamente dal registro dei fatti tutto ciò che fosse «semplicemente» fattuale, poiché accidentale e inconseguente. La semplice verità è che nessun uomo può agire da solo, nemmeno quando i motivi della sua azione consistono in certi progetti, desideri, passioni e traguardi propri a lui e a lui soltanto. Né ci è mai possibile realizzare alcunché in modo pienamente conforme al progetto (nemmeno quando, come arch6n, ci troviamo con successo nella posizione di guide e iniziatori, con la speranza che i nostri seguaci e successori porteranno a compimento ciò che abbiamo iniziato); e ciò, combinandosi con la coscienza di essere capaci di causare un effetto, fa nascere l'idea che l'esito effettivo debba certo ascriversi a qualche forza estranea, sovrannaturale, non disturbata dalla pluralità umana, che ha provveduto al risultato finale. Ci troviamo davanti a una fallacia non dissimile da quella individuata da Nietzsche nell'idea di un «progresso» necessario ali' Umanità. Ancora una volta: «L'umanità non avanza, essa nemmeno esiste [. .. J [ Ma siccome/ il tempo va avanti, ci piacerebbe credere che anche tutto ciò che è in esso vada avanti, che lo svolgimento sia uno svolgimento in avanti». 22 È certo che la Seinsgeschichte di Heidegger non può non far pensare allo Spirito del Mondo di Hegel. La differenza, tuttavia, è decisiva. Allorché scorgeva in Napoleone a lena «lo Spirito del mondo a cavallo», Hegel sapeva anche che, dal canto suo, Napoleone non era consapevole di essere l'incarnazione di tale Spirito, sapeva che egli agiva spinto

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