Alfabeta - anno IX - n. 96 - maggio 1987

Simbolo,-ragioenfeollia Umberto Galimberti Gli equivoci dell'anima Milano, Feltrinelli, 1987 pp. 284, lire 30.000 «Se volessimo disegnare una architettura simile alla nostra anima [... ] bisognerebbe concepirla a immagine del Labirinto dalle pareti molli, tra le quali cammin~, scivola il sognatore. E da un sogno all'altro il labirinto cambia.» Nietzsche P roprio quando di certe parole non si sa più che fare e, come oggetti di una vecchia tecnica, esse entrano a far parte di un immaginario museo; proprio quando cioè le parole non hanno più un 'utilizzazione «pratica» e «funzionale», allora lasciano intravedere un'apertura, rimandando non una sensazione di mancanza o di povertà, ma di eccesso in cui è rimasto in gioco nella loro storia passata un futuro aperto, un significato a venire come ulteriorità di senso, un'antica promessa che la parola ordinata, fondata sull'identità di ogni cosa cùn se stessa, ha tacitato. Come se, non più prevaricata da un senso e non più ancorata dai riferimenti del sistema in cui si è definita, la parola si liberasse alla fluttuazione dei significati e alla sua deriva metaforica. Quando non possiamo più porci di fronte al linguaggio in modo strumentale, ci troviamo nell' «ascolto» della parola che parla e che, in questa riacquistata equivocità e atopia, dà allora di nuovo da pensare. Ed è proprio attorno a una parola-fossile, come è quella di anima - la quale ha permesso al pensiero filosofico al suo inizio di trovare il luogo deputato per la costruzione di un sapere certo e incontrovertibile ma che oggi anche la psicologia, che pure su di essa ha costruito il suo statuto, vuole lasciarsi alle spalle per assurgere a un ordiname1;1to «scientifico» - che Umberto Galimberti si intrattiene e ci intrattiene nelle appassionanti pagine del suo ultimo libro: Gli equivoci dell'anima. In un percorso altalenante che fa la spola fra Platone, cioè colui che «affidò all'anima il compito di stabilizzare il linguaggio in modo che questo possa prodursi in designazioni non equivoche», e Nietzsche, che «smobilita tutte le stabilità, le espone al 'vento del disgelo', per liberare tutte le possibilità espressive che la maschera platonica aveva trattenuto» (p. 12), Galimberti scrive la sua «commedia degli equivoci». Questa però non si dispiega, secondo lo schema classico, a partire da una situazione che in quanto equivoca induce ad errori, a scambi d'identità, per concludersi nell'evento svelante che ristabilisce l'ordine e con esso ~ la verità rassicurante che rimette .s ~ ogni cosa al suo posto. Ciò che Cl.. questa «commedia» rivela è pror-.._ ~ prio la verità come gioco di volta -. in volta giocato, e l'equivoco come -9 disponibilità originaria del senso ~ ~ che sottende la parola e che si fissa lÉ sempre in un certo senso: «quella ~ scena in cui ogni senso non è ani.: cora del tutto spento nella parola» ti (p. 212) e dove il dire resta custo- l dito nel detto. ~ Così nel suo viaggio alla ricerca dell'anima, Galimberti s'inolt~a in quel «labirinto dalle pareti molli» di cui parla Nietzsche, dove scivolando da una parete-all'altra, da un orizzonte all'altro, si dà la storia di una parola, o meglio delle stratificazioni di senso di una parola, che in quanto «gioca il suo equivqco fra la nozione di 'salvezza', 'inconscio' e 'verità' è forse la parola più idonea a mostrare quello spostamento di volumi di senso da cui dipendono le epoche e le produzioni linguistiche» (p. 11). L'anima, nata per dominare il mondo del divenire e del molteplice attraverso l'ordine dell'immutabile, ha dovuto ritirarsi in se stessa, staccandosi dall'anima psichica della tradizione religiosa e poetica, dal mondo del tempo e dalla «follia del corpo». Platone ha operato questo sradicamento e questa purificazione dell'anima perché questa potesse diventare l'organo della conoscenza emancipata dalle conoscenze soggettive e mondata da ogni impurità sensuale e mortale. L'anima diventa quindi l'orgaRosella Prezzo mondo non vive più nell'interiorità dell'anima (filosofia antica) o nelle forme della sua rappresentazione (filosofia moderna), ma nella coerenza delle procedure che la descrivono sotto il controllo della scienza» (p. 58). ~bolit~ la verità come suo orizzonte, l'anima della ragione non si autògiustifica,:>iù in quanto unica e universale ma in quanto si dà nella produzione di effetti di una realtà non di cose ma di rapporti che la scienza prevede . e sistematizza. M a in questa totale e~teriorizzazione, all'anima accade di risultare come la mappa nel racconto di Borges che per duplicare il più fedelmente possibile il territorio finisce col confondersi con esso, perdendo così la sua identità autoriflessiva e no d~lla cono~cenza com~ ~er~o ,.l:~_· _,. occhw che fissa la venta, il ~ _;,;.,-•..