in comune. Io non ho lavorato con Foucault. Credo però che tra il suo lavoro e il nostro vi siano molti punti di contatto, ma anche una distanza dovuta a una grossa differenza sia di metodo che di finalità. E questo è per me ancora più prezioso, inestimabile; più che una finalità, c'era una causa comune. Che Foucault esista, con questa personalità così forte e misteriosa, che abbia scritto dei libri così belli, con tale stile, non mi fa provare altro che gioia. In un testo straordinario, una semplice conversazione poi pubblicata, Foucault contrappone la passione all'amore. Io provavo una sorta di passione nei suoi confronti, nel senso in cui lui stesso la definisce. «Ci sono dei momenti forti e dei momenti deboli, dei momenti in cui si è portati all'incandescenza, si fluttua, è una sorta di istante instabile che perdura per delle ragioni oscure, forse per inerzia [... ]» egli dice. Come potrei provare rivalità o gelosia dal momento che lo ammiravo? Quando si ammira qualcuno, non si fanno selezioni. Si può preferire il tal libro al tal altro, ma si prende ugualmente il tutto. Ci si accorge che ciò che un tempo sembrava meno forte è un momento assolutamente necessario all'altro che prosegue la sua sperimentazione, la sua alchimia. Non amo le persone che dicono di un'opera: «Fin qui va bene, ma poi non va più, benché in seguito si rifaccia interessante ... ». Bisogna prendere l'opera per intero, seguirla e non giudicarla, coglierne le biforcazioni, il ristagnare e l'avanzare, i varchi, accettarla, riceverla per intero. Altrimenti non si capisce niente. Seguire Foucault nei problemi che affronta, nelle rotture o nelle deviazioni che gli sono necessarie prima di pretendere di giudicare le soluzioni, non significa trattarlo da maftre-penseur? Lei sembra dare a questa nozione un senso scontato, quasi fosse fuori discussionè. Per me è una nozione ambigua e puerile.· Se alcuni seguono Foucault, ·se si appassionano à lu-i, è perché il loro lavorò, la loro esistenza autonoma hanno qualcosa a che fare con lui. Non è soltanto ,una questione di comprensione e ·di àccordo intellettuale, ma di intensità, di risonanza, di accordo musicale. Dopo tutto, i bei corsi assomigliano più a un concerto che a una predica. È un assolo che gli altri «accompagnano». E Foucault teneva dei corsi mirabili. Maggiori. Nella sua Chronique des idées perdues, François Chatelet, evocando la sua antica amicizia con lei, con Guttari, Schérer e Lyotard, scrive che voi eravate «della stessa parrocchia» e avevate - segno forse della vera connivenza - gli «stessi nemici». Lei diceva la stessa cosa per Miche! Foucault? Eravate della stessa parrocchia? Deleuze. Credo di sì. Chatelet ne aveva una netta sensazione. Essere della stessa parrocchia significa anche ridere delle stesse cose, oppure tacere, non aver bisogno di «dar spiegazioni». È talmente piacevole non doversi nemmeno spiegare. Avevamo forse anche una concezione comune della filosofia. Ci mancava il gusto per le astrazioni, l'Uno, il Tutto, la Ragione, il Soggetto. Il nostro compito era quello di analizzare degli stati misti, dei concatenamenti, che Foucault chiamava dispositivi. Bisognava non risalire a dei punti, ma seguire e districare delle linee: una cartografia che implicava una micro-analisi (che Foucault chiamava micro-fisica del potere e Guattari micro-politica del desiderio). Nei concatenamenti si possono trovare dei fulcri di unificazione, dei nodi di totalizzazione, dei processi di soggettivazione sempre relativi, sempre da sciogliere per seguire ancora più in là una linea mobile. Ncn si tratta di cercare delle origini, fossero anche perdute o cancellate, ma di cogliere le cose dove premono, nel mezzo: fendere le cose, fendere le parole. Non si può cercare l'eterno, l'emergenza o ciò che Foucault chia0 ma «l'attualità». L'attuale o il nuovo è forse l'energheia di Aristotele, ma ancor più di Nietzsche (benché Nietzsche l'abbia chiamata «l'inattuale). Maggiori. Ha detto un giorno a Miche! Foucault: « Lei è stato il primo a insegnarci qualcosa di fondamentale: la bassezza del parlare per gli altri». Era nel 1972, dunque un'epoca ancora calda del maggio '68 (maggio '68 di cui, nel vostro libro dite, tra l'altro,, che «nel leggere alcune analisi, si potrebbe pensare che è accaduto nella testa degli intellettuali parigini»). Credo intendeste dire che la dignità del non parlare per gli altri dovesse appartenere agli intellettuali. Riprendereste oggi questi stessi termini per definire lo statuto dell'intellettuale, che, secondo i giornali sarebbe ammutolito? Deleuze. Sì, è normale che la filosofia moderna, che ha spinto così a fondo la critica alla rappresentazione, ricusi ogni tentativo di parlare al posto degli altri. Ogni volta che si sente dire «nessuno può negare .. », «tutti ammetteranno che ... », sappiamo che seguirà una menzogna, o uno slogan. Anche dopo il '68 era normale, ad esempio, che in una trasmissione televisiva sulle prigioni, si facessero parlare tutti: il giudice, il secondino, la donna in visita, l'uomo della strada. Tutti tranne un carcerato o un ex-carcerato. Oggi è più difficile: se le persone parlano per proprio conto lo si deve al '68. Questo vale anche per l'intellettuale. Foucault diceva che l'intellettuale ha cessato di essere universale per diventare specifico, cioè non parla più in nome di valori universali, ma in nome della propria competenza e situazione. Foucault faceva risalire questo cambiamento al momento in cui i fisici si schierarono contro la bomba atomica. Che i medici non abbiano il diritto di parlare a nome dei malati, e che abbiano, nel contempo, il dovere di parlare in quanto medici su problemi politici, giuridici, industriali, ecologici, deriva dalla necessità, auspicata nel '68, di formare, ad esempio, dei gruppi con medici, malati, infermieri. Gruppi multivocali. Il gruppo Information Prison, come lo avevano organizzato Foucault e Defert, fu uno di questi gruppi: Guattari la chiamava «trasversalità», in opposizione ai gruppi gerarchici in cui qualcuno parla a nome degli altri. Per l' Aids, Defert ha costituito un gruppo di questo tipo, di assistenza, d'informazione e di lotta allo stesso tempo. Ora, cosa vuol dire parlare per proprio conto e non per gli altri? Non significa certo a ciascuno la sua ora di verità, le sue memorie o la sua psicoanalisi. Non c'entra la prima persona. Significa nominare le potenze impersonali, fisiche e mentali che vengono affrontate e combattute quando si tenta di realizzare uno scopo e di prender.e coscienza di questo scopo solo nella lotta. In questo senso, l'Essere stesso è politico. In questo libro io non cerco di parlare per Foucault, ma di tracciare una trasversale, una diagonale che, necessariamente, andrebbe da lui verso di me (non l'ho scelta io), e che direbbe qualcosa dei suoi scopi e delle sue lotte come io li ho avvertiti. Maggiori. «Si è prodotta una folgorazione che porterà il nome di Deleuze: ora, un nuovo pensiero è possibile; il pensiero, di nuovo, è possibile. È qui, nelle pagine di Deleuze, e salta, danza al nostro cospetto, fra noi f. .. f. Un giorno, forse, ci sarà il secolo deleuziano. » Queste righe sono firmate da Miche! Foucault. Non credo che lei le abbia mai commentate. Deleuze. Non so cosa volesse dire Foucault, non gliel'ho mai chiesto. Aveva un umorismo diabolico. Forse voleva dir questo: che io ero il meno artificioso tra i filosofi della nostra generazione. Nelle nostre ricerche, si trovano dei temi come la molteplicità, la differenza, la ripetizione. Ma io ne propongo dei concetti quasi grezzi, mentre gli altri lavoran~ in modo più mediato. Non sono mai stato colpito dal superamento della metafisica o dalla morte della filosofia. La rinuncia al Tutto, all'Uno, al Soggetto: non ne ho mai fatto un dramma. Non ho abbandonato una sorta di empirismo che conduca ad una esposizione diretta dei concetti. Non sono passato attraverso la struttura, né attraverso la linguistica o la psicoanalisi, attraverso la scienza o la