Alfabeta - anno IX - n. 95 - aprile 1987

Ungiocod~!Giappone I ndegnamente io, all'inizio dello scorso maggio, proprio nei giorni dell'incidente di Chernobyl, sono stata invitata, unica ospite occidentale, ·a una seduta di poesia per la quale si erano riuniti nove celebri scrittori giapponesi, cinque uomini e quattro donne. La scena era una bella.villa dietro le Terme di Caracalla, in una zona romana tipica. La villa era circondata da siepi e prato con fiori, glicini, zagare, rose, ireos, pitosphori, colori e profumi. Non vorrei che la memoria mi eccedesse, facendomi citare fiori di diverse stagioni sbocciati insieme: un'eresia per i giapponesi che in ogni lettera o poema o comunque pagina scritta devono indicare la stagione in carica, usando una parola chiave per lo più convenuta, proprio perché si sappia in quale tempo e atmosfera collocare sia gli avvenimenti sia le immagini sia le emozioni, in una sintonia che sola può rivelare il vero significato del messaggio. Dentro la villa, un salone con le finestre sul giardino; nel salone un grande tavolo ovale da seduta di amministrazione, in legno di ciliegio; intorno al tavolo nove poeti giapponesi più una maestra di cerimonia del tè più, sempre indegnamente, io. L'occasione era la visita in Italia di nove famosi letterati: Uchida Sono, Tanaka Tomoko, Miyamoto Yutaka, Komasaki Shitei, Miyamoto Shugo, Fujisawa Takashi, Fujisawa Meiko, Sakamoto Mariko, Kanda Tomiko. La loro visita si festeggiava con una seduta di poesia, come di costume fra letterati cinesi e giapponesi. In Occidente può accadere, anzi accade comunemente, che la visita di un gruppo di letterati venga celebrata consumando poesia - ma la differenza fondamentale è che da noi, in occasioni simili, le poesie si delibano insieme leggendole, mentre in Oriente, non solo in Giappone, le poesie insieme si scrivono. Si scrivono sul momento, stando in un giardino oppure, se il tempo è inclemente o se fuori c'è il fallout atomico, riparandosi in una stanza aperta sul giardino. Come quella in cui noi ci trovavamo. Via via che si andava avanti nella composizione, mi rendevo conto _di quanto fosse spinto il fare insieme del loro scrivere. Ecco come si procedeva. Sono stati distribuiti a ognuno dei presenti due fogli a righe (naturalmente verticali), alcuni fogli bianchi, cinque striscioline di carta bianca. Il conduttore del gioco - che è sempre il leader del gruppo, il più celebre o il più anziano, in questo caso Miyamoto Yutaka - stabilisce che si scrivano cinque poesie a testa e se ne scelgano sette. Dato il via alla seduta, ognuno comincia a scrivere i propri cinque haiku sulle cinque strisce di carta. Da notare che nessuna poesia viene firmata. Finito di ·scrivere, ognuno consegna le proprie strisce al conduttore che le mischia accuratamente per poi redistribuirle, di nuovo cinque a testa, a caso: così ognuno si trova davanti cinque poemi non firmati, di cui non è in grado di individuare gli autori se non dalla calligrafia, nel caso che la conosca già, ma anche a questa eventualità si deve ovviare. A questo punto comincia la parte più interessante della partita. Ognuno copia sul primo foglio a righe le cinque poesie che trova sulle cinque strisce che ha ricevuto, poi passa il foglio al suo vicino di destra, ricevendone uno equivalente dal suo vicino di sinistra. Letto il foglio ricevuto, copia sulla pagina bianca le poesie che preferisce poi lo passa al suo vicino di destra: i fogli a righe continuano a passare e ogni volta vengono riportate sul foglio bianco le poesie scelte, finché il giro è completo. Adesso ognuno trova scritte sul proprio foglio bianco tutte le poesie che gli sono piaciute: ne ricava sette, quelle che gli sembrano più Elsa Morante ®David Levine (1985) Courtesy Studio Marconi ---- -----w-"- degne di essere segnalate, le copia sul secondo foglio a righe e le firma. I fogli firmati vengono consegnati al conduttore della gara che li legge uno dopo l'altro e legge anche la firma di chi ha operato la scelta. Colui che ha scritto per primo la poesia letta può inchinarsi e ringraziare, rivelando così la propria identità, oppure può restare in silenzio. Devo dire che ero irresistibilmente attratta, ero affascinata dai modi in cui si svolgeva la partita: dalla rapidità e dalla naturalezza con cui procedevano ·i nove letterati, senza interrompersi, senza pause, apparentemente senza riflettere, ma in realtà con una concentrazione assorta e gentile, facendo scivolare i pennelli tra le righe, passandosi i fogli con un moto circolare di gesti ripetuti, producendo un ritmo di scritture e di scambi ininterrotto e veloce. Praticavano la serietà di un vero lavoro e insieme la leggerezza di un gioco: una leggerezza di sguardi, sussurri, sorrisi, mani e volare di fogli. Concentrazione senza rigidità, serietà senza pesantezza. Si poteva pensare che qualsiasi