Alfabeta - anno IX - n. 95 - aprile 1987

HeideggerL,eopardi, l'Umanesimo Ernesto Grassi Heidegger e il problema dell'Umanesimo Napoli, Guida, 1985 pp. 105, lire 13.000 Cesare Galimberti Un libro metafisico Introduzione a Giacomo Leopardi, Operette Morali Napoli, Guida, 1986 2 N el 1946 M.Heidegger indirizzava a Jean Beaufret la famosa Lettera sull'umanismo, in risposta ad un invito che gli era stato rivolto di intervenire sulla «questione» dell'Umanesimo. Con questo scritto dopo anni di silenzio Heidegger coglieva l'occasione per riconsiderare taluni nodi teorici già affrontati in Essere e tempo, dando l'avvio a quella che è stata considerata la seconda fase del suo pensie-ro. La Lettera heideggeriana rendeva evidente che il cosiddetto «esistenzialismo» sartriano altro non era che la conseguenza di una lettura parziale ed equivoca di un evento di pensiero «epocale» quale quello inaugurato da Sein und Zeit. Ma già una lettura non ideologica di questo libro avrebbe potuto chiarire ciò che Heidegger ribadiva con grande semplicità: Essere e tempo era innanzitutto orientato a pensare l'Essere, non l'esistenza, la quale restava un terreno di indagine esclusivamente preparatorio; nessuna filosofia neo-umanistica avrebbe mai potuto avvicinare tale questione, assumendo l'uomo come fondamento indiscusso, essa finiva col cadere inesorabilmente nell'ambito della metafisica, col risultato di fare degli enti, e non dell'Essere, il luogo privilegiato della ricerca. Ciò che veniva messo in gioco, con la Lettera, era il senso stesso del pensare, all'interno di una prospettiva che abbracciava l'intero orizzonte della cultura occidentale, dai Greci fino a Nietzsche. La tesi della fine della filosofia, come compimento della metafisica, apriva uno spazio che in Heidegger si disponeva all'ascolto di ciò che parla nel linguaggio poetico, inteso - è noto - come «parola pura» grazie alla quale si attua il disvelamento dell'Essere. La critica dell'Umanesimo non legittimava perciò l'anti-Umanesimo, ma indicava come fuorviante una simile opposizione, in quanto opposizione: ad essa Heidegger sostituiva la differenza ontologica tra Essere ed enti (Sein, Seiendes). L'Umanesimo, per Heidegger, con la pretesa di valorizzare l'uomo, in realtà lo degrada, perché ogni processo di valorizzazione è una degradazione: e questo è il risultato di ogni antropologia che miri a definire l'uomo, partendo dall'uomo (o - che è lo stesso - partendo da Dio): «Il pensiero che si oppone ai 'valori' non afferma che tutto ciò che viene indicato come 'valore', la 'cultura', l' 'arte', la 'scienza', la 'dignità umana', il 'mondo' e 'Dio', sia senza valore. Si tratta invece di capire finalmente che proprio quando si caratterizza qualcosa come 'valore' ciò che è valorizzato in questo modo viene privato della sua dignità». (Lettera sull'umanesimo, a cura di A. Bixio e G. Vattimo, Torino, SEI, 1975, p. 116). Ernesto Grassi, la cui figura di pensatore originale e «anomalo» rispetto alla ormai lunga schiera di discepoli del filosofo- tedesco, è opportunamente sottolineata da Cesare Vasoli nell'Introduzione, ripropone ora la questione dell'anti-Umanesimo di Heidegger, cercandone i limiti teoFici. La tesi di Grassi è riassumibile nelle domanTrotzky ©David Levine (1980) Courtesy Studio Marconi de seguenti e nella risposta .che egli ne dà: «Il suo [di Heidegger] giudizio e la sua condanna dell'Umanesimo sono davvero giustificati? Oppure il problema dell'appello che ci rivolge l'Essere si presenta già, nell'Umanesimo, in sostituzione del problema della fondazione degli enti? Il problema dell'appello dell'Essere non è forse trattato dall'Umanesimo nell'ambito della _poesia, così che l'originaria funzione. del linguaggio poetico è non solo pienamente, ma anzi più profondamente riconosciuta di Alberto Folin quanto non lo sia in Heidegger» (p. 57). Per sostenere la sua posizione, Grassi ripercorre sinteticamente gli scritti di teoria poetica dei più significativi umanisti, tentando di mostrare, da un lato, la rilevanza filosofica della cultura umanistica, in contrasto con quanto affermato da Cassirer, Curtius e Kristeller, dall'altro la centralità - in questo pensiero - del linguaggio poetico. Proprio perché le questioni sollevate da Grassi sono di ampio respiro e vanno assai al di là di una mera considerazione «regionale», esse si offrono come luogo di riflessione ottimale per un ripensamento