Mircea Eliade. Tradizione e mito Il convegno su Mircea Eliade. Tradizione e mito, che si è svolto nei giorni 5 e 6 marzo scorsi presso la sede del Centro Italo-Romeno di Studi Storici di Milano, s'inserisce in modo organico nel!'attività di ricerca scientifica di questa Associazione, rivolta alle culture e alla storia dei paesi del Sud-Est europeo, nei suoi rapporti con quella internazionale. Al convegno sul grande pensatore romeno, letterato e storico delle religioni e della cultura, recentemente scomparso, hanno partecipato alcuni fra i più autorevoli studiosi italiani e romeni, provenienti da numerosi atenei: dall'Università di Mi-· !ano, M. Marconi ha parlato su Mircea Eliade ed il suo fare storia delle religioni; da~'Università di Pisa, P. Bora su Il sacro e il simbolico, due problemi di storia delle religioni e M. Jacono su La nostalgia delle origini in Mircea Eliade; dal!'Università di Roma, M. Baffi su La narrativa di Mircea Eliade: impressioni di un traduttore; da~'Università di Torino, M. Cugno, su Mircea Eliade e Lucian Blaga e R. Scagno su Mircea Eliade e il folklore (ermeneutica dei simboli e sacralità). Sono intervenuti inoltre gli studiosi romeni N. Dragos: Dal mito folklorico alla letteratura contemporanea, A. Marino: Mircea Eliade sulla letteratura e sul mito, C. Toiu: Mun_- dus imaginalis e M. Vajda: Mircea Eliade e Umberto Eco. Due miti dell'intelletto. Come hanno rilevato il Segretario generale del Centro, prof Bianca Valota e Constantin Toiu, Vicepresidente del!'Unione degli Scrittori romeni, questo convegno - il primo convegno internazionale sull'opera di Mircea Eliade - ha posto numerosi problemi, importanti in sé e per conoscere l'eredità filosofica e letteraria del grande studioso, ed anche stimolanti per lo sviluppo futuro delle ricerche in questo campo. Autore di un classico trattato di Storia delle religioni, di numerosissimi saggi e studi, fra cui Il mito dell'eterno ritorno, Il sacro e il profano. Mito e realtà, e di numerose opere a carattere letterario, professore alla Sorbona e ali' Università di Chicago, Eliade rappresenta in effetti uno dei personaggi più interessanti, ricchi e controversi della cultura contemporanea. Nel discutere il fondamento dei miti, nello svelare l'origine e la struttura del mito, la sua funzione storica, il suo valore sul piano della spiritualità umana come «un modello per l'eternità», Eliade ha svolto un lavoro paragonabile, come novità, apertura e importanza, a quello condotto da Freud nel campo dell'inconscio. Anche nel campo letterario, Eliade ha creato con opere come Nozze in cielo, Andronico e il serpente, La foresta proibita, Notti a Serempore, Il vecchio e il funzionario, tradotti in molte lingue tra cui l'italiano, un genere di «realismo magico» del tutto originale, dove il gioco del sacro, immerso nel quotidiano, e il mitico, collegato ali'odierno ed al reale, aprono la strada all'irreale, per dimostrare la sua organica partecipazione alla vita reale. Insomma, il nesso fra il suo lavoro scientifico e quello letterario è sempre assai stretto: come ricordava Geno Pampaloni, in lui «il romanzesco nasce per decantazione del materiale culturale che l'ha ispirato, [. ..] l'atteggiamento del narratore essendo piuttosto la ricerca del valore ludico della sua favola, che non quello del valore pedagogico, etico, ammonitivo». In questo senso la critica ha frequentemente rilevato le affinità con la narrativa di Borges. Un personaggio tanto complesso non poteva sottrarsi alle più disparate interpretazioni. Non a caso il suo pensiero è anche stato fatto oggetto, a volte, di «appropriazioni» indebite e di improprie strumentalizzazioni: si è parlato di un Eliade strutturalista, di un Eliade antistoricista, di un Eliade «reazionario». Uno dei meriti principali del convegno è stato quello di mettere in crisi questi schemi troppo spesso artificiosi, ricollocando lo studioso nel/' ambito del suo contesto e delle sue preoccupazioni effettive: quelle della ricerca scientifica e del/'analisi, anche attraverso lo strumento letterario, dei moventi dell'animo umano. Una volta confermata l'importanza incontestabile di Eliade per la cultura europea contemporanea, si è lungamente discusso se il suo pensiero rappresentasse una continuità o una rottura rispetto alla cultura romena ed europea del suo tempo; se fosse un «tradizionalista» o un «avanguardista»; il che ha portato a ridiscutere