Alfabeta - anno IX - n. 95 - aprile 1987

anche i magistrati si sono mossi per tessere la loro ricostruzione. Appunto in questo ambito, a me pare che completare il quadro con una riflessione sul crimine organizzato nell'intreccio suggerito da Bobbio possa essere utile. Gli stessi giudici sottolineano la presenza di Francesca Mambro e Gilberto Cavallini a Palermo pochi giorni prima della strage. Di Palermo è Francesco Mangiameli, uno dei personaggi chiave della vicenda, ucciso (si sostiene da Valerio Fioravanti) perché sapeva troppo. Sorge il dubbio - che espressi su «Panorama» sin dal 1974, dopo la strage di Brescia - che i militanti della lotta armata di destra siano serviti come copertura non già a inesperti ragazzini, ma agli specialisti del crimine organizzato, certamente più disponibili di attivisti politici (per quanto fanatici) ad uccidere anche decine di persone per lanciare un messaggio nell'ambito di una lotta di cosche che in quegli anni era in corso e i cui rapporti col potere politico sono stati oggetto di tante ipotesi e di tante polemiche; senza che si sia mai riusciti a raggiungere alcun risultato. L'intreccio tra estremismo di destra e crimine organizzato è la traccia che è stata seguita - anche se con risultati limitati - dai magistrati che hanno indagato sull'altra strage alle porte di Bologna, quella detta di Natale (1984) che ripete a S. Benedetto Val di. Sambro quella dell'Italicus (con Gelli e la P 2 fuori gioco, almeno per quanto se ne sa). I giudici di Bologna hanno comunque conseguito un risultato importante: hanno fatto luce sul retroterra culturale e sulla strumentazione organizzativa di una strategia che da oltre un ventennio ha la sua continuità nel favorire - attraverso una apparente destabilizzazione - un sostanziale mantenimento degli equilibri politici, quando essi siano messi in pericolo da una spinta a sinistra nel Paese. Hanno individuato il ruolo svolto in questo quadro dalla tradizione politica e dalla presenza sociale di una destra nella quale hanno operato centinaia di giovani che nella situazione degli anni settanta hanno ritenuto di passare dalla lotta politica alla lotta armata. Hanno messo in luce la copertura assicurata da settori dei servizi di sicurezza. Le conclusioni in sede propriamente giudiziaria saranno tratte dalla magistratura giudicante. Due punti rimangono da approfondire: la situazione politica specifica dell'estate 1980 e il ruolo del crimine organizzato. Sull'ingeg"!JJagenetica N on si vorrebbe, certo, che la bioetica finisse dalle nostre parti per naufragare tra perorazioni sdegnose dei dettagli e raffinate analisi linguistiche sui modi di esprimere interrogativi morali, alla fine delle quali si può anche trovare l'ineccepibile conclusione che non sussiste alcun problema, o, d'altra parte, in certe rozze e superficiali divulgazioni nelle quali si confondono problemi reali e stupori fantascientifici. Sperando, con anemica convinzione, in qualche buona stella fornita della magica virtù di assottigliare le schiere degli improvvisatori eclettici e quelle ben più pericolose di quanti sono convinti di possedere il monopolio della morale, avvertiamo per corretta informazione che la data di comparsa e la paternità stessa del nome «bioetica» risultano incerti, nonostante i pochi anni trascorsi. Il primo ad usarne pubblicamente fu nel 1971Van R. Potter che ne fece il titolo di un suo libro notissimo negli ambienti scientifici: Bioethics. Bridge at the future; il senso che l'illustre clinico dell'Università del Wisconsin conferiva al nome era però, per certi aspetti, restrittivo volendo indicare il doveroso sforzo di usare l'insieme delle conoscenze umane per migliorare la qualità della vita. In seguito, rapidamente, passò a designare più in generale i problemi di ordine morale che sorgono dalle scienze della vita in senso lato e dalle loro applicazioni di cui quelli relativi alle pratiche mediche costituiscono un capitolo; questa accezione fu codificata, se il termine è lecito, per un sapere in evidente fase di accrescimento, da K. Donner Clouser