Alfabeta - anno IX - n. 95 - aprile 1987

L'epopea di Gilgamesh a cura di N. K. Sandars Milano, Adelphi, 1986 pp. 166, lire 9.500 Gilles Deleuze Foucault Parigi, Les Éditions de Minuit, 1986 pp. 142, franchi 58 Etiemble L'écriture Parigi, Gallimard, 1973 pp. 160, s.i.p. D al fondo dei tempi, attorno al 4000 a. C., ci giunge la storia di Gilgamesh, re di Uruk in Mesopotamia, e del suo amico Enkidu, l'uomo che lascia la vita selvaggia per essere amato dal suo compagno «come una donna» e seguirlo in eroiche imprese. La storia, inizialmente diffusa oralmente in un'epoca precedente l'inven:lione della scrittura, ai confini fra leggenda e storia, fu poi messa per iscritto su tavolette d'argilla in lingua sumerica, accadica ed ittita; fu letta quindi da generazioni attraverso i millenni, dimenticata e infine portata alla luce alla metà del secolo scorso, quando si moltiplicarono gli scavi archeologici. «Potrà forse sorprendere, scrive Sandars nell'ampia e ben documentata introduzione ali' Epopea pubblicata poco tempo fa da Adelphi, che una storia tanto antica abbia ancora la forza di commuovere e avvincere i lettori del ventesimo secolo d.C., ma è così». Viene in mente un personaggio di Italo Calvino, il professor Uzzi-Duzii che incontriamo nel terzo capitolo di Se una notte d'inverno un viaggiatore. II professore dice che i suoi colleghi si adattano alla corrente, fanno corsi di Sociologia e Psicolinguistica di lingue quali il gallese o l'occitano, ma non del cimmerio ... «Col cimmerio non si può, i Cimmerii sono scomparsi, come se la terra li avesse inghiottiti». Cosa possiamo ancora estrarre da una lingua morta, da una letteratura morta? Penso che i decifratori e i traduttori del sumerico (Smith, Falkenstein, Jacobsen, Poebel, Kramer) siano stati l'ausilio più prezioso degli storici e dei filosofi. Ciò che essi hanno rilevato sconvolge molte vecchie idee sull'evoluzione delle diverse società, e persino l'idea stessa di una Storia fino a poco tempo fa rappresentata come fusa in un sol blocco. Di conseguenza, anche la nostra idea della morale si modifica, o perlomeno l'idea della storia della morale. Fa notare Etiemble che quando, per esempio, fu decifrato un frammento del codice promulgato verso il 2050 a.C. dal re Ur-Nammu, fu rivelato anche un codice penale infinitamente più evoluto della. legge biblica del taglione, perché non punisce con delle multe le ferite con mutilazione. S~ George Smith, inoltre, non avesse· decifrata nel 1861 la. tavoletta.XI dell'epopea babilonese di Gilgamesh, si troverebbe oggi ancora .gente disposta à sostenere che il diluvio della Bibbia appartiene in proprio alla tradizione s::E . ebraica. -. La scoperta e la.decifrazione di. lingue morte, di cui fino ad allora non si sospettava neanche l'esistenza, può provocare traumi vertiginosi nella rappresentazione che ci si fa dell'uomo e della sua storia. Chissà se non fu l'urto di questa vertigine, più che le grandi difficoltà incontrate nella decifrazione del cuneiforme, a far perdere letteralmente la testa a Georges Smith, una delle glorie del British Museum. Dopo aver decifrato una tavoletta di cui aveva scoperto il testo sotto un antico strato calcareo, e aver gridato, con grande trasporto: «Dopo millenni di oblìo, io sono il primo che legge questo testo!» Georges Smith incominciò a spogliarsi ... Fu Poebel, cinquantatré anni più tardi, a tradurre un testo molto più antico della versione babilonese decifrata nel 1861 da Smith: era scritto in sumerico, lingua altra dall'accadico e dal semitico, e quindi non ricollegabile ad alcun'altra famiglia linguistica conosciuta. Il sumerico era inciso in caratteri cuneiformi e somigliava a un rebus. Le versioni dell'Epopea in accadiano, apparentato alrebraico e all'arabo, erano immensamente distanti dal sumerico quanto la nostra lingua lo è dal cinese. La versione scritta più antica che si conosca dell'Epopea di Gilgamesh è anche la prima delle scritture storicamente note. Gli studiosi che hanno