Alfabeta - anno IX - n. 96 - maggio 1987

opti senza tentennamenti per i primi. La tdl non sposa acriticamente la teoria marxista, come crede Ratzinger, ma parte dalla situazione oggettiva, dall'esperienza dell' America Latina in cui ora «sono gli indios che evangelizzano la chiesa». Quanto al rapporto fra tdl e marxismo, il «vero problema» per Girardi è così formulabile: «È sufficiente l'uso del marxismo, per affermare la subordinazione della fede al marxismo?» (p. 223). La tdl opera infatti un'assunzione critica e selettiva di esso, nella misura in cui riesce ad esprimere il punto di vista degli oppressi. Nel marxismo è però presente una pericolosa tendenza oggettivistica ed economicistica che lega troppo deterministicamente la coscienza di classe allo sviluppo delle forze produttive e opera una sottovalutazione del ruolo decisivo e propulsivo della soggettività. Il proletario è per Marx essenzialmente la classe vincitrice di domani, interprete del progresso storico.'~ «Schierandosi quindi dalla parte del proletariato, Marx non si schiera formalmente dalla parte dei poveri, dei deboli, ma da quella dei più forti di domani» (p. 243). Per i credenti la scelta di classe è anzitutto un'opzione etico-politica pregna di tensione utopica e __ispirata dall'amore; in questo senso l'autore critica il Marx astioso contro la confusione tra poveri e proletariato, e gli «sdilinquimenti d'amore» di Kriege. Il punto di vista cristiano intende affermare con forza il legame indissolubile amore/lotta politica, amore/rivoluzione, come insegna, pur attraverso le note difficoltà, l'esperienza del Nicaragua sandinista. L'amore, contrapponendosi alla legge del più forte,· è la forza in grado di cambiare e rifondare la politica. Soltanto la pratica dell'amore umano annunzia il_Regno di DioAmore; una pratica che impone a ciascuno di oltrepassare i confini del proprio miope individualismo, di aprirsi all'altro-da-sé e di diventare un potente donatore, un individuo ricco di relazioni e di affetti. Ora la centralità dell'amore evangelico va ribadita anche in riferimento ad una religione ufficiale scaduta ad alleata (sia pure per lo pili inconsciamente) del potere politico ed economico perpetuante l'emarginazione sociale. Non esiste cristianesimo autentico senza rapporto con l'opzione liberatrice dei poveri. Riferendo i alla ricca opera di Karl Rahner, Girardi sottolinea a questo punto che il messaggio evangelico non è riducibile a mera pratica sociale sovversiva. Riduttive sono tanto la lettura spiritualistica annunziante una liberazione essenzialmente interiore e oltremondana, quanto la lettura materialistica che separa l'aspetto messianico da quello teologico. Il libro propone invece una «lettura dialettica, politico-teolo- . gica», in grado di tenere insieme i due livelli: il Regno non è già realizzato su questa terra né proiettabile in un futuro metastorico indifferente alle concrete vicende umane. Venendo alle problematiche culturali attuali Girardi non si limira a registrare I'«eclissi dei fini», la «morte della speranza» (come l'ha definita un altro teologo, Enrico Chiavacci), il «fatalismo storico», la crisi dell'anticapitalismo e dell'antimperialismo. Contro l'alienazione che colpisce l'uomo tecnologico occidentale (quella così ben intravista e analizzata ne L'uomo a una dimensione di Herbert Marcuse fin dai pnm1 anni sessanta) intende riproporre ostinatamente la fiducia nelì'uonìo e lanciare una sorta di mobilitazione delle coscienze di fronte alla vergogna e al problema dei problemi della nostra epoca: il divario tra Nord e Sud del pianeta. Nel tempo in cui le coscienze paiono essere variamente assopite, questo appello può sembrare ingenuo soltanto al cinismo che rischia di sommergerci facendoci pagare prezzi inauditì~-Si tratta di vedere se come europei continueremo ad accettare il terribile vuoto ~ e la decadenza anzitutto morale e culturale che stiamo vivendo, mascherata malamente dalla floridezza e ricchezza economica, politica, militare. La scommessa è aperta, quanto mai coinvolgente e sollecitante. Kasselil ritornodiPound 'I Conversazionesu Documenta 1987 diAntonio Porta con VittorioFagone Porta. Vittorio Fagone è uno dei quattro commissari