che scrisse la voce Bioethics (1978) per l' Encyclopedia of Bioethics diretta da W.T. Reich; nei pochi anni seguenti, gli studi sull'argomento si sono moltiplicati al punto tale che l'ultimo volume dell'annuale Bibliography of Bioethics registra oltre 1800 titoli. Un sapere, dunque, che cresce in un momento della storia contrassegnato dall'indifferenza per valori un tempo generalmente condivisi e per i codici morali disposti intorno ad essi, nonché dai relativi annunci di «fine dell'etica»; la semplice constatazione del fatto è già di per sé indizio dell'urgenza dei problemi riguardanti la sfera morale sollevati dalle scienze biologiche e dalle relative applicazioni. Ricordarne qui alcuni vuol dire, allo stato attuale delle cose, proporre soltanto delle questioni tuttora aperte che configurano perciò soltanto un possibile itinerario di ricerca e di discussione. Tra spirito e corpo Occorre subito dire che i problemi di ordine morale nei quali si imbattono il biologo e il medico non sono semplicemente quelli, senza dubbio di estrema importanza, emergenti dalla necessità di prendere decisioni pratiche in casi singoli e specifici ma anche altri di carattere più generale e complesso, intrecciati col sapere scientifico in trame tanto fitte da far comprendere quanto evanescenti e mutevoli siano le tradizionali linee di demarcazione tra le «due culture». Detto altrimenti, quando si parla di problemi di ordine morale si intendono compresi tra questi non solo quelli connessi alle regole di condotta (per taluni valide in un'epoca e in una società determinate, per altri universalmente e incondizionatamente), cioè pertinenti la morale in senso proprio, ma anche quelli posti dalla riflessione sulla morale stessa, come nel caso della filosofia morale. Si pensi, per esempio, all'espressione «coscienza morale» indicata in media come capacità di riconoscere e di distinguere il bene e il male morali quale caratteristica esclusivamente umana di portare giudizi valutativi, di merito, sulla moralità di atti, intenzioni, situazioni. Al biologo questo stato di cose si presenta nei termini di una proprietà assente da ogni altra specie, coesistente dunque con una specifica struttura del sistema nervoso centrale le cui alterazioni patologiche comportano, a seconda della gravità e dell'estensione, una perdita parziale o totale di quella proprietà. Per questa via il biologo si trova di fronte al classico problema di mente, o spirito, e corpo; che è anche un problema della filosofia morale; e il suo discorso finisce qui abbandonato in mancanza di strumenti concettuali adeguati alla filosofia che affrontava e affronta la questione della coscienza indipendentemente da e indifferentemente per gli interrogativi e le articolate suggestioni che le scienze biologiche offrono, non fosse altro nei modi complessi dominati dalla categoria della possibilità. Con altra terminologia, formatasi su modi diversi di approccio e pertanto non pienamente corrispondenti, si potrebbe dire che il biologo si trova spesso davanti ai problemi che hanno suggerito in varie forme la tesi secondo cui gli schemi essenziali del comportamento umano sono biologicamente determinati e perciò indipendenti dalle influenze culturali; le affermazioni sul predominio dell'istinto o quelle ruotanti intorno all'indebita estensione dell' «assio:.. ma»: un gene, una proteina a: un gene, un carattere, sono state occasione di accesi dibattiti nel corso dei quali alle argomentazioni scientifiche in senso stretto se ne opponev&no altre provenienti da altri luoghi del saper~ e non traducibili nel linguaggio delle prime. Una delle opportunità della bioetica dovrebbe appunto esser.