eccesso di ingegneri? Perché forse io mi aspetto, oggi, da uno scrittore e da un romanziere, una strategia diversa di esposizione, una strategia - che è anche di tipo tecnico, evidentemente - tale che possa mettere di più l'autore allo scoperto. Voglio dire: veniamo da un secolo in cui tutte le strutture narrative sono state provate, riprovate e rovesciate, e credo che sia arrivato il momento - e forse è Francesco Leonetti. Una volta, nel 1960, tenevo una rubrica di critica di poesie in «Paragone», consultando talora Longhi stesso; era titolata da me Un'analisi semantica. Da certe espressioni dei testi prese come «campioni» - nel senso di Auerbach - tracciavo la serie di scelte a tutti i livelli, linguistico e della composizione, e dell'atteggiamento etico-concettuale. Come si era letto nel gran libro di Galvano ... Oggi risulterebbe inammissibile un simile procedimento. Per esempio, Volponi è un autore di straordinarie «rime», ciò non vuole però dire le poesie sue, ma, tecnicamente, le rime; non emerge da qui, come da una tensione iterativa e dissolvente, l'ira sua propria di Volponi verso la babele produttiva ... Dovrebbe a mio giudizio emergere; dovrebbe potersi desumere dal testo. Oggi invece si tende a non inferire niente dalla superficie linguistica, a causa di una assolutizzazione del linguaggio da cui si deve sempre partire. Come ora, invece, far derivare dalla giusta constatazione della scrittura per «lasse narrative» dell'ultimo Balestrini la sua fiaccola puntata in un buco delle grate? Tento di r_agionare così: poiché tutte queste passioni contorte, poi represse, poi soffocate stanno sul cuore, con la bocca muta, da molti anni, hanno preso a poco a poco un'esigenza di canto, però preciso, un'esigenza di ritmo come lungo grido corale. Si è attestata così la materia della rivolta dal basso e della straordinaria comunità che si sprigiona sempre nelle lotte di base. Così Balestrini è giunto a una narrazione lirica come quelle di Vittorini resistenziale, con un suo manierismo forte. Accade che questa stilizzazione attentissima nel timbro e nella scansione viene a dare un distacco limpido tra la materia violenta e la voce. Ciò esalta la voce. E mentre oggi cresce, come' dice Rossanda, «la quantità dell'invisibile», ciò che i media non mostrano (ne «Il manifesto», 12 febbraio 1987), alla fine del suo testo Balestrini è «in vigile attesa» ... E noi pure. Effettivamente il «come è» di -Balestrini ci accresce, ci rende vigili nel mondo, ci dà un più di intensità. Antonio Porta. Voglio premettere che il romanzo di Balestrini • Gli invisibili pone alcuni problemi notevoli dal punto di vista critico che non mi sento di risolvere a una settimana dalla sua lettura. Posso constatare che in questo romanzo Balestrini ha portato a livelli straordinari quella ché viene definita unanimemente una «lassa narrativa», cioè una strofa lunga, senza punteggiatura, che ha maturato in lunghi anni. Rispetto, per esempio, a Vogliamo tutto, qui c'è una tensione molto superiore: e questo è stato rilevato anche dalla critica. Vi è un certo processo di matuquesto quello che mi aspettavo da quest'opera di Malerba - in cui l'autore deve rischiare tutto se stesso. Lo sottolineo proprio perché un terzo di questo romanzo va in quella direzione. Ho letto tutta l'opera di Malerba, e posso dire che mai come in quest'opera è stato vicino a rivelarsi. Il mio rammarico sta qui: che non è riuscito ad arrivare fino in fondo - proprio sul piano strutturale - ad una possibirazione di una prosa che nasce indubbiamente dall'école du regard, cioè da Robbe-Grillet sostanzialmente, e lo si vede e lo si può notare in molte insistenze di particolari, di annotazioni che sembrano minime e che invece assumono una grossa importanza nel ritmo della narrazione. Ci sono però dei momenti, ed è questo secondo me il nodo critico da risolvere, che richiamano nettamente quelli che sono stati i rischi del neorealismo. E non mi pare un caso che Leonetti abbia nominato, secondo me molto acutamente, Vittorini. Voglio dire: i rischi e le cadute nel neorealismo si sono verificati quando un certo eccessivo livello di esteticità si è sovrapposto a una materia politicamente «calda». Il neorealismo non è stato affatto una forma di realis-moma una tensione stilistica. E questa tensione stilistica è caduta proprio là dove