i concetti stessi di «tradizione» e di «modernità». Sottolineando il posto di spicco che occupa nel pensiero e nel!'attività del filosofo romeno il problema della sacralità nei suoi vari aspetti (come ad esempio le relazioni con il profano, o con il simbolo), l'attenzione dei relatori si è soffermata soprattutto sull'attualità della sua opera di storico delle religioni e di narratore. È risultato con pregnanza, confermando in sostanza l'opinione espressa dallo stesso Eliade, che il significato maggiore della sua opera è un messaggio di umanesimo, nella prospettiva universale di un ecumenismo moderno. Nel corso di una serie di dibattiti intensi e vivaci è dunque emerso con evidenza uno dei fili conduttori più continui e profondi della lunga ricerca di Eliade e della sua opera come studioso delle religioni: dimostrare l'ampiezza e la profondità delle interrelazioni intercorse in una cultura europea profondamente vivificata dal contatto con il mondo orientale. Problema che mantiene ancor oggi tutta la sua attualità anche nel mondo contemporaneo dominato dalla civiltà dei consumi e dalla .cultura dei mass media. Si è lungamente discusso sul problema dell'attualità di Eliade per quanto riguarda il campo specifico della storia delle religioni; attualità che la maggior parte dei partecipanti ha individuato, assai più che nella ricerca morfologica e fenomenologica, nel «nuovo» e assai sintomatico fenomeno di un rivolgersi verso lo storicismo come visione e come interpretazione; un fenomeno in cui l'influsso del pensiero e della metodologia di Mircea Eliade hanno giocato un ruolo importante. Una parte consistente delle relazioni presentate al convegno ha poi analizzato l'opera letteraria di Eliade, incentrandosi soprattutto sul ruolo del fantastico nella sua narrativa e sul carattere specifico di questo fantastico, che ha di solito il compito di far intuire la dimensione mitica e «sacra» nel profano, nel quotidiano, a volte in un quotidiano che non lo sa riconoscere. Sottolineando l'intimo rapporto che intercorre tra il filosofo e il narratore, tra l'esperienza del pensiero e quella dell'arte, alcune relazioni hanno evidenziato alcuni tratti specifici della narrativa di Eliade, come la convinzione che il mito continui a vivere nella profondità dell'anima umana e le sia anzi ancor oggi necessario, in un mondo sconvolto e frastornato dall'impatto moderno degli slogan, dei mass media, dei partiti, ecc. Bianca Valota Convegn~obE~l!iade I . . . . . . . . . . . . L a pubblicazione di De Zalmoxis à Gengis-Khan - Études comparatives sur !es religions et le folklore de la Dacie et de l'Europe Orientale (Paris, Payot, 1970; tr. it., Roma, Ubaldini, 1975), volume di saggi eliadiani scritti in un arco di tempo molto ampio (dal 1938 al 1969) e quasi tutti apparsi precedentemente in riviste, non ha destato presso gli studiosi occidentali un . interesse pari a quello, fecondo di interpretazioni critiche e di polemiche non solo scientifiche, rivolto alle opere «specialistiche» come Le Yoga (1954) e Chamanisme (1951), teoriche e metodologiche come Aspects du mythe (1963) e Le mythe de l'éternel retour (1949) e a quelle fenomenologiche e storicocomparative, il Traité de l'histoire des religions (1949) e L'histolre des croyances et des idées religieuses (3 voli. 1976-1980). La causa è da ricercarsi innanzitutto in una certa «inattualità» del libro, apparso in anni in cui si poteva ormai considerare consolidata la tendenza, sia da parte degli storici delle religioni, sia da parte degli studiosi del folclore, ad affidare i possibili terreni comuni di indagine alle scienze sociali (l'antropologia sociale, la sociologia, la psicosociologia) e alle partizioni della scienza storica tout-court (la storia della religiosità popolare, l'etnologia storica, la storia delle mentalità). 