Alfabeta - anno IX - n. 95 - aprile 1987

ConNicklasLuhmann N ella recente conferenza tenuta alla Dora Markus su « La teoria dei sistemi come descrizione della società moderna», Niklas Luhmann ha fatto un po' il consuntivo dell'incidenza, delle utilizzazioni e dei fraintendimenti, che la sua applicazione sociologica della teoria sistemica ha avuto. Contemporaneamente egli ne ha esposto i capisaldi teorici, tenendo presenti i nuovi risultati maturati nel suo opus magnum pubblicato da non molto in tedesco col titolo Sistemi sociali. Linee fondamentali di una teoria generale, e del quale si sta preparando la traduzione italiana. Il quadro complessivo della teoria dei sistemi che ne è emerso, è risultato così nuovo anche per chi già conosceva la teoria di Luhmann. Parliamo dunque con lui soprattutto di questa sua opera e del significato che essa assume nel dibattito sociologico contemporaneo. Franco Volpi. Professor . Luhmann, come vede lei la situazione della sociologia oggi? Niklas Luhmann. La sociologia si trova oggi in una crisi teorica. La ricerca empirica, di per sé assai fruttuosa, ha indubbiamente accresciuto in misura considerevole il nostro patrimonio conoscitivo, ma non ha consentito la formazione di una teoria sociologica disciplinare unitaria. Oggi, dunque, la sociologia è ferma dinanzi alla soglia della teoria. l classici vengono studiati ed elaborati con uno zelo alessandrino; si assiste inoltre a un'opera intensa di combinazioni teoriche diverse. Non si registrano però progressi, e manca soprattutto, dopo la morte di Parsons, ogni riferimento alla discussione interdisciplinare che pure è enormemente progredita. La rassegnazione è tanto diffusa che non si tenta nemmeno più di fondare la particolarità dell'ambito oggettuale proprio della sociologia né la sua unità specifica di disciplina scientifica. Volpi. La sua applicazione della teoria sistemica alla descrizione della società rappresenta proprio per questo una svolta nella sociologia contemporanea. Come caratterizzerebbe lei questa svolta? Luhmann. Per connotare in modo efficace questa svolta, è necessario mettere a confronto l'impostazione sistemica della sociologia, da me praticata, con le impostazioni classiche della teoria sociologica. La differenza più appariscente è che le teorie sociologiche classiche (M. Weber, E. Durkheim, G. Simmel) lavoravano con pochi concetti fondamentali, non sufficientemente definiti, come ad esempio il concetto di azione, di ruolo, di aspettativa ecc. Il potenziale descrittivo di questi concetti sembra oggi esaurito. Certo, di continuo si verificano, come ho detto, tentativi di reinterpretare i classici della sociologia, ma queste interpretazioni rimangono sterili; possono essere paragonate all'opera di chi rosicchia sempre lo stesso osso. L'intenzione fondamentale della teoria sistemica della società è invece quella di fornire una serie molto più articolata e complessa di strumenti e di concetti - come ad esempio senso, evento, relazione, complessità, contingenza, azione, comunicazione, sistema, ambiente, struttura, processo, autoreferenza, chiusura, autorganizzazione, autopoiesi ecc .. - ricavati non pescando nel serba• toio della tradizione, ma· sviluppando una considerazione interdisciplinare. In questo senso essa ha prodotto un cambio di paradigma che ha aperto nuove possibilità per l'analisi dei sistemi sociali. Volpi. Quali sono queste possibilità? Luhmann. Queste nuove possibilità sono state aperte dalla considerazione dei sistemi sociali come sistemi autoreferenziali. L'autoreferenza di un sistema si riferisce non solo al piano della sua struttura (nel senso della sua organizzazione), ma anche al piano dei suoi elementi (nel senso della sua autopoiesi, ossia della sua produzione e autoriproduzione). In base a questo modello i sistemi sociali possono essere concepiti come quei sistemi che debbono costituire come unità, da se stessi, tutto ciò che essi impiegano come unità: i loro elementi, i loro processi, le loro strutture, le loro parti e anche se