V) <:::! rio e normativo che altri avrebbero fatto del concetto messo in giro da lui. Ma tant'è: anche oggi preferirei ·essere sospettato come kitsch piuttosto che essere stimato come termosifone. Il design è una trappola Aldo Colonetti Ogni polemica culturale è sempre il risultato dell'emergere o del riemergere di un nucleo teorico, intorno al quale il confronto delle idee è ancora aperto e il sistema, il modello attuali non rappresentano altro che tentativi di una progressiva approssimazione per definire i confini disciplinari o, addirittura, il concetto a cui fanno riferimento tutti coloro i quali partecipano alla produzione delle idee. Nel caso specifico del dibattito dedicato alle arti, o meglio, al sistema delle arti e alla loro rilevanza teoretica, è abbastanza indicativo il fatto che è stato sufficiente reintrodurre nella dimensione estetica il problema del progetto, in particolare un oggetto ambiguo esteticamente e semanticamente come il design, per ritrovare voci, riflessioni, filosofie che pensavamo, onestamente, sepolte alla luce sia della produzione artistica e degli artefatti comunicativi, sia, soprattutto, di tutte quelle interpretazioni sempre meno provinciali e sempre più pluridisciplinari. A questo punto, evitando polemiche dirette che hanno sempre il sapore di conti personali aperti, più che di contributi diretti al chiarimento del problema in discussione, vorrei fare alcune riflessioni, a mo' di tesi, sviluppandole· dalla prima domanda che sorge, allorquando nasce la necessità di distinguere, separare arte da non-arte, esperienza estetica da esperienza comune: «Come da tempo abbiamo appreso, l'arte offre soddisfacenti sostitutivi per le più antiche e tuttora profondamente sentite rinunce imposte dalla civiltà e contribuisce perciò come null'altro a riconciliare l'uomo con i sacrifici da lui sostenuti per questa. Nell'attività della fantasia l'uomo contribuisce dunque a godere di quella libertà dalla costrizione esterna, alla quale ha rinunciato da lungo tempo nella realtà». Come scrive Freud, la specificità dell'esperienza artistica sta al di là di ogni fondazione e definizione successive, funzionali esclusivamente ai modelli ideologici corrispondenti. Non si vuole qui, riportare la fondazione dell'attività artistica al di là del principio di realtà, proprio perché sarà. la realtà poi a sedimentare,- concretamente, i soddisfacimenti, trasformandoli in forme, in oggetti: si desidera soltanto escludere .dalle nostre riflessioni, ogni forte riferimento a un criterio e.a una organizzazione gerarchica delle arti, perché questo • significherebbe preordinare l'esperienza estetica all'interno di un modello interpretativo, modello che invece viene sempre dopo. L'emozione estetica varia, variando i codici, storici e antropologici, dell'interprete; per cui, ogniqualvolta qualcuno, operando comparazioni più o meno pretestuose tra un oggetto d'uso pratico e un altro di apparente inutilità pratica, costruisce paradigmi più o meno autorevoli, non fa altro che proporre se stesso, la sua cultura, il suo orizzonte d'interessi indivi- .s ~ duali, come criterio di orientat:l.. mènto generale. «Un oggetto d'arr---- ~ te per definizione è un oggetto ri- -. conosciuto come tale da un grup- .9 po»; secondo questa affermazione ~ <:::! di Marce! Mauss è possibile indiviE: duare un'esperienza estetica non ~ necessariamente là dove ci si i::: aspetta di trovarla, anche se è ij chiaro, che questa riflessione non l è sufficiente per fondare «un crite- ~ rio logico che permetta di decidere su quale base avviene il riconoscimento e, di conseguenza, la discriminazione tra oggetti riconosciuti come tali e quelli che non lo sono» (H. Damisch). Tuttavia questa definizione, di carattere socio-antropologico, ci potrebbe essere d'aiuto, per evitare cristallizzazioni di pensiero e atteggiamenti che si rifiutano di estendere l'orizzonte estetico a un altro parco di oggetti: nel museo immaginario dell'arte, c'è la totalità degli oggetti che gli uomini hanno definito, via via, nelle diverse storie e nelle diverse aree geografiche, con il termine artistici; è ancora possibile, allora classificare e distinguere arte da non-arte, il bello dal brutto, attraverso alcune categorie interpretative che non si richiamano né al soggetto né ai materiali e ai procedimenti, ma esclusivamente a una pretesa iperteoreticità metastorica e per questa ragione mai controllabile? Coloro i quali giudicano, spesse volte si richiamano, più o meno consapevolmente, a una tradizione, a una «formazione artistica, più o meno istituzionalizzata, la cui finalità prevalente consiste nell'inculcare nel maggior numero Autore anonimo di soggetti sociali un particolare regime di preferenze estetiche». Non è questa una condanna sen- . za appello di chi giudica, perché tutti giudichiamo e tutti siamo portatori, o comunque, propositori di norme; la riflessione di Tomas Maldonado esprime una concreta preoccupazione nei riguardi di quella cultura che disprezza, con un atteggiamento aristocratico pre-industriale, tutto ciò che circola, esteticamente, nei prodotti di massa, nelle merci. Non sempre gli strumenti culturali di un'interpretazione, chiusa all'interno di una circolazione delle idee che si autoalimentano, sono in grado di risalire da un qualsiasi prodotto, magari un calorifero, alle sue radici colte, che sono presenti, anche se non appaiono alla luce di una lettura superficiale, nell'itinerario progettuale che ha portato a quel particolare oggetto; l'oggetto-industriale deve essere letto e interpretato non solo nelle sue funzionalità pratiche, semantiche, ma anche come prodotto nella sua dimensione generalizzante di programmi, di tensioni, di testimonianze estetiche, che vanno al di là della sua evidente, chiara e palpabile, praticità. Credo che si sia conclusa l'era di quei filosofi dell'arte che in virtù di un discorso espellevano, dalla riflessione che ha come oggetto l'arte, tutto ciò che non rientra nelle proprie tradizioni disciplinari, in genere tradizioni che difficilmente attraversano altri campi del sapere, altre zone culturali poco frequentate perché ritenute solo strumenti tecnici e non produttori di poetiche, di un'estetica di massa. Ogni oggetto che desta la nostra attenzione, perché la sua forma interna evade da una grammatica costituita, deve essere, comunque, analizzato, non solo per quanto riguarda la sua str~tta ed evidente funzionalità, ma anche per ciò che esso rappresenta esteticamente nel parco degli altri oggetti, simili sul piano di una stessa funzionalità pratica. Già il solo fatto di scegliere per l'acquisto, o anche come luogo di attenzione e curiosità intellettuale, un certo oggetto, è indicativo e sintomatico di come la nostra intenzionalità operi sempre oltre il puro e semplice dato fenomenico: «Una cosa che si presenta ora, concretamente, come colore, indica il suo possibile modo di rappresentarsi come superficie; una rappresentazione sonora è indice di una rappresentazione visiva; un lato è indice del modo di presentarsi degli altri; una presenza attuale è indice delle presenza che permane nella intenzione, del modo in cui si presenta l'appena passato, del modo con cui si presenta il già passato che viene rimemorato, del modo con cui sarà percepito se mi muovo in un senso o in un altro, in disaccordo o in accordo con tutti i modi di rappresentazione». Questa apertura fenomenologica così espressa da Enzo Paci, nel suo Funzione delle scienze e significato dell'uomo, ci consente di non precludere la nozione di arte a ciò che oggi non si definisc_e tale, e, contemporaneamente, ci stimola ad osservare il mondo degli oggetti da più parti, avvicinandoci o allontanandoci; ci invita a cogliere il particolare nell'universale, o l'insieme delle parti come il prodotto di un'attività comune, diffusa e omogenea. Il compito di un interprete colto è, appunto, quello di anpare oltre, e non trasformare la pfopria sfera pratica in una dimensione estetica, ritenuta sufficiente per decidere chi e che cosa stia dentro e chi e che cosa stia fuori rispetto al proprio contenitore colto. Questo, infatti, è un atteggiamento di falsa scientificità, che trasferisce il proprio gusto dalla sfera privata sul piano di un preteso modello teorico: un'opera non è,estetica in sé, e neppure per la proprietà del sistema simbolico in cui parla; essa diventa arte per via di una prescrizione esterna, di natura storica e culturale. La prescrizione esterna, non significa altro che una serie di avvicinamenti teorici all'oggetto, utilizzando tutte quelle discipline che ci consentono di orientarci nel sistema delle realtà artificiali, senza né chiudere gli occhi sulla posizione artistica, né dichiarare decaduti alcuni strumenti culturali che fanno parte della storia delle idee e quindi sono anche all'interno, pur parzialmente, della forma degli stessi oggetti. L'invito ad una apertura interpretativa, potrebbe articolarsi (anche se, per evidenti ragioni, il discorso può apparire oltre che sintetico, un poco dida-. scalico, ma forse qualche volta è· necessario essere didascalici) secondo questi punti o tappe di.avvicinamento: 1. La prima operazione da fare intorno a qualsiasi ogget.to non è quella di tipo ermeneutico, ma quella di una sua corretta contestualizzazione storica: solo così è possibile evitare confronti non solo tra Van Gogh e il calorifero (di questa strana relazione parleremo più avanti), ma tra Van Gogh e Giulio Paolini, per esempio. 