internazionali (gli altri sono Edward Fry di New York, Wulf Herzogenrath di Colonia, Armin Zweite di Monaco) che insieme a Manfred Schneckenburger, direttore artistico, hanno ideato la nuova edizione di Documenta di Kassel. Documenta, giunta ormai ali'ottava edizione, si inaugurerà il 12 giugno e resterà aperta sino al 20 settembre. La prima domanda da fare a Vittorio Fagone è la seguente: come è stata disegnata la mostra? Fagone. Non è stato facile disegnare questa mostra, perché Kassel ha una sua struttura profondamente diversa da quella di tutte le altre mostre internazionali. Il prototipo delle mostre internazionali è la Biennale di Venezia dove la suddivisione è per padiglioni nazionali, deprecata, ma che consente l'ordinamento di una scacchiera prevedibile dentro le diverse rubricazioni nazionali. L'altro modello è la mostra a tema: io scelgo Arte e scienza, Zeitgeist - lo spirito del tempo:_ e su questo organizzo la mostra. L'ambizione di Documenta, che è una delle grandi utopie dell'arte contemporanea così come è stata formulata nell'immediato dopoguerra da Arnold Bode, un artista molto intelligente, resta quella di riuscire a presentare ogni volta un panorama critico dell'arte occidentale del XX secolo. La Germania del dopoguerra sentiva fortemente la separazione dopo, chiamiamola così, l'autarchia culturale nazista. Ora, riuscire a tenere dentro una sola immagine questo spirito del1'Occidente nell'arte è una delle grandi scommesse che obbliga Documenta a prescindere dagli schemi nazionali. Il punto difficile da documentare quesfanno è di questo tipo: bisognava prendere atto che la grande ventata neoespressionista e di soggettivismo «intensificato» tipico della transavanguardia e del neoespressionismo è un episodio chiuso. Accet- ~ tare questo dato - episodio chiuso .s ~ - in. cui la Germania ha avuto un c:i.. l'-.. ~ ..... -9 ~ ~ t: SI <:Il ruolo di primissimo piano nel mondo, non era e non è facile. D'altra parte, cosa succede? Succede che quella che era sembrata la crisi mortale del moderno degli anni ottanta si rivela solo una scalfittura nel corpo del moderno. Da qui la necessità di una riconsiderazione del moderno cercando ;:g, di chiarire una serie di equivoci ~ che sono sorti sul problema del postmoderno. Debbo dire - e questo può essere un elemento di consonanza, perché allora fu un elemento di discussione nostra, personale, piuttosto intensa - che gli avvertimenti che fece, per esempio, «Alfabeta» nel momento di affermazione del postmoderno con la riflessione di Jurgen Habermas, risultano oggi una posizione influente su questa Documenta. Perché Habermas cosa aveva scritto, per esempio, in uno dei luoghi più belli? Che quando un «trasportatore» è scarico, non c'è niente da fare, puoi cambiare di struttura quanto vuoi, questo trasportatore non è più in grado di dare significati, di dare senso: è veramente in estinzione. Questa era una riflessione che Habermas faceva a proposito dell'avanguardia surrealista che considerava esaurita, ma che può estendersi sino all'altro polo espressionista. E d'altra parte rivendicava un campo della razionalità che non poteva essere saltato. Porta. Io volevo fare una precisazione. Da una parte il postmoderno è stato vissuto come un episodio liberatorio rispetto - come dire - alla progettualità moderna. Da~'altra, oggi si capisce che il postmoderno è pure un progetto che rientra nel corpo del moderno, sostanzialmente. Noi come possiamo, in realtà, definire il cmoderno? Come un'arte che obbedisce ad una progettualità. O mi sbaglio? Fagone. Credo che il problema sia di questo tipo. Dove il postmoderno ha avuto più ragione, secondo me, di assumere significato, è stato nell'architettura. Porta. Dove è nato. Fagone. Possiamo ricordare che Jean-François Lyotard è nato a prestito della sociologia economica. Nell'architettura, il moderno aveva delle declinazioni come «movimento moderno» significava un dato storicamente accertato e in qualche modo anche una sorta di «regola universale» che anùava vitalmente contraddetta. Quando invece noi diciamo postmoderno nelle arti figurative non è ben chiaro. Debbo dire in base alla mia esperienza personale di visiting-professor in America, che lì il moderno