A d un anno di distanza dalla morte sono stati raccolti alcuni scritti di Cari Schmitt su Thomas Hobbes - testimonianza di un continuo confronto. Il primo saggio - Lo Stato come meccanismo in Hobbes e Cartesio - risale al 1936-1937, l'ultimo - Il compimento della Riforma - al 1965. La raccolta comprende un lungo estratto da Il Leviatano nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes (1938); una breve recensione apparsa anonima nel 1951, successivamente ristampata in «Universitas», 7, n. 12, 1952 (frecento anni di Leviatano); ed una nota tratta da Il concetto di «politico» (cfr. Le categorie del politico, Bologna, 1972, pp. 150-2). L'analisi del rapporto tra Cartesio e Hobbes permette a Schmitt di introdurre esplicitamente una prima essenziale problematica storico-filosofica, là dove la Francia viene considerata nel XVII secolo già Stato, mentre di contro l'isola oltre la Manica stato di natura ovvero guerra civile. È ben vero che la cartesiana meccanicizzazione del corpo umano è acquisita, ma in Hobbes quella relativa allo Stato non è secondaria né comporta minori implicazioni. Il passaggio dal concetto cartesiano di homme-machine a quello hobbesiano di état-machine è immediatamente chiaro giacché «è possibile, di per sé, concepire lo Stato come meccanismo artificiale senza meccanizzare analogamente il corpo umano; tuttavia, la meccanicizzazione dello Stato può essere anche un'immagine speculare, ingrandita, della concezione meccanica del corpo umano, e può quindi risultare tanto più evidente e spaventevole, come è appunto nel caso di Hobbes» (p. 47). Ora, il Leviatano appare negli scritti hobbesiani di volta in volta «grande balena», «animale artifiSchmiH suHobbes ciale», «automaton» ovvero «macchina», «deus mortalis», e Schmitt sa impareggiabilmente descrivere ed interpretare queste immagini - care alle Sacre Scritture, alla Kabbala, al manierismo. Egli non pone esplicitamente l'equazione «grande macchina» - «grande uomo», pur deducibile dal frontespizio della prima edizione inglese del Leviatano, là dove vi sono molti piccoli uomini assembrati a forgiare un mostro detentore la spada ed il pastorale, simboleggiante l'unificazione dei due tradizionali poteri e soprattutto l'obbligazione di ciascuno verso tutti. Tuttavia Schmitt cita questa incisione del 1651, e la riproduce nel suo citato saggio del 1938. Ne interpreta la possanza dell'immagine, la laicità e la mondanità che sottintende (colline, città ed armi vi compaiono). Schmitt afferma senza incertezza che il sovrano in Hobbes «non è il 'defensor pacis', di una pace riconducibile a Dio; e il 'creator pacis', creatore di una pace esclusivamente terrena» (p. 84). Così come - ancora oltre l'allegoria - considera terreno e mortale Behemoth - il mostro che simboleggia la guerra civile e la fine del «dio mortale», eclissi che Hobbes identifica nel diritto di resistenza (feudale, cetuale, ecclesiastico) al sovrano (p. 121). Schmitt è conscio dei limiti, in senso storico, incontrati da Hobbes. È perfettamente consapevole della dicotomia tra Staat e Standestaat (inteso, quest'ultimo, come rinascita - mutatis mutandis - del feudale stato dei ceti, cfr. pp. 967): «L'isola d'Inghilterra conquistò il mondo con la sua navigazione e non ebbe bisogno né della monarchia assoluta, né di un esercito stanziale, né . di un sistema giuridico di Stato 'di leggi', come invece fu tipico degli Stati continentali. Grazie al proprio istinto Massimo Marzi politico di potenza marzttzma e commerciale, signora di un dominio imperiale mondiale esercitato attraverso una potente flotta, il popolo inglese si è sottratto a questo tipo di chiusura statale ed è rimasto 'aperto'. Lo spirito inglese è lontano dal decisionismo del pensiero assolutistico» (p. 