storia, perché credo che la filosofia ha il suo materiale grezzo che le consente di entrare in relazioni esteriori, e perciò più urgenti, con le altre discipline. È forse questo che Foucault voleva dire: io non ero il migliore, ma il meno artificioso, una sorta di arte grezza, se così si può dire; non il più profondo, ma il più innocente (il meno colpevole di «fare filosofia»). Maggiori. Non è qui possibile - sono già stati scritti degli articoli e altri lavori sono senz'altro in preparazione - tentare di fornire un repertorio di tutte le convergenze (numerose: dall'anti-hegelismo alla microfisica o alla microbiologia) e divergenze tra Lu filosofia di perché implicava una pragmatica del linguaggio in grado di rinnovare la linguistica. È curioso del resto come Barthes e Foucault metteranno sempre più l'accento su una pragmatica generalizzata, l'uno in un senso piuttosto epicureo, l'altro in un senso piuttosto stoico. E poi, la sua concezione dei rapporti di forza, che eccedono la semplice violenza: se questo deriva da Nietzsche, lui lo prolunga spingendosi ancora più avanti. In tutta l'opera di Foucault, c'è un certo rapporto delle forme con le forze, che mi influenza ed è stato essenziale per la sua concezione della politica, ma anche dell'epistemologia e dell'estetica. Accade talvolta che anche un «piccolo» concetto abbia una grande risonanza: la nozione di uomo infame è tanto bella quanto l'ultimo uomo di Nietzsche, e mostra fino a che punto un'analisi filosofica possa essere strana. È un testo senza dubbio tra i minori di Foucault; eppure a rileggerlo si rivela inesauribile, attivo, efficace; si prova l'effetto del suo pensiero. Maggiori. Si è molto parlato, soprattutto in Italia, della Nietzsche Renaissance, di cui Foucault e lei sareste, tra gli altri, i responsabili. Con, direttamente legati tra loro, i problemi della differenza e del nichilismo (il nichilismo «attivo» e la sua trasvalutazione «affermativa»). Ci si potrebbe interrogare sulle differenze e le similitudini tra il «suo» Nietzsche e quello di Foucault. Ma mi accontenterei di chiederle questo: perché la formula di Foucault sulla «morte dell'uomo», molto nietscheana, ha provocato tanti malintesi, al punto da rimproverarlo di negligenza nei confronti dell'uomo e dei suoi diritti, e di riconoscere raramente a Foucault un «ottimismo filosofico» o una fede nelle forze vitali che, come spesso Nuova serie Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale 84 pagine a colori, Lire 7.000 In questo numero Apocalissi ieri, oggi • I formaggi di Carlo Magno Allergie • Pane di Pasqua ----~ Re Baldoria , . ./~ ,, ~ / . '-. , / ' , .• I f ,' .' .,~,,.. '· ,, ..,/,//~_ \ ;;.>..-... ,10 •••;.· 1·i r·1/, Foucault e la sua. Mi consenta perciò di prendere qualche scorciatoia. Lei ha detto un giorno, su queste stesse colonne, che il compito specifico della filosofia consisteva nel fabbricare dei concetti. Quale, tra i concetti prodotti da Fou~ault, è stato più utile alla sua elaborazione filosofica, e quale concetto foucaultiano è più estraneo? Per contro, quali sono i principali concetti che Foucault ha potuto, secondo lei, ricavare dalla sua filosofia? Deleuze. Forse Differenza e ripetizione ha avuto qualche effetto su di lui. Ma prima ancora esisteva già la più bella analisi di questi temi in Raymond Roussel. Forse anche il concetto di concatenamento, che venivamo proponendo Félix e io, può averlo aiutato n-ella sua analisi dei «dispositi:vi»,.Ma lui trasformava· profondamente tutto ciò ,che toccava. Mi· ha molto colpito il. uo concetto di enunciato, Abbonamento per un anno (11 numeri) Lire 70.