seguito l'evoluzione del cuneiforme dai primi ideogrammi sumeri fino ai circa trecento segni che riassumono questa scrittura nella sua forma più stilizzata, assicurano che il sumerico contiene potenzialmente tutte le varietà finora decifrate di scrittura. Lo strato· archeologico più antico dell'Epopea di Gilgamesh è scritto, grattato, in questa lingua primordiale che sta fra la «visione» e l'alfabetizzazione. Se la scrittura comincia con la • «pittura della voce», come scriveva Voltaire, allora con il sumerico siamo davvero ai primordi della scrittura e quindi de!la Storia: sul punto di -passare dalla visione alla rappresentazione ideografica, quindi a quella fonetica (rappresentarsi il suono della parola), a quella sillabica (che non scompone ancora le sillabe in vocali e consonanti), e infine a quella alfabetica - che rappresenta i suoni della voce con le lettere di un alfabeto. Possiamo quindi dire di trovarci proprio ai primi inizi di quel «grande mormorio» di cui scriveva Foucault: vale a dire di quell'essere-linguaggio in cui il «si èà» del linguaggio inizia a variare su ogni formazione storica, in maniera singolare e tuttavia anonima - «essere enigmatico e precario». La scrittura del centauro Come si può vedere, il tendenziale valore fonetico dei segni cuneiformi ci fa derivare lontano: ci immette nel campo astratto e ormai cieco alla «visione» di quella macchina «audio-visuale» che, secondo Foucault, dispiega ormai su tutto il pianeta molteplici effetti di potere anonimo, astratto e diffuso. Su questo non cesseremo d'interrogarci, fin nelle pieghe di ciò che chiamiamo talvolta «coscienza»: piaga dell'umanista, piuttosto; e focolaio di molte voci, molte iscrizioni, probabilmente molte vite - anche storiche. Di queste «couches sédimentaires», fatte di «choses et de mots, de voir et de parler, de visible et de dicible, de plages de visibilité et de champs de lisibilité», scrive Gilles Deleuze nel suo Foucault. Si tratta, fin dal titolo, di un sobrio omaggio all'amico: attraverso una puntuale ricapitolazione complessiva delle linee di forza tra le quali si è dibattuto il pensiero del filosofo scomparso. L'ultimo scritto di Deleuze non si colloca tanto.all'interno del pen-. siero di Foucault, quanto tra gli interstizi di ciò che egli ha visto e detto. Il testo appare quasi come lo spazio d-i una complicità, ma al tempo stesso vi si dis.piega un'alterità: quella dello stesso Deleuze, che analizza il pensiero dell'amico e tuttavia vi gioca un altro pensiero, uno straordinario entre-deux. Rosi Braidotti, nella presentazione che ne fa per «il manifesto», parla paradossalmente di un «foucaultdeleuze»: e cioè di uno spazio . testuale a forma di centauro, aggiungerei, «dove si gioca uno dei capitoli fondamentali della storia del pensiero attuale». 1 Sottolineando come il fulcro del pensiero di Foucault siano i processi di formazione del soggetto, Deleuze solleva la questione di una filosofia la cui ratio e le cui rappresentazioni non sono il tutto del pensiero. Cos'è allora questa ligne du Dehors sempre invocata da Foucault? «Ce serait camme un nouvel axe, distinct à la fois de celui du savoir et de celui du pouvoir. Axe où se conquiert une séreni té? Une veritable affirmation de vie?» Questo proiettarsi, o sprigionarsi del pensiero fuori dall'ambito stesso del sapere e del potere, sorpasserebbe ogni disciplina costituita. In un certo senso, possiamo dire che si tratta di un'indisciplina, e che il pensare è qui finalmente un errore, un errore che nondimeno ci proietta sulla linea del divenire: altri corpi, altre lingue, altri Freud ©David Levine (1970) Courtesy Studio Marconi ---. mondi; o, anche, altri modi possibili, o anche impossibili, di essere al mondo. «Bref, les forces sont en perpétuel devenir, il y a un devenir de forces qui double l'histoire, ou plutòt l'enveloppe, suivant une conception nietzschéenne». Non so se questo tumulto che preme·dal fondo delle belle forme, e che sensibilmente non è una ragione, ci