Alfabeta - anno IX - n. 97 - giugno 1987

le. Ne Il mito dell'eterno ritorno (pp. 58-70) sono presentati alcuni esempi del rapporto memoria collettiva - storia - leggenda popolare. La letteratura epica orale ha per oggetto personaggi concreti, avvenimenti storici, ma la realtà storica è trasfigurata dalla memoria collettiva e rivalorizzata dall'immaginazione poetica secondo categorie mitiche. Il personaggio storico subisce una metamorfosi in eroe mitico e gli avvenimenti si trasformano secondo moduli mitici (prove iniziatiche, viaggi estatici, ancronismi, combattimenti con draghi, ecc.). «La storicità [dei personaggi] non resiste a lungo all'azione corrosiva della mitizzazione» (p. 64). «La memoria collettiva è antistorica. Questa affermazione non implica né 'un'origine popolare' del folclore né una 'creazione collettiva' della poesia epica [... ]. Indipendentemente dall'origine dei temi folcloristici e dal talento più o meno grande del creatore della poesia epica, il ricordo degli avvenimenti storici e dei personaggi autentici si modifica in capo a due o tre secoli per poter entrare nello stampo della mentalità arcaica, che non può accettare l'individuale e conserva solamente l'esemplare. Questa riduzione degli avvenimenti a categorie e degli individui ad archetipi, realizzata dalla coscienza degli strati popolari europei quasi fino ai nostri giorni, avviene in conformità all'ontologia arcaica» (p. 66). La funzione svolta dal linguaggio simbolico è pertanto l'indicazione di un'esigenza profonda: l'attribuzione di senso alla storia che di per se stessa è priva di significato autonomo, reintegrando e valorizzando le categorie della mentalità mitica, pur dopo la caduta dell'orizzonte arcaico. Ci è quindi più chiaro il modo di procedere dello studioso romeno negli studi raccolti in De Zalmoxis à Gengis-Khan, la sua cautela e circospezione nello spingersi a precisare contesti storico-religiosi quali antecedenti mitici di fenomeni folclorici (vedasi il saggio Sciamanismo presso i romeni?), il suo accentuare l'impossibilità di ricostruire continuità tra passato storico remoto mitico-religioso e tradizioni popolari moderne (vedasi la presa di distanza dalla «tracomania» e dalle tematiche della «rivolta del fondo autoctono» nel saggio dedicato alla figura e al culto di Zalmoxis). Nei saggi dedicati alle ballate Mastro Mano/e e Miorita (componimenti poetici «centrali» per la cultura romena non solo «popolare»), Eliade analizza la documentazione e i risultati esegetici di etnologi, folcloristi e storici della letteratura, come strumenti «complementari» indispensabili ad un'analisi storico-religiosa che non potrà, tuttavia, mai pervenire ad una ricostruzione delle «fasi attraversate da una concezione religiosa prima di cristallizzarsi nelle creazioni artistiche popolari» (p. 167). Lf analisi comparativa permette tuttavia di cogliere la presenza a livello folclorico, in un'area particolarmente conservatrice come quella balcanica, di scenari mitico-rituali, di immagini e di simboli arcaici come quelli rivelati dalle due ballate. Nel caso di Miorita «la concezione soggiacente è arcaica e si ritrova in molte culture allo stadio etnografico: una vita interrotta violentemente continua con diverse modalità di esistenza» (p. 216). Ci troveremmo perciò di fronte a «concezioni religiose primordiali che, malgrado le numerose rivalutazioni religiose (l'ultima delle quali, il cristianesimo, è stata anche la più radicale), sono tuttavia sopravvissute, perlomeno sotto l'aspetto di 'superstizioni', di credenze popolari, ricche di immagini e di simboli antichissimi. L'adesione di un popolo a questo o a quello scenario mitico, a questo o a quel modello, ci parla della profondità della sua anima molto di più