~ quale attraverso la sua retina categorizzante mette a fuoco una logica basata sul principio d'iden- :~~~:;;;i,~~:{!!1:~~i:}:t .-:i,. . . j_ ·f] ne/follia, ecc.) con la quale essa , l 't /;. , :"µ' guarda, se guadagna un sapere •\ l ; , ·· · ·. · ~i I ~< ,;- • . . ;• I •4 '\t':f'., ' l._:.•:' ' \ ' ·, ... '\~•:: ~, :j ' ~ ·~. i,.Òr-~•l _.;. ,' •• ' ~~~--~ ,✓,:" . ......., f ,::ii' f[1ffr . l/ . -~'. ~; , I ' quello spazio terrifico e indifferenziato del sacro che è stato occultato necessariamente perché gli uomini potessero abitare il cosmo) significa per Galimberti riattivare quell'intimo dialogo con l'altra parte di noi stessi da·-cui siamo emancipati, con quell'anima psichica che Platone aveva chiamato della divina follia. Follia che non è il semplice opposto della ragione, ma quella thea mania confine tra due mondi, che come Eros media tra l'ordine umano e la verità del Dio che «secondo l'etimologia platonica è il suo 'errante vagabondare'» (p. 98). Non si tratta perciò di una semplice operazione di svelamento o di ribaltamento: «Svelare il gioco del rimosso significa allora molto di più di quanto non intenda la psicologia del profondo con questa espressione; significa infatti pensare all'anima come a quell'apertura che, nel darsi le regole dell'ordine, non si chiude alla sua profondità, in cui è anche la possibilità dello sprofondamento di ogni ordine. Dal punto di vista dell'anima, sembra infatti che ogni nuova parola della ragione non sia possibile se non liberando ad ogni istante i frammenti di una segreta follia» (pp. 67-68). Ma tutto ciò non può essere detto né da un pensiero disgiuntivo (che vive di opposizioni), né da un pensiero ermeneutico (che trabocca sempre un po', impregnando la propria luce della sua penombra in cui rimane custodita l'incondizionata apertura al senso. Simbolo infatti qui non indica né l'archetipo né il segno che sta per altro, ma ciò che 1ega e tiene insieme la manifestazione e il nascondimento e non si annulla nella forma apollinea ma che reca in sé tutta la fertile sofferenza della lacerazione, perché «ciò che rimane nascosto e custodito non costituisce il limite e lo scacco del linguaggio, ma il terreno fecondo su cui solamente possono svilupparsi nuovi sensi e nuove parole» (p.213). Esporre la ragione alla follia, al suo fondo abissale, vuol dire allora esporre il pensiero e il linguaggio al «vento del disgelo» non per tornare a uno stadio pre-razionale o mitico ma per abitare quella zona di mezzo «dove l'essere raggiunge il suo limite e dove il limite definisce l'essere» e in questa terra «meglio del concetto può la metafora che non afferra ( cum-capio) ma porta fuori (metaphorein)» (p. 153): la metafora non è infatti un mero espediente linguistico ma «la segreta verità della parola». Il pensiero simbolico e il linguaggio metaforico (che impedendo alle parole di concludersi nel detto le rende veramente «ès-pressive») riaprono allora l'apertura dell'anima, apertura di senso «dove ha luogo una circolazione infinita di significati» che di volta in volta «rivela le regole che pongono in essere un mondo e consentono di leggerlo» ma nello stesso tempo \ «non dà fondo a tutti i gio- ·, · : ••· ; chi possibili che restano '/ ;\}~•:;·/···)};}}jt{J}.,- custoditi nell'anima co- • /'./'.~Vù,r. ·.•.·-..~--.. ,,,.,,,_,._,,r/.;,•,,,,-,-~.·- . me sua possibilità» (p. . "/:;r~ ## ,..I',.,..._..,,,./,-:,/',,..,,,,,_.,,,,..,.,., ✓ X-~~ ,,, :,.,.,.,_../-/,..'/ ~,. -, .1 - • ,, 270) ~--;(.,-;,t;, .-:,.~,.,,,--.<--.-. ,, . . •.A' ... i~ \ --/d'&;_.,,:/~.--~,.·-;. ; , ~ ~., ' • 1 './~~-;- ...'/.,:;. v ~·.;,' In tale pensiero / .. .., . ..-;.. .... , ,.-"';'"/.,;""~,;.,.-:,;/ , .... · 1 -::;.=,< "½:,::-·· simbolico, che dice il ' / ,.<,,, ,,n .,:;.:.