nelle arti visive - quando parli con un artista - comincia con l'espressionismo astratto, non comincia col cubismo. Perché il loro moderno, quello che hanno vissuto, è cominciato dall'espressionismo astratto, è arrivato alla popart, è andato al minimalismo, è andato al postminimalismo, all'arte concettuale, alla land-art e si è_ portato in secca; e bisognava ripartire. Porta. Questa è la storia americana. derare il moderno assumendo del moderno, almeno nel campo dell'arte visuale, un aspetto abbastanza caratteristico. Spero in questo di essere chiaro pèrèhé è un punto focale: in tutto quello che è stata la presenza moderna dell'arte, c'è stato sempre un aspetto innovativo sul lato formale e un aspetto fortemente critico. L'aspetto fortemente critico si dà rispetto alle forme tradizionali e riWatt, disegnatore Fagone. Per loro il moderno è più corto. Il nostro moderno da dove incomincia? Forse da Goya, sicuramente dal cubismo, e queste sono differenze di peso. Abbiamo caricato questo termine «postmoderno>>con ogni indicazione che valesse a sottolineare la crisi della progettualità. La crisi della progettualità era inevitabile perché il progetto moderno si era caricato di tutto l'ideologismo, l'utopia assolutizzante, fino a un irrigidimento che ne faceva un dato «non moderno». Quale è la situazione oggi? La situazione è che si ritorna a çonsispetto al contesto socio-linguistico. Nei movimenti della seconda avanguardia, questo aspetto, diciamo, critico, è stato trascurato, mentre si è quasi costruito un nuovo formalismo recuperando dai movimenti innovativi l'aspetto meramente espressivo, trascurando proprio quel carattere che l'avanguardia - proprio nella sua accezione radicale - dava al moderno, che è stato sempre dangerous, pericoloso, veramente pericoloso. Pericoloso era Goya, pericoloso era l'espressionismo, pericoloso era il cubismo, pericolosi erano dada e surrealismo, e sappiamo quanto. Ora, qual è il punto? Documenta è costruita con un'osservazione larga del mondo: siamo cinque viaggiatori a sfera planetaria che cercano di cogliere il senso di quello che succede. Gli artisti, dappertutto, rifiutano di restare prigionieri di una form~lizzazione senza uscita, non accettano più di essere accerchiati rispetto alla possibilità di una significa~ione critica rispetto a un contesto - quello della società del mondo occidentale - verso il quale possono essere compiaciuti solo i reaganiani accaniti. Diciamolo francamente: il mondo viaggia verso prospettive che solo ai conservatori possono sembrare felici, non a chi si interroga sul destino dell'uomo e della natura ... Porta. Quindi tu vedi nel disegno di Documenta un recupero della criticità de~'arte. Fagone. Sicuramente. Uno degli aspetti fondamentali di Documenta, e questo verrà fuori con grande evidenza, sarà il recupero di una nuova modernità come riconsiderazione critica del progetto moderno. In questa riconsiderazione critica del progetto moderno, forse più contano le utopie negative, cioè le grandi angosce dell'umanità, di quanto non siano contate le utopie positive, cioè i grandi disegni ideologici. E queste utopie negative, diventano segni che, al centro degli anni ottanta, cominciano a baluginare come segni anche di una presenza dell'artista; e, ripeto, l'artista della seconda metà degli anni ottanta non è più disposto a dipingere i quadri, anche per centinaia di milioni, a farseli comprare solo per il piacere di averli distribuiti. C'è ormai una diversa scala. Questo è uno degli aspetti. C'è un secondo aspetto - ed è probabilmente quello per il quale sono stato coinvolto in questa edizione di Documenta, visto che me ne occupo da tanto tempo - che è la relazione tra l'arte e la tecnologia. I cinque saggi tecnici che guidano il catalogo di Documenta sono: uno che considera la nuova critica, la nuova modernità, e questo è di Edward Fry: un altro testo considera il ruolo dell'arte nel contesto sociale, il valore delle utopie negative, cioè questo sintomo di allarme che l'arte ancora si assume, ed è di Manfred Schneckenburger. Un altro saggio è di Zweite e considera l'arte dopo Beuys. Tra l'altro quello che viene presentato a

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