di quanto non ce ne parlino le sue imprese storiche. Per comprendere i popoli del sud-est d'Europa, è molto utile sapere che sono stati i soli a creare i capolavori delle loro letterature orali sulla base di uno scenario rituale così arcaico» (p. 167). «Superstizione» nell'accezione eliadiana non è quindi detrito irrelato ma modello mitico-simbolico arricchito dalle elaborazioni successive. Paradossalmente, potremmo aggiungere, se una credenza popolare ricca di immagini e di simboli continua ad esistere ciò avviene perché più ricco è stato il cammino di stratificaziQni interpretative dal mondo arcaico ad oggi. In questo senso, significativo è il prestigio particolare della ballata Miorita, testimoniato dalla continuità creativa del suo simbolismo anche a livello della cultura alta. Il piano del mito vivente traspare quale scenario di religiosità cosmica (non da intendersi in senso panteistico-naturalistico): «Si tratta di un cosmo trasfigurato. La morte non è considerata soltanto come un semplice matrimonio, ma come un matrimonio di struttura e di proporzioni cosmiche. La ballata rivela un'unione mistica fra l'uomo e la natura, concezione non più accessibile alla coscienza moderna. Non si può parlare di 'panteismo' poiché il Cosmo non è 'sacro' in se stesso, per il suo proprio modo di essere, ma è santificato dalla partecipazione al mistero del matrimonio» (p. 220). Questo piano del mito vivente (l'unione mistica fra uomo e natura) non è più ritualmente recuperabile (secondo le modalità dell'ontologia pragmatica arcaica). Soltanto sul piano simbolico l'insegnamento dell'eroe miontico può essere messo a frutto e la sua soluzione creativamente rielaborata: «Le nozze mioritiche rappresentano una soluzione efficace e originale della brutalità incomprensibile di un destino tragico. Dunque l'adesione quasi totale del popolo e degli intellettuali romeni al dramma mioritico è comprensibile. Sia i poeti popolari, che cantavano e perfezionavano di continuo la ballata, sia gli"intellettuali che l'apprendevano a scuola, sentivano inconsciamente un'affinità segreta fra il destino del pastore e quello del popolo romeno. L'eroe mioritico è riuscito a dare un significato alla sua disgrazia, accettandola non come un avvenimento 'storico' personale, ma come un · mistero sacramentale. Egli ha, dunque, dato un senso ali'assurdo stesso, rispondendo con una fantasmagoria nuziale alla disgrazia della morte» (p. 222). La possibilità di un'attribuzione di senso che rompa l'orizzonte tragico e disperante della pressione storica (la nozione eliadiana di «terrore della storia») è legata ali'ermeneutica del simbolo quale linguaggio del sacro. Ma il concetto di sacro riveste in Eliade un senso forte, estraneo ad ogni nichilistica perdita del fondamento ontologico: «La coscienza di un mondo reale e significativo è intimamente legata alla scoperta del sacro. Tramite l'esperienza del sacro, lo spirito ha colto la differenza tra ciò che si rivela come reale, forte, ricco e significativo, e ciò che è sprovvisto di questa qualità, ovvero il flusso caotico e periglioso delle cose, il loro apparire e il loro scomparire fortuito· e privo di senso [... ] Tuttavia bisogna ancora insistere su questo punto: il sacro non è uno stadio nella storia della coscienza, è un elemento nella struttura di tale coscienza» (La prova del labirinto, pp. 139-140). Il simbolo non è traducibile in allegoria né riveste un valore puramente metaforico, resiste ad ogni razionalizzazione e rivela nel suo donarsi elusivo, nella impossibilità di una sua trasparenza, nella polivalenza delle sue dimensioni (e rinvio alla sintetica e pregnante analisi eliadiana della Colonna senza fine e degli Uccelli nello spazio di Brancusi)4 la non riducibilità