stessi. Al tempo stesso, la teoria sistemica ritiene che per fare questo sia necessaria una riduzione della complessità dell'ambiente. Volpi. Nei suoi primi scritti lei distingueva nettamente tra sistemi chiusi e sistemi aperti, in comunicazione con l'ambiente, come organismi, sistemi sociali, sistemi psichici. Nella sua ultima opera lei ha riformulato e ricompreso questa distinzione nel quadro della teoria dei sistemi autoreferenziali. Potrebbe illustrare questo sviluppo? Luhmann. Per descrivere i sistemi si era utilizzato inizialmente il concetto di autorganizzazione. Il concetto di autorganizzazione veniva però riferito soltanto alla struttura di un sistema. Nel frattempo tale riferimento alla struttura è stato sostituito dal riferimento all'unità (del sistema o dei suoi elementi). La teoria dei sistemi autoreferenziali asserisce che una differenziazione di sistemi avviene soltanto mediante l'autoreferenza, cioè in virtù del fatto che, nel costituire i loro elementi e le loro operazioni elementari, i sistemi si riferiscono a se stessi, cioè a elementi dello stesso sistema, a operazioni dello stesso sistema, all'unità dello stesso sistema. Per poter fare questo, i sistemi debbono produrre e impiegare una descrizione di se stessi; debbono saper usare come orientamento ecome principio per la produzione di informazioni almeno la differenza tra sistema e ambiente. La chiusura autoreferenziale è perciò possibile soltanto in un ambiente, solo in condizioni ecologiche. L'ambiente è un correlato necessario delle operazioni autoreferenziali. La distinzione ormai classica tra sistemi «chiusi» e sistemi «aperti» viene sostituita dalla questione di come la chiusura autoreferenziale possa produrre apertura. Volpi. Nel suo ultimo grosso lavoro Sistemi sociali, che porta come significativo sottotitolo Linee fondamentali di una teoria generale, lei si propone una rifondazione della teoria sociologica. Qual è il rapporto tra questo suo intento e il programma teorico weberiano di una descrizione complessiva della società secondo il metodo della cosiddetta sociologia comprendente? Luhmann. Il programma di M. Weber è diverso dall'intento della teoria dei sistemi sociali; questo perché nella fase fondativa della sociologia, ossia appunto con Weber; il compito da risolvere è diverso:,si tratta, cioè, di consolidare sul piano teorico la sociologia • come disciplina nascente. Oggi, Franco Volpi invece, si tratta di produrre uno sviluppo ulteriore; si potrebbe dire che si tratti di operare un secondo consolidamento teorico, di dare alla sociologia il fondamento di una teoria disciplinare generale. Dopo Weber, dopo Parsons, questo non è stato più tentato. Volpi. L'eredità di M. Weber è stata raccolta e sviluppata soprattutto in due direzioni: nella direzione che, nell'analisi del(agire sociale, considera soprattutto la dimensione del senso soggettivo dell'agire (A. Schutz), e nella direzione che sottolinea invece gli aspetti funzionalistici ultra-persona/i (T. Parsons). Alla teoria sistemica è stato obiettato, ad esempio nella Teoria dell'agire comunicativo di Habermas, di essersi sviluppata unilatera/mente in questa seconda direzione, cioè di avere considerato esclusivamente la società da una prospettiva funzionalistica, seguendo il modello di razionalità proprio di sistemi come l'economia o la burocrazia, e di avere invece ignorato la prospettiva del soggetto che agisce nell'orizzonte di un mondo vitale, cioè in un orizzonte di senso soggettivo. Cosa risponderebbe Lei a questo genere di obiezione? Luhmann. La questione del senso soggettivo dell'agire sociale è effettivamente un problema centrale nella teoria sociologica classica. Il tentativo della teoria sistemica è di ripensare l'agire sociale in termini di comunicazione (intesa come unità di informazione, messaggio e comprensione), prescindendo radicalmente da ogni riferimento a componenti trascendentali, da ogni relazione a un soggetto. Questo perché il concetto di soggetto mi sembra un concetto altamente problematico. Inoltre, in