farà uscire - per parafrasare una volta tanto Franco Fortini - dal «secolo dell'orrore». E non so neanche se esso sia davvero d'impronta maschile. Se è di «forze» anteriori alle forme formate, o comunque al di Fuori del sapere e del potere, che si tratta, forse più che maschili (o anche femminili) sono androgine. «Il futuro sarà androgino», diceva Apollinaire. E Rimbaud lo ha «visto» - quando fattosi veggente attraverso l'hashish, il.genio e l'omosessualit~;-19. . cantò «debout dans les rages et les·· ennuis» con frasi di sapore esoteri.;: co: «Egli non se ne andrà, non ridiscenderà da un cielo, non compirà la redenzione delle collere delle donne e delle allegrie degli uomini e di tutto questo peccato: è cosa fatta, poiché egli è;ed è amato». (A proposito, quest'anno ri- • corre il centenario delle Illumina- 'tions, pubblicate nel 1886.) Ancora una concezione romantica e visionaria della storia, un progressismo alla Michelet? O semplicemente un simbolo della vita universale, della sua ricchezza corrosiva? Ci imbattiamo in un punto nodale della riflessione di Foucault, in qualcosa che è legato all'emergenza della sessualità moderna secondo Foucault e alle decisioni più profonde del nostro linguaggio. Si tratta, mi pare, proprio del campo di quella solitudine in cui, con le parole di Foucault: «Ciò che, a partire dalla sessualità, un linguaggio che è rigoroso può dire, non è il segreto naturale dell'uomo, non è la sua calma verità antropologica, bensì che l'uomo è senza Dio. La parola che noi abbiamo dato alla sessualità è contemporanea nel tempo e nella struttura alla parola mediante la quale abbiamo annunciato a noi stessi che Dio era morto». 2 Certo, c'è un desiderio al maschile che ha l'età del mondo, o è perlomeno coevo all'invenzione della scrittura e della storia (come dimostra l'affetto che unisce i due eroi dell'Epopea di Gilgamesh). Ma, nello stesso tempo, questo desiderio è «moderno», crea in pieno giorno nella nostra società nuove figure amorose e sociali: è, direi, rivol11zionario· non perché sembra non aver memoria ma perché rinnega praticamente Adamo ed Eva. Si troverà sempre qualcuno disposto a collocare il desiderio omosessuale dalla parte dell' Androgino, o dell'oblìo. In ogni caso, si tratta di un desiderio destinato al fallimento se non impegna la propria vocazione e la fiducia nell'uomo nuovo, l'oltre-uomo ... Chi condanna questo futuro senza Dio e senza l'Uomo secondo il vecchio concetto, non potrà che condannare, nello stesso tempo, anche l'omosessualità come modo di vita. Oltre che estraniare il femminile così come ogni eccedenza di senso rispetto a quello che un codice totalitario è in grado di controllare. 3 Dico questo perché il libro di Deleuze non è sessualmente neutro. Lo ha notato Rosi Braidotti, quando scrive che «questo libro permette tra l'altro di sottolineare l'importanza dell'eredità simbolica, maschile e singolare del capitale filosofico». 4 Nei riguardi di due «figli di una stessa episteme», e cioè di un Foucault e di un Deleuze che, con le rispettive opere, non hanno esitato a sollevare la dimensione affettiva e sessuale - a torto o a ragione anti-edipica - dell'essere umano, l'osservazione del versante femminile, quasi una ligne du Dehors, mi sembra pertinente e suscettibile di ulteriori approfondimenti. Delle implicazioni dell'eredità simbolica maschile nel capitale filosofico parleremo in una prossima occasione. -Note. (1) R. Braidotti, Il campo di Foucault: l'ultimo gesto di Deleuze per l'amico, in- «il manifesto», giovedì 9 ottobre 1986. . (2) Citato da N. Fusini, Foucaul.tpo-. stumo, in AA.VV. Effetto Foucault, a cura di J>ierAldo Rovatti, Milano, Feltrinelli; 1986, p. 83. (3) Si -vedaper esempio l'allarmato documento della .Congregazione per la Dottrina della Fede, del 10 ottobre 1986, intitolato Lettera ai vescovi della Chiesa ~cattolica ;sulla cura pastorale delle persone omosessuali. (4) R. Braidotti, art. cit.

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