umana alla storia e al mondo. Eliade quindi non soltanto studioso della religiosità universale ma lui stesso homo religiosus, e ciò esclude, a mio parere, le letture profanizzanti della sua opera. Il penetrante, personalissimo «ritratto» di Eliade nel recente libro di Cioran, Exercices d'admiration (Paris, Gallimard, 1986), si conclude con l'affermazione: «Nous sommes tous, Eliade en tete, des ci-devant croyants, nous sommes tous des esprits religieux sans religion» (p. 131). Immagine icastica ma solo parzialmente vera, in cui Cioran proietta quella che potremmo definire la sua personale fede gnostica senza gnosticismo. Se mi permettessi di riassumere la religiosità di Mircea Eliade, dovrei parlare di libertà che include la liberazione, l'apertura alla trascendenza (con echi del prestigio degli Yoga indiani e del tema gnostico della «caduta» nella storia) e di entusiasmo, in cui la possessione del divino assume le sembianze - presenti ed eludenti insieme - dell' «irriconoscibilità del miracolo». Note (1) Mi permetto di rinviare al mio saggio L'ermeneutica creativa di Mircea Eliade e la cultura italiana in Mircea Eliade e l'Italia a cura di M. Mincu e R. Scagno, di prossima pubblicazione presso l'Editoriale Jaca Book. Su questo problema vedasi anche I.P. Culianu, Mircea Eliade, Assisi, Cittadella editrice, 1978. (2) Ho analizzato le critiche degli studiosi storicisti italiani in Libertà e terrore della storia. Genesi e significato dell'antistoricismo di Mircea Eliade, Torino, 1982. (3) Alcuni di questi saggi sono stati rielaborati dopo la guerra e raccolti ora in Briser le toit de la maison. La créativité et ses symboles (Paris, Gallimard, 1986). (4) Brancusi et !es mythologies in AA. VV. Témoignages sur Brancusi (Paris, Arted, 1967), ora in Briser le toit de la maison, cit., pp. 15-24. Convegno e'""" Iliade Il S ulla banchina di una stazione di Romania, durante la guerra, sotto il bombardamento aereo, un monaco anziano raccontava qualcosa ad un gruppo di contadine che lo ascoltavano affascinate. Le bombe cadevano intorno, ad una distanza non troppo grande, ma esse sembravano aver dimenticato il pericolo. Il loro stesso istinto di conservazione pareva annullato. Mi sono assunto il rischio - la curiosità a volte ti protegge - e mi sono avvicinato al monaco. Era uno di quegli umili frati che fanno lavori fisici presso i monasteri e che avrebbe potuto comparire nelle vicinanze della cucina favolosa del romanzo di Umberto Eco. Raccontava che la notte prima gli era apparso un angelo, con una spada di fuoco nella mano, e gli aveva ordinato di partire per il rr, mondo per annunciarne la fine, -., <:i fornendo mille particolari. Non -5 aveva una fantasia troppo ricca. ~ I:).. Ma' raccontava tutto con passione t--.. e fede. La fine era vicina: le bom- ~ -., be degli aerei tedeschi. Ma non ~ questa fine attraeva ed affascinava ~ le tre o quattro contadine con i ·5o fagotti in spalla e tutti i segni di l'-.. °' logoramento, impressi sui loro s:: volti invecchiati. Il disastro della ~ loro fantasia superava il tempo- ~ raie. i Serbo nella memoria quest'immagine quale prova della forza della narrazione e del mito di soggiogare l'uomo, nei momenti più critici dell'esistenza. Quale dono del mito di sostituire, all'uopo e di distruggere, a volte, la realtà, facendola rinascere in seguito, arricchita. Il racconto del frate pareva più reale della guerra. L'uditorio sembrava più impaurito dalle sue parole profetiche che dallo scoppio delle bombe. In qualsiasi creazione letteraria, per quanto elaborata sia, dal romanzo alla poesia o al teatro, c'è il seme divino della specie: l'interesse per quello che non esiste ancora o esiste in profondità, o in modo troppo complicato per la nostra comprensione, per