Gibran Kahlil Gibran Il Profeta tr. di Piero Bona, prefazione di Carlo Bo Parma, Guanda, 19863 pp. 144, lire 14.000 Gibram Kahlil Gibran Il Giardino del Profeta tr. di Nicola Crocetti Milano, SE, 1986 pp. 96, lire 12.000 Badr Shakin as-Sayyab Poesie tr. di Paolo Minganti Roma, Istituto per l'Oriente, 1968 pp. XII+ 106, s.i.p. Omar Khayyam Quartine a cura di Alessandro Bausani Torino, Einaudi, 19797 pp. XXXII+ 106, lire 3.000 AA.VV. Persia barocca a cura di Gianroberto Scarcia Reggio Emilia, Elitropia, 1983 pp. 244, lire 18.000. e hi in questo periodo guardi alle classifiche dei libri di poesia più venduti in Italia, noterà al primo posto l'ultima ristampa del poema Il Profeta del libanese Jibran Khalil Jibran (la grafia Kahlìl Gibràn è adattamento personale del poeta all'alfabeto. latino). Altra traduzione, di Piera Oppezzo, è uscita nel 1985 (ed. SE). A fianco di quello che è ritenuto il capolavoro e di altre opere pubblicate dall'editore Guanda (Sabbia e Onda, 1979; I segreti del cuore, 1982), ecco oggi una doppia edizione de Il Giardino del Profeta, nella traduzione di N. Crocetti (SE, 1986; ed. Crocetti, 1986). Seguito incompiuto de Il Profeta, è l'ultima opera dell'autore pubblicata a New York nel 1933, due anni dopo la morte. Ironia della sorte, la terza parte avrebbe dovuto intitolarsi La morte del Profeta. Dall'ormai lontano 1923, c10 che perpetua il successo in particolare del piccolo capolavoro di Jibran in Occidente non è solo la circostanza favorevole del bilinguismo, per cui gran parte dei suoi scritti fu redatta in lingua inglese prima che in arabo o contemporaneamente. Nella prosodia in cui è stilato l'originale de Il Profeta è certo infuso il ritmo maestoso dell'arabo letterario. Ma il segreto sta nella felice sintesi, più che sincretismo, di elementi dell'antica sensibilità semitica e della tradizione araba illustre con influssi delle letterature e del pensiero occidentali: Spinoza, Rousseau, Blake, Whitman, Nietzsche ... Quest'ultimo soprattutto ha esercitato un ascendente nell'area culturale islamica, se si pensa che l'indo-pakistano Muhammad Iqbal nel suo Poema celeste (steso in persiano) lo proietta addirittura, unico filosofo occidentale, in una specie di .5 limbo dantesco al di là dei cieli. ~ Dalla religiosità dolente dell' Ec- ::: clesiaste attraverso la malinconia ~ ...... ~ i.. §- esistenziale dei poeti arabi classici e il filtro del nichilismo moderno, Jibran dal canto suo giunge senza apparente contraddizione a una visione panteistica della natura e a un tempo disincantata dei destini ~ umani. L'operazione è del resto .c:i comune ad altri libanesi, di estra- ~ ~ zione ·cristiana a lui contemporaGibran nei e prossimi, quali lo scrittore Mikha' il Nu'aima o il filosofo Shibli Shumayyil. Questi vi aveva aggiunto un'impronta evoluzionistica, sulla scorta di T.H. Huxley, Spencer, Haeckel, Biichner, in qualche misura precorrendo le riflessioni di Teilhard de Chardin in Europa o Aurobindo Ghosh in India. Nel pensiero razionale europeo, con la «morte» del Dio personale rilevata da Hegel, esso viene in realtà ricondotto dalla metafisica verso l'immanenza, ma la sua trascendenza è proiettata nella Storia. In ciò non molto discostandosi dal positivismo ottocentesco, il marxismo farà coincidere la trascendenza del progresso storico con l'umanità che ne è protagonista. Paradossalmente, il materialismo dialettico è in tal senso una forma estrema di trascendenza. Con la crisi di queste concezioni, Pino Blasone a tal punto alla speculazione religiosa semitica. Relativamente