125). Quando successivamente il Leviatano si trasforma in Moloch, secondo l'accezione illuministicoumanitaria, divenendo lo spauracchio dello Stato «totalitario», allora soltanto il decisionismo hobbesiano (auctoritas, non veritas, facit legem) può essere dubbiosamente postulato, strappando l'impianto teorico del filosofo di Malmesbury a riduzioni epocali. Schmitt considera certamente Hobbes «padre spirituale» del positivismo giuridico di Bentham e Austin. La questione criminale in Hobbes attorno al principio del nullum crimen, nulla poena sine lege è altrettanto rilevante, ma Schmitt è autore troppo sottile per limitarsi a questa esegesi (che risale al Tonnies) dello Stato di diritto. L'analisi schmittiana muove infatti dalle imprescindibili domande «quis judicabit?» - «quis interpretabitur?»: «[...} una domanda come il 'quis judicabit' hobbesiano non coglie per nulla la 'legalità oggettiva' della tecnica. Il funzionalismo di queste 'legalità oggettive', coerente in se stesso, elimina la nozione di una decisione personale proprio perché fa tutto 'da sé'; secondo il suo tipo di logica, senza nessuna decisione specifica. Parlare di 'decisioni' in quest'ambito sarebbe tanto assurdo quanto voler fingere che l'alternarsi del rosso e del verde nei semafori di una strada moderna sia una serie di 'atti amministrativi', cioè di decisioni, allo scopo di organizzarlo secondo concetti giuridici e di inserirlo nel sistema del tradizionale diritto amministrativo: si tratterebbe di un procedimento del tutto ascientifico, in quanto ingenuamente antropomorfico. [. ..} Nella civiltà scientifica si può parlare di una 'fittizia attività decisionale dei politici', che si vedono imporre la soluzione dei compiti politici da legalità oggettive. altamente complesse. Molto bene. Sono queste 'legalità oggettive' a prescrivere le soluzioni, cioè le risposte. Ma, muovendo da se stesse, non possono certo porre alcuna domanda, né tantomeno la domanda hobbesiana 'quis judicabit?'. Non c'è ancora· un apparato cibernetico tanto perfezionato da saper porre, a partire dai propri presupposti, la domanda 'quis judicabit?' nel senso della 'philosophia practica' di Hobbes. Rispetto ad una macchina che fornisce da sé soluzioni e risposte, la domanda decisiva 'quis judicabit?' o 'quis interpretabitur?' si precisa nella forma di un 'quis interrogabit?'. È questo il problema, chi pone la domanda, chi programma la macchina in sé incapace di decisione» (pp. 184-5). Schmitt non concepisce una scienza giuridica avalutativa, una immodificabile gerarchia delle fonti (né concepisce un suo vertice, una kelseniana Grundnorm laddove lo Stato è persona giuridica e non fisica). Questa problematica è invece pressoché fatta propria da Hobbes là dove il sovrano rimane garante del contratto (in quanto ad esso estraneo) fino a quando risulta in grado di autolegittimarsi attraverso il pactum subiectionis. Giammai egli è - schmittianamente - «chi decide sullo stato di eccezione» (Habermas, p. 231). Poiché all'epifania dell'eccezione non può seguire né auctoritas né potestas ma soltanto anarchia, ancorché potenziale - quindi ritorno allo stato di natura ed al diritto del più forte. (Sul rapporto Schmitt-Kelsen cfr. • G. Schwab, Cari Schmitt. La sfida dell'eccezione, Laterza, 1986, p. 77 e sgg.; sulla influenza hobbesiana in Kelsen e sul concetto di sovranità in Hobbes rinvio al mio La macchina e l'ingranaggio, Francisci, 1983, p. 91 e sgg., ed alla rilevante bibliografia ivi citata). Epperò leggendo questi scritti schmittiani (cfr. in part. p. 147 e sgg.) si può notare un progressivo invalidarsi del decisionismo al fine di allontanare dalla dottrina hobbesiana il marchio di «totalitarismo moderno». Allora l'inevitabile mortalità del Leviatano può senza forzature divenire la precarietà di una repubblica di Weimar colta da Schmitt come «sistema di legalità occupato dalle 'forze sociali': svuotato positivisticamente e derubato della sua sostanza di dominio. [. ..