~- chiaro-oscuro dell'ani- / I I • : ~~:.." :' • lt . ' .,,., . ::~: ma, viene acco o perc10 ~ t il nulla non come non-essere o come altro dall'essere (diversità semantica: ( ·.• 1/,, «questo non è quello»), ma , .. J / ,,;,;··. , ,. .. . ·: , Jf' • come «quel niente che precede e '\ segue l'essere di ogni cosa» (p. 91), come quel quasi-nulla in cui però si dà un mondo (potremmo dire secondo la formula di Jankélévitch): spazio aperto dell'equicerto e universale, «spoglia la realtà di quella potenza del cambiamento che le attribuiva l'anima psichica e, rifiutando gli incontri con Eros, sostituisce all'antica immagine dell'unione degli opposti (symballein) la formulazione del principio d'identità» (p. 45). Così ogni cosa e ogni parola vengono congelate nella loro «essenza»: con questo atto nasce il 16gos come discorso al di là delle parole che seguono il flusso incessante delle cose. Da qui si svilupperà l'anima ecologica di Cartesio e quella legislatrice di Kant, tesa alla lettura di un mondo «spassionato», fino a diventare anima puramente funzionale che non riflette più un io ideale o interrogativo ma l'organizzazione del mondo tramite un campo di discipline. «Il posto lasciato dall'anima come principio di ordinamento viene infatti occupato dal funzionamento di un ordine, dove la 'verità assoluta' si trasforma in un sistema di regole e gli 'errori' in prospettive. Ora il G. Luzzati, disegnatore e incisore il suo potere di orientamento. Tuttavia è proprio in questa perdita di confini - ci suggerisce Galimberti - che l'anima può riacquistare quella designazione ambivalente che aveva già anche in Platone, come sede sia della ragione che della follia. Ciò non vuol dire per Galimberti sacrificare senz'altro la ragione, né disperderla nella molteplicità delle interpretazioni, ma neppure allargarla per inglobare in una critica immanente un territorio sempre più vasto servendosi della follia come contrappunto. Questa è stata infatti l'operazione attuata dalla psicologia del profondo che - per usare una immagine di Caillois - ha operato come «colui che va alla ricerca della notte con la lanterna in mano», ma ciò che trova non è altro che l'ombra gettata dall'a sua stessa luce. Interrogare la ragione non dal suo opposto (che non è altro che il prodotto della sua esclusione) ma dalla sua radice ( da quel fondo abissale da cui è stata liberata, da vive della doxa) né da un pensiero psicoanalitico classico (che non tollera il nascondimento e perpetua lo schema oppositivo) ma da un pensiero simbolico. Il pensiero simbolico a cui allude Galimberti è il pensiero che abita quella zona di mezzo (metaxy) dove l'essere è insieme al non-essere e compone i distanti superando l' «immenso vuoto» fra il mondo dei mortali e I' «errante vagabondare del dio». Potremmo dire che è un pensiero esposto all'ulteriorità non perché voglia raggiungere un retromondo sacralizzato o una meta linearmente e progressivamente spostata in avanti, ma perché si dà in u~o scambio continuo di «messaggi» fra ragione e follia, fra manifestazione e nascondimento dove i sensi sono adunati non per essere soppressi a vantaggio di uno solo e dove più che le cose e le idee è pensato il mondo dei loro richiami. Pensiero simbolico che abita la parola che non si richiude sul suo contenuto, ma voco dove si giocano le peripezie del pensiero e le oscillazioni semantiche del linguaggio nelle regole che hanno stabilità solo all'interno del gioco a cui appartengono. La parola simbolica, come l'anima, è quindi quell'apertura che, nell'ordine della sequenza che si dà, custodisce la sua profondità che libera con la polivalenza del senso «i frammenti di una segreta follia». Se quindi l'anima così intesa non è il riflesso di un ordine superiore, ma la terra di nessuno in cui confiniamo l'ordine mortale e il fondo abissale del divino vagabondare, essa potrà darsi come cifra dell'essere. A patto che l'essere venga vivificato del suo antico significato di vita e nella cifra si legga l'originario arabo sifr che indicava l'aperto del cielo e lo zero, lo spazio vuoto dell'abaco, la decima figura che di per sé non vale nulla in quanto indifferenziata, ma che occupando un ordine fa valere le figure' che vengono dopo di lei, in un movimento ritardato e in spaziamento infimo e radicale.

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