cosa accadesse davanti a quelle finestre, l'apparizione di Amaterasu o l'esplosione atomica, nessuno avrebbe interrotto l'esercizio di copiare. E forse nessuno sarebbe stato colpito - o almeno così sembravano: irraggiungibili e intoccabili. Perché non stavano facendo soltanto della letteratura: «intenzionalmente senza intenzione», stavano sperimentando una ricostituzione del mondo che quel modo di fare poesia raffigurava. Quello che li avrebbe difesi da qualsiasi aggressione del disordine esterrio era la necessità di .seguire senza distrazione-e senza errori una formalizzazione poetica rispondente a regole metriche e retoriche severe: le sillabe contate 5/7/5, le cadenze, la parola di stagione, l'indizio dell'occasione, tutto faceva parte insopprimibile dell'esercizio. S i legge ne Il grande racconto della totale estinzione che i discepoli chiesero al Buddha morente quale fosse la cosa più importante da fare, il Maestro rispose: «Esercitate»; quando gli chiesero quale fosse la cosa più importante in cui esercitarsi, rispose: «Quella che state facendo». ~~ : " --. "' -~ ..... ·., ' Anche la poesia è esercizio del fare, l'ispirazione davvero non c'entra: è un certo modo di esercitare la mente e il kokoro (termine che indica un insieme di spirito e sensibilità e altro, e si scrive con lo stesso ideogramma di shin che unito a zo designa il cuore come organo fisico). Può darsi che, dopo il lavoro di composizione, le poesie in seguito vengano pubblicate, ma questo è un avvenimento del tutto estrinseco e poco interessante. Non si dimentichi che in Giappone gli antichi poeti erranti lasciavano appesi agli alberi dei foglietti su cui avevano scritto dei versi, come traccia deperibile del loro passaggio. A che cosa avevo realmente assistito durante quella gara di poesia? A una partita in cui tutti i partecipanti erano attivi alla pari, senza gerarchia di celebrante e profani, di autore che si espone e . di ascoltatori che ricevono e, se possono, giudicano. Durante quel gioco così cortese, la prosopopea dell'autore si era sbriciolata, scomposta, sparita, e l'opera era stata assimilata dal gruppo per successive appropriazioni, con uno scambio di parti verbali le cui aggregazioni, sottoposte a un progressivo processo di scelta, erano diventate cosa comune, firmate da nessuno e da tutti: le scelte come invenzioni reinventate, l'ultima legittima quanto la prima; una scelta che si accompagna a una scelta, niente altro. Mi era capitato, dunque, di assistere alla progressiva messa in evidenza dell'opera letteraria in sé, senza alcun legame con il suo iniziale inventore: chiunque, apponendovi una firma di avallo, la restituiva al comune potenziale poetico e con questo non solo esercitava la propria conoscenza ma anche si rafforzava della propria responsabilità. Un modo di procedere che certo non ha nulla a che fare con il sistema usato nei nostri concorsi, quello della busta nella busta, imposto per non inquinare un giudizio che si pretende oggettivo su un'opera che appartiene a un creatore onnipotente - mentre qui si tratta di un giudizio dichiaratamente soggettivo su un'opera di cui si è perduta l'attribuzione. L'opera è solo un fatto, un accadimento, un fenomeno su cui tutti si possono esercitare. Con qualche variante nella procedura, queste gare poetiche si fanno fra tre partecipanti o cento o mille. Ancora oggi, per il compleanno dell'Imperatore si fa in tutto il Giappone un'unica Kermesse di poesia, con la stessa partecipazione popolare che da noi ottiene la lotteria nazionale o il totocalcio. Ogni cittadino può mandare una poesia waka (14 sillabe più dello haiku) sul tema proposto dall'Imperatore stesso, che quest'anno è L'albero. I migliori saranno ammessi nel palazzo alla presenza dell'Imperatore per offrirgli la loro poesia, e non è cosa •da poco incontrare gli Dei: perché l'Imperatore non è il capo politico, ma resta sempre, checché ne dica il rescritto del 1 gennaio 1946, l'incarnazione vivente dello Spirito del Giappone. Ora·, lo scrittore giapponese Sono Uchida, che è anche Ambasciatore del suo governo presso la Santa Sede, vuole portare in Italia l'uso delle gare popolari di poesia. Lo ha già fatto in Africa, Senegal, e in America, Stati Uniti: in Africa la risposta è stata generosa, tanto che Sono Uchida ha potuto pubblicare una antologia di haiku africani, in appendice a un suo libro sulla poesia giapponese; sulla 'O <::s reazione degli americani non ho .:; notizie. (In Italia, il concorso, ~ Cl, sponsorizzato dalla Jal, la compar-.... gnia di volo giapponese, è già sta- ~ ...... to bandito. Come reagiranno gli ~ italiani? Risponderanno solo gli "'- §, scrittori professionisti o proprio gli scrittori non risponderanno? Non ~ so immaginare, ma sarà interes- ~ sante parlarne a cose fatte.) ~ .e ~ <::s

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