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa si dice, caratterizzano invece la sua filosofia? Deleuze. Spesso i malintesi sono reazioni di astiosa stupidità. Ci sono delle persone che non si sentono intelligenti se non scoprono delle «contraddizioni» in un grande pensatore. Come se Foucault annunciasse la morte degli uomini esistenti (e si diceva: «esagera»), o al contrario come se sottolineasse soltanto un mutamento nel concetto di uomo («è solo questo»). Ma non si tratta né di una cosa né dell'altra. È un rapporto tra le forze e una forma dominante che ne deriva. Date le forze dell'uomo - immaginare, pensare, volere, ecc. - con quali altre forze entrano in rapporto in una data epoca, e per comporre quale forma? Può accadere che le forze dell'uomo si compongano in una forma non umana, ma animale, o divina. Ad esempio, nell'età classica, le forze dell'uomo entrano in rapporto con le forze dell'infinito, degli «ordini di infinito», cosicché l'uomo è formato a immagine di Dio e la sua finitezza è solo una limitazione dell'infinito. Nel XIX secolo, sorge una forma-Uomo perché le forze dell'uomo si compongono con altre forze di finitezza, scoperte nella vita, nel lavoro, nel linguaggio. Allora, oggi, si dice correntemente che l'uomo affronta delle forze nuove: il silicio e non semplicemente il carbone, il cosmo e non più il mondo ... Perché dovrebbe essere ancora l'uomo la forma composta? I diritti dell'uomo? Ma, come mostra Ewald, sono le trasformazioni stesse del diritto che testimoniano questo cambiamento di forma. Foucault si ricollega a Nietzsche rinnovando il problema della morte dell'uomo. E se l'uomo è stato un modo per imprigionare la vita, non è forse necessario che la vita si liberi nell'uomo stesso sotto un'altra forma? A questo proposito, lei si chiede se io non conduca Foucault verso un vitalismo che non traspare affatto dalla sua opera. Credo vi sia un vitalismo di Foucault almeno per due punti essenziali e indipendentemente da ogni «ottimismo». Da una parte, i rapporti di forza si esercitano su di una linea di vita e di morte che non cessa di piegarsi e di dispiegarsi, tracciando il limite stesso del pensiero. E se Bichat sembrava a Foucault un grande autore, ciò è dovuto forse al fatto che Bichat ha scritto il primo grande libro moderno sulla morte, pluralizzando le morti parziali, facendo della morte una forza coestensiva alla vita: «vitalismo su fondo di mortalismo», dice Foucault. D'altra parte, quando Foucault arriva agli estremi del tema della «soggettivazione», questa consiste essenzialmente nell'invenzione di nuove possibilità di vita, come dice Nietzsche, ·nella costituzione di veri stili di vita: un vitalismo, questa volta, a sfondo estetico. Maggiori. Nessunp si stupirà che lei dia, nel -suo libro, un posto così importante alle analisi foucaultiane del potere. Lei insiste in particolare sulla nozione di • diagramma che appare in Sorvegliare e punire, diagramma che non è più l'archivio di L'archeologia del sapere, ma la carta, la cartografia, l'esposizione dei rapporti di forze che costituiscono il potere. Tuttavia Foucault, nel saggio in appendice al libro di Dreyfus e Rabinow - Miche! Foucault, Un parcours philosophique (Gallimard): opera notevole e da lei molto citata - ha scritto che il tema generale dell~ sue ricerche non è stato il potere ma il soggetto, i modi di soggettivazione dell'essere umano. Il Foucault cartografo avrebbe tracciato delle carte d'identità, che, come lei dice, sarebbero «senza identità piuttosto che identificanti». In altri termini, comprendere Foucault non significherebbe forse comprendere il «passaggio» da Sorvegliare e punire a La cura di sé e alla questione «Chi sono io»? Deleuze. È comunque difficile dire che la filosofia di Foucault sia una filosofia del soggetto. Tutt'al più «lo sarà stata», quando Foucault avrà scoperto la soggettività come terza dimensione. Il fatto è che il suo pensiero è costituito da dimensioni successivamente tracciate ed esplorate, seguendo una necessità creativa, che non sono però comprese le une nelle altre. È come una linea spezzata, le cui diverse direzioni sono testimonianza _di eventi imprevedibili, inattesi (Foucault ha sempre sorpreso i suoi lettori). Già il Potere profila una seconda dimensione irriducibile a quella del Sapere, benché entrambi costi-
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