tardi vi si fece strada l'idea di una sopravvivenza o salvezza individuale, nella forma concreta della resurrezione dei corpi su questa terra. «Milioni di persone che corrono scalze,/che credono nelle quattro mogli/e nel giornt, della resurrezione ... » è definito ancor oggi l'Oriente popolare musulmano dal siriano Nizar Qabbani, nel componimento Pane, hashìsh e luna (trad. Giovanni Canova, in Poesie, Roma, 1976). Nell'XI-XII secolo; 'Omar Khayyam esclamava in una delle sue celebri Quartine: «Oh, questo lungo andare avesse, in fondo, una Mèta!/oh fosse, dopo cento e mill'anni, dal cuor della terra/ Oh fosse a noi data speranza di sorgere a nuovo com'erba!» Maliziosamente (e averroisticamente), invece che «ti sayn ibn Mansur al-Hallaj. L'intera contraddittoria situazione è racchiusa nei seguenti versi tratti da I quattro elementi dell'indo-persiano Mirza Bedil del XVII-XVIII secolo: «Siamo il contagio della fantasia nel pensiero del cosmo/[ ... ]/Vento siamo che fu fatto pietra, ed assenza/a testimonianza chiamata, e spirito siamo, e pur corpo./Siamo un Nulla che tende all'aurora del farsi concreto/acqua e aria noi siamo, destino di folle e di mondi./E mondo chiamiamo la pagina del nostro cuore» (in Persia barocca, op. cit.). T aie il retroterra imprescindibile dalla poesia di Jibran, quanto i riferimenti moderni occidentali. La sua stessa volontà di superamento di ebraismo, cristianesimo e islamismo, si colloca nella scia della migliore mistica suPuzo, @David Levine (1985) Courtesy Studio Marconi non deve meravigliare se trovi spazio una sorta di immanentismo naturalistico fatalmente panteistico. È lo stesso nichilismo a schiudergli le porte. Ed è in questo clima che può iscriversi il prolungato e reiterato successo dell'opera di Jibran, con il suo retaggio orientale e vagamente ecologico di archetipi alle spalle. Dalle ingenue legittime aspettative dei ragazzi dei campus universatari americani, il fascino discreto di tale lettura comincia così ad attingere le menti adulte della nostra intellighenzia. Alla mentalità occidentale, essenzialmente pratica e antropocentrica, è riuscito più facile accettare come ragionevole un materialismo anche meccanicistico o «volgare», anziché l'evenienza di una divinità che prescinda dalle sorti e dalla sussistenza dei nostri piccoli ego. Ciò non è ripugnato sempre e separerai dal corpo», altrove egli sentenzia: «Sappi che un tempo verrà che dall'Anima lungi tu andrai». In un primo tempo fu in effetti estraneo il concetto di anima e il premio divino limitato a una biblica prosperità e longevità. Anche quando il cristianesimo e l'islamismo accettarono l'absurdum del compromesso fra sopravvivenza delle anime in un'esistenza ultraterrena e resurrezione finale dei corpi (si rammenti la contestazione di san Paolo da parte degli scettici Ateniesi nell 'Aeropago), il sentimento della vanitas, l'annientamento di sé davanti ali' Assoluto, il brivido del nulla tout court, rimasero temi ricorrenti o pathos di fondo nei poeti del mondo islamico. Basti citare il persiano Khayyam, l'arabo Abu l'-Ala alMa'arri, il cristiano Abu 1-'Atahiya o il mistico eterodosso al-Hufi, espressa spesso in versi. Così come l'interpretazione razionalistica del profetismo, essa si ritrova d'altronde nel pensiero del libane-· se Farah Antun, nella sua rivalutazione e attualizzazione di Averroè sulla scorta di Ernest Renan. Quanto alla metafora della reincarnazione o rinascita materialmente intesa, affiorante ad esempio in Il Giardino del Profeta o nella lirica Il mio popolo è estinto (in I