ha peccato, diciamo, di un eccesso di letteratura. Questo è il rischio che mi sembra corre anche Balestrini. Alfredo Giuliani ha parlato acutamente di «formalismo», Leo netti dice «manierismo». Questo è il nodo critico: ed è curioso che la prosa, diciamo neosperimentale, arrivata alla sua maturazione, si ricongiunga allo sperimentalismo che è stato proprio di Vittorini e del neorealismo. Da questo nodo critico deriva però un certo fastidio, almeno a me, per certi passaggi ironico-politici-giocosi, come se il movimento degli anni settanta, fosse stato una sorta di gioco, di messa in scena, di sceneggiata; si inciampa molto spesso nelle parole «gioco», «film», «sceneggiata», «ruolo», «spettacolo», ecc., perfino un «giocare coi carabinieri», che mi ha molto colpito. Il romanzo non pone più problemi, ma diventa straordinario e decisamente epico, in tutta la parte carceraria. Qui scompaiono tutti gli aloni ironico-giocosi, tutti gli ammiccamenti di tipo letterario, e il romanzo trova il suo vero €orpo e diventa perfino commovente. Mario Spinella. «Commovente>> ha detto Porta a conclusione del suo intervento, e debbo dire che questa è la parola che mi rumina da quando ho letto attentamente Gli invisibili di Nanni Balestrini. Una parola verso la quale sono diffidente: io sono per una critica fredda, gelida, scientifica se possibile. Ma lità di rivelazione anche sul piano etico. Per cui anche questa figura del grande nemico politico, che poi non è nemico dell'autore de Il pianeta azzurro ma è nemico di tutta la nostra società, non riesce a diventare, come dire, allegorica o simbolica. Mario Spinella. Voglio anch'io riprendere due brevi osservazioni di Leonetti e di Maria Corti in partipotrei dire di questo libro. Intanto sulla questione delle «lasse narrative». È un'espressione che, perm:ettetemi di dirlo, ho adoperato fra i primi certamente, proprio nel 1971, recensendo su «Rinascita» Vogliamo tutto, e già allora alludevo, sia pure indirettamente, ad un modello che a me sembra presente in Nanni Baiestrini (può darsi che sia solo un'illazionedall'esterno ). Vale a dire il grande modello delle lasse narrative, cioè il grande modello della Chanson de Roland, il grande poema ·in lasse narrative della storia della letteratura. E un altro tipo di affinità ricongiunge Vogliamo tutto, certamente inferiore come resa a Gli invisibili stessi. Voglio dire: la Chanson de Roland, Vogliamo tutto e Gli invisibili hanno un punto in comune, fanno la storia di una battaglia audace, piena di speranze, e di una sconfitta totale, di una Roncisvalle, fanno la storia di una Roncisvalle che però nulla toglie, e qui mi sembra la forza del libro, alla spinta vitale che ha mosso gli eroi della sconfitta di Roncisvalle, gli eroi della sconfitta di Vogliamo tutto, gli eroi della sconfitta del movimento che è qui rappresentato. Non è in questo caso confesso che a que-~."' sto desiderio di bisturi si è sovrap- 4, ,"/I. posta una comunicazione di ti- ~ ?..-::.:..· po emotivo e ciò rende pro- ff2.,~-::=.~, babilmente meno probante/ j/ ( - più ipotetico, quel poco che I-" V colare, sulle quali concordo perfettamente: il valore, il significato appunto di azione «interstiz~ale» del finale dell'opera che precisa quanto volevo alludere, detto molto bene da Leonetti. E anche quello che diceva Maria Corti proprio su questa ruminazione intorno a temi grandi o piccoli che siano, alla Bouvard e Pécuchet. Perché trovo che il libro - come molti libri che hanno al fondo una voquindi casuale, sono d'accordo con Porta, che i momenti più alti sono i momenti del massacro, del~ la prigione, del massacro di Roncisvalle, appunto. Dove cioè a un certo momento l'uomo, tutto l'uomo, con i nervi, con il cervello, con il sentire, il patire, il soffrire, viene messo in primo piano, viene esposto, viene denudato. Ecco, questa «denudazione» fa sì che il titolo Gli invisibili viene ad acquisire, a mio parere, una doppia valenza: da un lato quella - giustamente, felicemente, con la sua capacità, sottolineata da Rossana Rossanda - vale a dire, appunto, del «ciò che si tende a mettere da parte». Ma dall'altro lato una valenza successiva, che è invisibile più in generale, nel tipo di società contro cui fa polemica il libro - apertissima, non ha bisogno di essere ulteriormente dichiarata - è invisibile il sentire, il patire, il