1::s Nella prefazione Eliade sostiene •5 che non intende sostituirsi a· fol- ~ ~ I"--- ~ ...... cloristi, archeologi e specialisti in storia antica dell'Europa orientale, ma di aver voluto raccogliere g una serie di studi sugli aspetti prin- ~ cipali della religione dei Geto-Da- ~ ci e sulle più importanti tradizioni °' mitologiche e creazioni folcloriche della cultura romena per il loro in- ~ teresse storico-religioso, e più 1 avanti precisa: «Abbiamo scritto ~ queste pagine non tanto per contribuire alle ricerche degli storici, dei folcloristi, o agli studi sulla cultura e sulla storia della Romania, ma piuttosto per dimostrare le possibilità di un'ermeneutica degli universi religiosi arcaici e popolari, degli universi spirituali privi di espressione scritta e, in generale, di criteri cronologici verificabili» (pp. 8-9). Si può evincere dalla cautela di queste affermazioni la difficoltà di un dialogo interdisciplinare forse mai veramente cominciato ma anche la posizione privilegiata che Eliade ha inteso dare alla sua disciplina nei tre aspetti complementari dell'indagine storico-comparativa, dell'analisi morfologicofenomenologica e dell'ermeneutica creatrice. Troviamo inoltre riaffermata l'importanza per un «arricchimento» della cultura occidentale, di un «confronto» con «l'universo di valori spirituali arcaici»: «Lo storico delle religioni aspira ad ampliare queste possibilità di confronto, interrogando le culture popolari e le folk-religions dell'Europa, dell' Asia e delle due Americhe ed elaborando un'ermeneutica che un giorno permetterà di penetrare fino in fondo i valori religiosi delle società preistoriche. Queste ricerche e queste speranze appartengono a uno dei propositi più consistenti e innovatori della seconda metà del XX secolo: lo studio dei mondi esotici, arcaici e 'popolari'. Niente di più appassionante e stimolante, per la coscienza occidentale, che lo sforzo di comprendere quelle creazioni 'preistoriche' e 'protostoriche' (cfr. 'le storie delle province' che hanno gravitato ai margini degli Imperi e sono sopravissute alla loro caduta), che si sono stratificate e conservate, durante i millenni, nelle culture esotiche, primitive e 'folcloriche'» (p. 9). Non è qui il luogo per giudicare queste speranze né l'esito del confronto creativo, ma è importante mettere in luce il filo rosso che lega i saggi di De Zalmoxis à Gengis-Khan agli studi italiani (19271928) del giovane Eliade sulle correnti ermetiche e magico-religiose del Rinascimento, abbandonato e dimenticato, sconfitto, e alle ricerche pionieristiche del soggiorno indiano (tra il 1928 e il 1931) sul Tantrismo e sulle correnti degli Yoga popolari. 1 È infatti sempre all'opera l'ossessione eliadiana dell' «ampliamento dell'orizzonte culturale» al di là delle mode culturali, degli storicismi eurocentrici apparentemente trionfanti. Il dato più immediato rilevabile dalla lettura del volume del 1970 è l'intenzionalità ermeneutica manifesta: gli universi religiosi arcaici e «popolari» sono considerati in un rapporto paritetico. Le culture esotiche, primitive e folcloriche sono riserva di signifiPierre Restany, Mimmo Rotella, Ali, Pasquale Leccese, William Xerra e Franco Imbonio cati «preistorici» e «protostorici». Affermazione escludente ogni interpretazione del dato folclorico come «sopravvivenza», detrito e residuo laicizzato di un passato mitico arcaico sacrale ma pure ogni impossibile ricostruzione storica di «immediata» continuità - nel caso specifico - «fra gli universi religiosi dei Geto-Daci e quel che si può osservare nelle tradizioni popolari romene» (p. 7). I documenti folclorici hanno conservato fin dentro al nostro secolo significati arcaici, cioè, come vedremo, categorie simboliche e scenari mitico-rituali che sono offerti alla comprensione interpretante degli studiosi moderni e possono nutrire l'immaginario artistico contemporaneo. L a messa in luce dei significati religiosi, dei simboli arcaici operanti nelle tradizioni popolari comporta la preliminare chiarificazione della distanza che ci separa dall' «universo spirituale arcaico» e dall' «ontologia pragmatica» (cfr. Trattato di storia delle religioni, p. 40) che lo caratterizza. La volontà dell'arcaico di vivere in una realtà significativa (la sua «ossessione del reale», la sua «sete per l'essere»), di dare un senso e un valore alle proprie azioni e al proprio mondo si esprime attraverso il linguaggio simbolico, che permette l'omologazione con il cosmo, cioè con un ordine coerente di significati (l'esperienza ierofanica dell'arcaico non è, secondo Eliade, naturalistica) e attraverso il linguaggio mitico (i miti sono racconti «sacri» di fondazione che hanno il loro modello prototipico nel mito cosmogonico ontofanico e che assumono valenza archetipica dall'essere accaduti in ilio tempore, nel «tempo senza tempo» delle origini e che hanno come protagonisti Esseri soprannaturali o divini, eroi civilizzatori o ante-
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