segreti del cuore), essa va appunto collegata alla credenza semitica nella resurrezione dei corpi, più che alla metempsicosi indiana o greca. L'iracheno Badr Shakir al-Sayyab, deceduto nel 1964 e passato non senza contrasti attraverso la militanza marxista, nella raccolta // canto della pioggia identificherà l'antico mito di origine mesopotamica di DomuziTammuz-Adone con Gesù crocefisso e risorto, immagine cara alla cristianità e a Jibran quanto familiare alla mistica musulmana in odore di eresia. Se il mito di Tammuz è ripreso pure dal palestinese Jabra Ibrahim Jabra, un altro poeta libanese contemporaneo di rilievo, 'Ali Ahmad Sa'id, assumerà ·significativamente lo pseudonimo Adonis. È lampante l'analogìa fra i seguenti brani tratti rispettivamente da Il Giardino del Profeta e dall'opera citata di al-Sayyab: «In questo Giardino giacciono mio padre e mia madre, sepolti dalle mani dei vivi; e in questo Giardino giacciono sepolti i semi del passato, portati fin qui dalle ali del vento. Mille volte mio padre e mia madre saranno sepolti qui, e mille volte il vento seppellirà la semente; e tra mille anni voi e io e questi fiori ci ritroveremo insieme in questo Giardino come ora»; «Nella pasta, che è rotonda/e spianata come un piccolo seno, come la mammella della vita,/morii per opera del fuoco, bruciai le tenebre del mio fango, e restò la divinità./[ ... ]/Morii affinché sia mangiato il pane in mio nome, affinché mi coltivino con le stagioni./Quante vite vivrò: in ogni fossa/divenni futuro, ne divenni il seme,/divenni una generazione di uomini: in ogni cuore il mio sangue:/una goccia di esso, o parte di una goccia». Del resto, non va insinuandosi oggi in Occidente il sospetto che l'uomo sia un mezzo - anzi, uno degli strumenti - «escogitato» dall'Essere per tornare dallo stadio inconscio di Natura a quello di autocoscienza? Pur impiegando in maniera sibillina termini vedantici induisti, nel saggio Comprendere l'Islam (Parigi, 1976) tale atteggiamento è colto lucidamente dallo svedese Frithjof Schuon, discepolo di René Guénon: <<Atma est devenu Maya afin que Maya devienne Atma» (laddove Atma indica il «sé» universale, mentre Maya è il principio magico-illusionistico suscitatore della molteplicità dei fenomeni). Intervistato di recente in televisione sulle «intelligenze artificiali», uno scienziato nordamericano dichiarava candidamente o provocatoriamente che esse possono benissimo essere l'anello successivo nella catena «programmata» dell'evoluzione: s'intende, dopo l'uomo e la scimmia antropomorfa. Nell' «era della tecnica», ecco in breve il «superomismo>r nietzscheano ribaltato nell' «antiumanismo» tardo-heideggeriano. Torna ancora alla mente l'ironia amara di Khayyam: «Noi siam burattini e il Cielo n'è il burattinaio/[ ... ]/Sulla scena dell'Essere giochiamo un piccolo gioco,/E ad uno ad uno poi ricadiam nella cassa del Nulla». A niente e nessuno risparmiando la sua critica caustica, in altre quartine il poeta-scien,. ziato definitore dell'algebra faceva tuttavia balenare la sua accezione del Nulla in quanto focus Dei o «officina» dell'Essere; per dirla col connazionale Bedil, l'evento del reale diventa «un oceano d'assurdo, tra l'abisso del Nulla e la riva d'esistenza». Altrove sono stigmatizzate le figure del «filosofo» e del sufi o le dispute tra circoli ellenizzanti e arabizzanti nella cultura islamica dell'epoca. I n questa luce, appar.e tanto più ingiustificata la· prevenzione instaurata da Schopenhauer nei Parerga verso la Weltan-
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