la nostra capacità di afferrarlo con immediatezza. Questo seme di energia spirituale ha raggruppato intorno al fuoco gli uomini delle grotte, spaventati dall'epica delle proprie ombre, ma anche i nobilj ascoltatori dei salotti frequentati da Balzac - dove egli leggeva - come dei salotti del sud americano, orgogliosi e raffinati. La leggenda ed il mito fanno parte del nostro stesso organismo. Essi sono la proiezione nel futuro della specie umana, l'orizzonte che sentiamo sopra di noi, ma anche quello a cui ambiamo e senza il quale non potremmo vivere. Le grandi creazioni dei miti universali non accolgono alterige o ambizioni personali. Tutto questo sarebbe comparso più tardi, con l'apparizione di «quel signore che dice io» secondo le parole di Proust. L'esigenza di sognare e di fantasticare, anonima o personale, è una struttura intima della condizione umana, evidente nella necessità esistenziale di ascoltare racconti e favole anche nelle più tragiche circostanze della vita, come diceva Mircea Eliade in una sua conferenza, svoltasi a Chicago nel 1978: L'immagine letteraria e la struttura religiosa. Egli parla di cento detenuti in un campo di conRoberto Maria Mascheroni centramento, che sopravvissero grazie alle favole raccontate da una vecchia: tutti quanti rinunciano ad una parte della loro razione giornaliera per aiutarla a non perdere le forze, nonché il suo inesauribile dono. E non soltanto tramite i racconti orali sono riusciti gli uomini a superare 1 momenti drammatici della loro vita, ma anche per mezzo della lettura o ascoltando alcune opere letterarie classiche, considerate come una gigantesca autobiografia dell'umanità. Un amico, poeta, che ha subito la prigione molti anni or sono, mi raccontò che un bel giorno gli era venuta l'idea di narrare a coloro che gli erano compagni di detenzione Guerra e Pace, il romanzo di Tolstoi. Ogni sera, prima che suonasse il silenzio, per molti mesi, egli raccontò un episodio, sul modello degli sceneggiati che le televisioni trasmettono oggi in tutto il • mondo. La detenzione era diventata molto più sopportabile e la sera tutti sapevano che sarebbe arrivato qualcosa di superiore ..alla situazione in cui si trovavano. Entrerà o no Napoleone a Mosca? Il principe Andrea sposerà o no Natascia? La trama del testo tolstoiano aveva fatto dimenticare tutto. Con l'andare del tempo, diceva il mio amico poeta, si era diffusa la voce su questo romanzo raccontato e nel gruppo degli ascoltatori, divenuto ogni giorno più grande, erano comparse presto anche le guardie. Ce n'era una particolarmente interessata al destino di Natascia, poiché aveva una figlia della sua stessa età. Quando era di turno, costui chiedeva al narratore di rimandare gli episodi in cui essa appariva per poter essere presente. Il poeta aveva capito. Prima di riprendere la storia del principe Andrea e di Natascia si accertava che il guardiano ci fosse. Poiché tutti erano stati informati della richiesta della guardia, avevano cominciato a chiamarla Natascia: affascinato da un romanzo, aveva acquisito, grazie alla forza del mito, il nome di un'eroina divina. E non dice Eliade, alla stessa conferenza menzionata, che il bisogno di mitologia, di sogno è un bisogno organico? Egli cita gli esperimenti fatti in varie università americane sulla fisiologia e la psicologia del sonno, e delle sue quattro fasi, una delle quali, la famosa formula REM: Rapid Eye Movement, produce il sogno. Coloro ai quali viene impedito di dormire e quindi di sognare soffrono di disturbi nervosi; e quando il sonno riprende nQrmalmente, si assiste a un'intensificazione dell'attività onirica, come se lo spirito si affannasse a recuperare il terreno mitico perso ...

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