deWanalitica esistenziale nella sua complessità, e delle «interpretazioni» che ad essa si sono intrecciate. Che la poesia e la retorica abbiano, all'interno dell'Umanesimo italiano, un rilievo essenziale, è cosa di cui non credo si possa dubitare. Si tratta però di vedere se le ragioni che stanno alla base di tale «primato» coincidano con quelle avanzate da Heidegger negli scritti successivi ad Essere e tempo: per dimostrare questo, Grassi non esita a considerare la filosofia platonica e neoplatonica come sostanzialmente spuria rispetto all'essenza dell'Umanesimo: «Dobbiamo riconoscere che l'emergere della filosofia platonica e neoplatonica (Ficino) e, in seguito, del pensiero aristotelico, si distacca di fatto dalla tradizione umanistica, per iniziare un filone proprio della filosofia rinascimentale» (p. 59). Difficile dire quanto questa operazione sia legittima: sembra, però, che le metafore del ve/amen e della «radura», tramite le quali Grassi pretende di dimostrare la fuoriuscita dell'Umanesimo dalla «metafisica occidentale», debbano andare storicizzate e riconosciute nell'ambito di un pensiero, come quello umanistico, proteso a trovare un accordo tra la tradizione classica e la tradizione cristiana. Per questo motivo, quindi, non sembra possibile assumerle nella stessa accezione in cui Heidegger le usa. P rendiamo il concetto di ve/amen. Se nella Genealogia Deorum Boccaccio si serve dell'immagine del velo per rappresentare il rapporto tra res e verbum ( <ifabulaest exemplaris seu demonstrativa sub figmento locutio»), è difficile sostenere che in ciò venga inaugurato un pensiero non dimostrativo, ma disvelatore dell'Essere. Più semplicemente, l'assunto del Boccaccio ubbidisce alla logica dell'exemplum che ricade entro gli schemi dell'allegorismo medioevale, per cui il mondo, come il libro, è qualcosa di simbolico che rinvia ad un'entità trascendente. Allo stesso modo, certamente medioevale è la »tesi del rapporto tra teologia e poesia» (p. 67), affermatasi con Isidoro di Siviglia, ma i tentativi di Coluccio Salutati e di Albertino Mussato di interpretare i testi classici «in funzione a domande che trascendono i limiti dei problemi che gli autori stessi a suo tempo si sono posti» (p. 67) sembrano dettati dalla necessità di . conciliare classicismo e cristianesimo, più che dalla volontà di aprire nella direzione di una desostanziaz-ionedell'Essere. Non diversamente Erasmo insisteva nelle sue raccomandazioni di leggere simbolicamente la Sacre Scritture: solo in questo, infatti, «è possibile trarre non poco vantaggio dalla poesia di Omero e di Virgilio», e cioè «a condizione che si ricordi che è tutta allegorica» (Enchiridion militis christiani). Nell'un caso come nell'altro, ci troviamo di fronte ad un pensiero che riduce l'Essere a sostanza divina, e quindi può dare avvio ad una spiritualizzazione del linguaggio poetico, come ad una spiritualizzazione della materia. Primato della poesia e primato della scienza non divergono nel loro assioma fondamentale, che si appoggia sulla disarticolazione tra essenza ed esistenza, e quindi sulla opposizione metafisica tra soggetto e oggetto, tra Dio e creatura, tra Io e mondo, tra anima e corpo. E veniamo al concetto di radura (Lichtung), tramite il quale Heidegger prende le distanze dall'idea di illuminazione (Licht), che ha guidato il pensiero logico-deduttivo da Platone fino all'Illuminismo. È noto che l'affermazione del primato della Lichtung sull'aggettivo Licht, permette ad Heidegger di procedere alla distruzione fenomenologica del soggetto, in quanto l'Essere non viene scoperto da quest'ultimo tramite un processo di illuminazione (e quindi di conoscenza logica o teo-logica), poiché è l'Essere stesso che, aprendosi nella «radura» pone l'Esserci in una condizione ek-statica, consentendogli l'accesso. Orbene, Grassi ritiene che in Vico (considerato da lui come il ~ e:::! pensatore con il quale «la tradizio- .s ne umanistica raggiunge la sua più ~ c:i., profonda espressione e significan- " za filosofica», p. 35), si realizze- ~ ~ rebbe in modo esplicito questo as- ~ sunto heideggeriano proprio in a.. §- virtù della metafora suaccennata, che vede l'Origine come emergen- -~ te dal diradamento della «foresta i::: primordiale»; «il primo fuoco il ~ qual vi si accese fu quello che fu ;g_ dato alle selve per disboscarle e ~

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