} Weimar apparve il periodo della decadenza: i resti di uno Stato, concepito ambiguamente perfino da Hobbes, si dissolvono in una impolitic.a autorganizzazione della società» (Habermas, p. 232). Le molte sfaccettature del concetto di obbligazione rendono pertanto problematica la rifondazione di uno «Stato totale» privo di nemici - luogo privilegiato di un incontro ambiguo, comunque irrisolto, tra il filosofo di Plettenberg e l'autore del Leviatano ( cfr. Habermas, pp. 232-3). Cari Schmitt Scritti su Thomas Hobbes A cura di Carlo Galli Milano, Giuffrè, 1986 pp. 197, lire 15.000 Jtirgen Habermas La malattia mortale del Leviatano in «MicroMega», n. 3, 1986 pp. 229-237, lire 15.000 Teologiadelnll"ib; erazione G. Girardi La tunica lacerata L'identità cristiana oggi fra liberazione e restaurazione Presentazione di Pedro Casaldaliga Roma, Boria, 1986 pp. 383, lire 25.000 L a «tunica lacerata» del titolo allude alla divisione interna alla comunità ecclesiale mondiale, dato di fatto da cui, secondo l'autore, purtroppo non si può prescindere. L'identità cristiana oggi è controversa e divisa; la stesH. Garnier, disegnatore e litografo, presso Blaisol, Paris sa terminologia religiosa nasconde e rimanda a due letture del cristianesimo, a visioni contrapposte dell'uomo e del mondo. Nel travagliato dibattito in seno alla chiesa Girardi si schiera esplicitamente; le sue sono critiche puntigliose, documentate e pungenti, condotte però senza astiosità e con spirito fraterno, consapevole del fatto che all'interno della stessa chiesa ufficiale vi sono molte buone energie disponibili e non tutti i giochi son fatti nel senso della restaurazione. La presa di posizione è amara e polemica insieme; s'è inS. Maffeis, disegnatore e incisore vertito il rapporto vangelo-mon- _do, è avvenuta una normalizzazione del messaggio, Gesù non appare più quel «personaggio turbolento», inquietante e anticonformista che dovrebbe essere: «Forse il vangelo non ha cambiato il mondo, perché il mondo ha cambiato il vangelo» (p. 9). Uno degli interlocutori centrali a sui si rivolge il libro è esplicitamente il cardinale Ratzinger, prefetto ..della Congregazione per la dottrina della fede, le cui tesi sulla teologia della liberazione (tdl) vengono accuratamente prese in Autore anonimo esame specialmente nella parte terza relativa ai rapporti fra tdl e marxismo. Il grande dilemma in cui si dibatte la chiesa attuale secondo Girardi è !'aut-aut fra ecclesiocentrismo e antropocentrismo, centralità della chiesa-istituzione e centralità evangelica dell'amore, della liberazione degli emarginati. Queste erano anche le due anime compresenti nel grande evento del Concilio, di cui la tdl sarebbe un deciso approfondimento, una interpretazione creativa tesa a superarne i ritardi e le contraddizioni inevitabili. La tdl porta alle estreL. Dupré, disegnatore; Coiny, incisore me conseguenze l'antropocentrismo affermato dal Concilio e il comandamento dell'amore (il riferimento qui è soprattutto al vangelo di Giovanni) come legge della trasformazione del mondo. Rispetto al Concilio la tdl passa dall'affermazione della «centralità dell'uomo» a quella della «centralità dei poveri», non più intesi come meri oggetti di solidarietà (secondo una logica assistenzialistica), ma come soggetti a pieno titolo del cambiamento. Il principio dell'universalità dell'amore esige che nel conflitto mondiale fra deboli e forti si -S, .... '\ ...... ~:- H. Garnier, disegnatore e litografo, presso Blaisol, Paris
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