2. È necessario poi relazionare l'oggetto con il proprio spazio, o con altri eventuali spazi, nei quali la sua funzione possa o mantenersi o dissentire rispetto a quella tradizionale: il calorifer9 non ~erve nei paesi tropicali, ma proprio lì potrebbe assumere un nuovo, straordinario, valore estetico. Attenzione quindi a giocare con gli oggetti di casa; come scrive Heidegger, a proposito della scultura, «il gioco di rapporti di arte e spazio dovrebbe essere pensato a partire dall'esperienza di luogo e contrada. L'arte come scultura: non già una presa di possesso dello spazio». 3. A questo punto l'avvicinamento all'oggetto dovrebbe tradursi in una lettura deJ!e parti costituenti di esso, del suo linguaggio; qui è necessaria una competenza dei singoli linguaggi attraverso i quali si esprimono le diverse arti, altrimenti ogni altra interpretazione, indifferente agli aspetti tecnici dell'oggetto, non farebbe altro che, consapevolmente o inconsapevolmente, affermare l'inesistenza o la rilevanza dell'opera d'arte. 4. Solo a questo punto può nascere e svilupparsi un'esauriente lettura dell'opera d'arte e, soprattutto, è possibile proporre una filosofia dell'arte che non neghi al fare la sua autonomia intenzionale, ma che, invece, contemporaneamente e parallelamente alla produzione artistica, cerchi di individuare come si sono succedute le diverse tappe di avvicinamento che hanno, poi, portato a.quell'esito formale particolare. Analizzandolo dal di dentro, si potrebbe anche scoprire che un calorifero, con alcune caratteristiche temporali spaziali linguistiche, sedimentate poi in una forma, in un disegno particolare, sia migliore di un «qualsiasi» Van Gogh. Tutto il resto è letteratura attraverso l'arte, intendendo quest'ultima esclusivamente come occasione di riflessioni e di esercitazioni più o meno pretestuose; l'onnivorità di una filosofia -dell'arte e di un'estetica senza alcuni controlli disciplinari, può far dire di preferire una landa deserta a un sistema di comunicazioni, di trasporti, chiaro ed effici(ènte: ideologia per ideologia, preferisco vivere nella modernità ,di un progetto di Bob Noorda. Riflettendo intorno alla funzionalità progettuale diffusa e le arti artigianali, Dino Formaggio giustamente scrive che «due sono le conseguen- . ze alle quali ogni attuale teorizzazione dell'arte non sembra che possa sfuggire: la prima è che l'arte debba essere sempre in ogni suo punto considerata come funzionale [... ]; la seconda, porta al ritrovamento di un principio di individuazione e di specificità altrettanto dinamico e pluralistico del modello ipotetico in cui l'arte viene considerata, speciaimente per descriverne comprensivamente le sue concrezioni particolari». L'artisticità transita dovunque, anche laddove meno te lo aspetti; bisogna saperla cogliere con gli oc- : chi attenti in ogni sua concrezione particolare, e non affidarsi, troppo ciecamente, ai propri occhi colti ma anche distratti dalle parole della cosiddetta tradizione alta. Il de- .sign è uno di questi luoghi' progettuali apparentemente semplici, ma che ,fanno cadere facilmente in trappola chi pensa di sapere e, so- .prattutto, di avere già definita la . propria bussola estetica. L'oggetto è. sempre più complesso di ogni pensiero, di ogni classificazione: parafrasando Hegel, trovare nomi agli oggetti è facile, ma molto più difficile e rischioso è pensare gli oggetti (soprattutto oggetti nuovi o che conosciamo poco) attraverso i concetti, non limitandosi a trasferire, sugli stessi oggetti, definizioni già codificate e sedimentate. Quindi, attenzione a trasferire il giudizio estetico sul proprio cucchiaio alla città, soprattutto perché nella città non ci sono solo cucchiai, e quando ci sono, possono esprimere la propria funzionalità attraverso linguaggi che non sempre siamo in grado di riconoscere, se ci limitiamo a tradurre definizioni dal vecchio al nuovo, dall'antico al moderno. La rarità di alcuni oggetti potrebbe trasformare il calorifero in un'opera d'arte funzionale, più calda, anche sul piano simbolico, di una tela di Van Gogh.
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