nessuna teoria sociologica contemporanea si è stati in grado di evitare rigorosamente la.prospettiva soggettivo-trascendentale-: naturalmente non iA-Habermas, naturalmente non nei francesi, naturalmente non in Parsons. Mi pare allora preferibile evitare l'uso della categoria di soggetto. Questo è appunto ciò che la teoria dei sistemi ha fatto. Se con la designazione di soggetto si intende riferirsi alla prospettiva della vita psicologica individuale, quest'ultima può essere compresa a livello di semantica culturale con i termini di «individuo» o «persona», e dal punto di vista sistemico è possibile usare la designazione più rigorosa di «sistema psichico». Prescindendo dalla prospettiva del soggetto, anche quello che tradizionalmente viene compreso come agire sociale dotato di senso può essere ridescritto in modo nuovo. Cioè: l'operazione fondamentale che porta alla formazione di sistemi di senso non è l'azione, bensì la comunicazione (unità, come ho detto, di informazione, messaggio e comprensione). Lo stesso dicasi per il problema ermeneutico tradizionale del senso. Il senso non è nient'altro che un'autodescrizione della complessità, è un'operazione fondamentale con la quale un sistema psichico o sociale rende rappresentabile una complessità elevata. Volpi. Nei suoi scritti, sin da/- l'inizio, lei ha abbandonato quelle che lei chiama le categorie vetero-europee e ha preso ironicamente le distanze da quelle che Lyotard chiamerebbe le grandi narrazioni di senso del/'età moderna, come la dialettica hegeliana, la visione marxista della storia, l'ermeneutica del senso, l'idea neofrancese di un'emancipazione progressiva de/l'umanità. Luhmann. Si tratta di visioni globali, vetero-europee, appunto, legate a una comprensione umanistica del mondo che non è in grado di coglierne la complessità. Esse sono inoltre gravate da elementi prospettici e dunque polemogeni, e per questo stanno in perenne conflitto fra di loro. Descrivendo invece la complessità sociale in base alla teoria dei sistemi autoreferenziali, gli elementi polemogeni della tradizione vetero-europea vengono depotenziati e ricompresi in modo più rigoroso e radicale. Volpi. È questo un implicito riferimento critico alla visione dialettico-materialistica della società, considerato anche che lei ha scritto che la sua teoria sociologica veleggia alta «sopra i vulcani spenti del marxismo»? Luhmann. Se si parte dall'idea dell'autoreferenzialità, tutta la problematica classica delle contraddizioni e dei conflitti interni ai sistemi sociali, dibattuta nel marxismo, va ricompresa in modo nuovo. La contraddizione non vien più vista come un fattore dinamico che produce dialetticamente un mutamento di struttura, ma come elemento di un «sistema immunizzante» del sistema sociale, che entra in funzione nel caso in cui si diano determinate difficoltà di comunicazione, per permettere che la comunicazione continui. Quanto ai «vulcani spenti del marxismo», quest'espressione ha fatto fortuna soprattutto nei paesi dell'est, da dove ricevo biglietti con «cordiali saluti dal paese dei vulcani spenti». Allusione che la censura naturalmente non capisce. Volpi. Pur prendendo le distanze dalle comprensioni vetero-europee della realtà, lei mantiene tuttavia .l'ideale vetero-europeo della theoria come sapere universale e complessivo, l'ideale del- /'autotrasparenza totale. Non le sembra con ciò di andare contro l'atteggiamento f allibilista oggi penetrato anche nelle roccaforti de/l'epistemologia? E pure contro l'idea di una diversificazione delle chiavi di lettura della realtà, contro l'esigenza della differenziazione dei paradigmi, della plurivocità e della polimorfia? Luhmann. Credo si debba distinguere l'ideale fondamentalistico della tradizione vetero-europea dal fine formale di una teoria astratta, come appunto la teoria sistemica, che ha effettivamente la pretesa di coprire l'intero ambito della realtà, descrivendo ad esempio tutti i sistemi sociali, e ciò significa soprattutto se stessa. Anche la sociologia, dunque, rientra