pathos. Balestrini lo riporta alla ribalta anche attraverso metafore violente, drammaticlie, che tutte insieme, coerentemente, si includono nella fondamentale metafora di una società ove tutto ciò che non è in superficie, in realtà, si fa «invisibile». Cesare Pavese ©David Levine (1968) Courtesy Studio Marconi Omar Calabrese. Voglio premettere due cose. La prima che naturalmente non sono un critico letterario professionista, quindi la mia frequentazione della letteratura è così discontinua che non posso permettermi di dare dei giudizi letterari. Il secondo è che probabilmente sono di letture e di gusti differenti da coloro che hanno frequentato interamente la letteratura italiana del dopoguerra, e questo vuol dire qualcosa a livello di approccio. Ciò detto, proseguo affermando che la mia premessa è una excusatio non petita che mi permette di dire perché questo libro mi è piaciuto a metà. Mi è piaciuto a metà perché ho trovato che sia una specie di grande «incompiuta». Da un lato è un'«incompiuta» sul piano stilistico, perché trovo ci sia la tendenza curiosa a trasformare la in prosa. Dall'altro è lontà etica, come è stato detto giustamente - va letto nella sua chiave grottesca e amara insieme, ove ·1'amarezza nasce dal fatto che non si può che parlare in modo grottesco di questa realtà grottesca e degradata. Quindi secondo me il taglio dell'opera corrisponde proprio a questa vis etica delusa, contorta, perché delusi e contorti sono gli stati d'animo di molti qi coloro che vivono oggi. un'«incompiuta» sul piano contenutistico perché c'è la tendenza a trasferire la saggistica in letteratura. Le due operazioni sono entrambe possibili, ma, fatte insieme, mi lasciano in mezzo al guado. Per esempio: trovo mirabili· certi passi in cui davvero si sente una sperimentazione della parola spesso anche ardita - oppure, se non più ardita, perché certe cose Balestrini le faceva anche prima - diciamo più sofisticata e raffinata. Inoltre, trovo uno stridore con il passaggio brusco, in certi momenti, a una letteratura pedagogica, in presa diretta, in cui si tenta di dire, ma proprio dicendolo troppo esplicitamente, che cosa è successo di un movimento che è stato rimosso e che ha provocato una serie di conseguenze che tutti ben sappiamo. Strano quindi questo paradosso: l'operazione che è puntata sul linguaggio, che è molto sofisticata, degna del miglior Balestrini, è un'operazione di saggistica in letteratura che non direi neppure «neorealista». Come dice Porta, il neorealismo era infatti una corrente propriamente di stile. Suggerirei piuttosto il modello della letteratura popolare, con questa esasperata ricerca di emozioni, di un contatto diretto con il pubblico e anche con i protagonisti che hanno vissuto certe vicende. Detto questo, ho pertanto l'impressione che nonostante sia senz'altro un libro di grande valore, il libro di Balestrini sia, lui, «invisibile», perché la poesia fatta prosa oscura la trattazione della rimozione e la saggistica fatta letteratura oscura l'aspetto completo di fabulazione, di letteratura. Antonio Porta. Vorrei aggiungere rapidamente, a botta calda, che, di fatto, il neorealismo è caduto nello stesso equivoco. Allora qui succede che in alcuni passaggi Balestrini cade nella didascalia politica; in altri, invece, quando si dimentica che vuole spiegare qualcosa, che vuole fare un po' di cronaca del movimento e dire certe cose per giustificarne altre, solo allora riesce epico e rivela fino in fondo se stesso, funziona in toto. Ho l'impressione che il mio giudizio sia quello di Calabrese. Francesco Leonetti. Debbo dire - mentre rifletto sulle osservazioni degli amici nella nostra conversazione, e particolarmente mi hanno colpito come estremamente interessanti quelle di Mario Spinella - che pochi giorni fa, dopo aver ascoltato a teatro un'operazione "tc::s dei Magazzini, in cui interviene .5 anche Quadri a ridurre un testo ~ ~ beckettiano, ho trovato con molta " singolarità che il taglio rispetto al ~ ..... tessuto emozionale del quotidia- ~ no, assolutizzato nell'arco della vi- ·;;:: §- ta, che ho trovato in Beckett, assomiglia molto a Balestrini. An- ~ che se, certo, spesso è meno fran- i.: to e ha proprio un costrutto più ~ completo. Però questo depone, a ;! mio avviso, a favore di un'opera- ~
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