nell'indagine come oggetto d'analisi. La teoria sistemica è dunque universale e autoreferenziale. Universale non nel senso che voglia essere un rispecchiamento dell'intera realtà dell'oggetto; né nel senso dell'esaustione di tutte le possibilità conoscitive; né in quello dell'esclusività della pretesa di verità in rapporto ad altre teorie; ma universalità nel senso che essa tratta tutto l'a,nbito del sociale e non solo sezioni di esso (come l'interazione, i ruoli, la mobilità o altre particolarità della società moderna). Ma l'ambito dei fatti sociali non viene sostanzializzato come una parte del mondo e poi fatto oggetto di considerazione sociologica. È piuttosto il mondo intero pensato come riferito alla referenzialità sistemica dei sistemi sociali, e cioè riferito alla differenza tra sistema e ambiente propria dei sistemi sociali. Con ciò è strettamente connessa l'autoreferenzialità della teoria sistemica. V'è una differenza tra teorie disposte asimmetricamente e teorie disposte circolarmente. Una teoria universale considera i propri oggetti in un rapporto autoreferenziale. Credo che questa figura dell'autoreferenza, ossia l'inclusione dell'osservazione e degli strumenti d'osservazione tra gli oggetti dell'osservazione stessa sia una proprietà specifica di teorie universali che non è stata vista nella tradizione veteroeuropea. In quest'ultima si ha sempre una descrizione dal di fuori, ab extra, ad esempio ad opera del soggetto. Voglio dire: la logica classica o l'ontologia classica hanno sempre presupposto un osservatore esterno in grado di osservare in modo vero o falso, ossia in modo bivalente, ma esse non hanno pensato che questo osservatore, per poter osservare la realtà, deve osservare anche se stesso. In questo senso io rompo con la tradizione vetero-europea. Tuttavia, non condivido l'esigenza fatta valere contro l'ideale unitario di sapere della modernità europea, di una frammentazione dei contesti, degli orizzonti, dei paradigmi, degli strumenti d'analisi e di descrizione, giacché in essa va completamente perduto di vista_il problema della connessione e dell'unità. Volpi. La condizione del mondo contemporaneo sembra essere caratterizzata da una crisi d'autodescrizione, cioè dall'assenza di punti di vista archimedici, sulla base dei quali si possa descrivere il tutto. Né arte né religione, né filosofia né politica sembrano essere più punti di vista privilegiati, in grado di parlare a nome delle altre parti della società. Qual è in questa situazione il compito del pensiero sociologico? Forse che la sociologia, magari nell'impostazione sistemica, potrebbe fungere da punto archimedico per descrivere il tutto? Luhmann. Condivido questa sua descrizione della situazione del mondo contemporaneo e credo che oggi non sia più possibile pensare a punti archimedici per descrivere l'intero. Nemmeno la sociologia può essere un tale punto archimedico. Credo però che la sociologia abbia perlomeno la possibilità di riflettere su questo problema, cioè di riflettere sulla sua visione della società come descrizione autoreferenziale, che riflette su se stessa come avente luogo nella società. La sociologia può dunque riflettere anche sulla sua rinuncia ad occupare una posizione privilegiata da un punto di vista ontologico, soggettivo-trascendentale o epistemologico. Posso dire, ad esempio, che io descrivo la società come un sistema funzionale differenziato. Ma questa mia descrizione è soltanto una descrizione scientifica e se, ad esempio, la politica non accetta le conseguenze di tale descrizione, ciò accade proprio perché la politica rappresenta un altro punto di vista, un'altra prospettiva, che produce un'altra descrizione della medesima realtà. Ma in quanto sociologo io posso capire le ragioni per le quali la politica non accetta la mia descrizione. Da un punto di vista scientifico,. coi;nunque, ritengo che fa·sociologia sia una ·descrizione di ·livello più alto. E credo che ciò possa essere mostrato.

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