è quella di porre qualche rimedio a una situazione del genere escogitando un nuovo linguaggio, o altra misura unificante, senza ripetere· gli errori di uno scientismo che fa~• ceva della coscienza un semplice epifenomeno neu~ologico, né quelli di un criptospiritualismo perduto in ragioni astrali dove la materialità dell'uomo, al di là delle dichiarazioni di principio, non aveva più alcun peso. La dignitas hominis, nozione classica della letteratura e della filosofia morale, si fonda anche sulla specificità biologica del genere Homo, cioè del prodotto di un lungo e peculiare processo evolutivo che è condizione necessaria anche se non sufficiente per poter parlare di tale dignità e rispettarla concretamente. Ernst Bloch, un filosofo che non si è certo addentrato in tematiche biologiche, ha usato l'esortazione «camminare retti» volutamente richiamando la storia evolutiva del genere umano per indicare l'impegno morale ad agire per la sua emancipazione. Per quanto riguarda le questioni di ordine pratico basterà riflettere sul significato complessivo di espressioni come «qualità della vita» ed altre consimili; in esse è già contenuto infatti il riferimento a uno stato di cose tipicamente umano in cui per comparazione con il resto del mondo animale si includono tanto fattori biologici in senso stretto (igienico-sanitari, nutritivi, ecc.) quanto fattori di altro genere che, utilizzando la tradizionale dicotomia di natura e cultura, possiamo chiamare non più che metaforicamente culturali; e tra questi in primo luogo la libertà, l'«ortopedia dell'andatura eretta», per ricorrere ancora a un modo di dire blochiano. Tra morale e medicina Al margine estremo della qualità della vita, l'ultimo atto senza eccezioni della vita stessa: quello del morire, e il problema che conseguentemente viene posto alla bioetica, raccolto in una formula ormai nota, il diritto di morire con dignirti. Quanto complessa sia la sua definizione in termini utili per elaborare un codice di comportamento accettabile da una larga maggioranza si può capire dall'insieme dei vari, e a loro volta compositi, problemi che occorre tenere in considerazione: il trattamento del morente, l'estensione e i limiti delle pratiche di mantenimento artificiale di alcune funzioni vitali, la scelta tra terapie in grado di prolungare la vita a scapito della sua qualità ed altre miranti a ridurre le sofferenze di una fine inevitabile, a chi tocchi - se al paziente o al medico - prendere simili decisioni e connessi con questo gli interrogativi sul dire e non dire al paziente la verità intorno al suo stato; sui modi di procedere quando il malato è un bambino o comunque in ridotte condizioni di lucidità; i dubbi riguardanti le decisioni prese da un soggetto sgomento davanti alla propria sorte, fatto che porta il più delle volte a ciò che è stato chiamato terrified consensus. Si tratta di problemi quotidianamente posti dalla pratica medica. che configurano alcuni aspetti salienti del rapporto tra morale e medicina; un capitolo importante della bioetica, come si è già detto, ma la cui stesura richiede per l'appunto una morale: in mancanza di questa non è pensabile nemmeno la più dimessa deontologia professionale se non come salvaguardia degli interessi delle corporazioni. Qui, infatti, le strade si dividono: da una parte quanti sono convinti di possedere l'Unica Vera Morale; si tratterà allora di applicare i suoi principi agli interrogativi provenienti dalla medicina. È la posizione di un certo integralismo cattolico, che, di conseguenza, identifica praticamente la bioetica con tale esercizio, tanto da riciclare vecchi manuali di morale medica con la nuova etichetta. Dall'altra parte quanti pensano che elaborare una morale esprimibile in enunciati di tipo assiologico («fare x è male») o tipo normativo («non si deve fare x»), vale a dire una morale di diritto largamente accettabile, è un compito irto di difficoltà che sono ancora maggiori quando si cerchi di rispondere alla domanda «perché x è male» o perché «non si deve fare x», ossia quando ci si trovi di fronte al problema del fondamento della morale e quindi all'assenza di quelle ragioni che sembravano permettere il passaggio dall'essere al dover essere. Interrogativi che procedono parallelamente alla diffusa consapevolezza dei limiti della conoscenza scientifica cioè del suo rapporto col reale; ma una volta tanto il fatto non sembra del tutto negativo: esso può essere visto anche come occasione per riproporre sul piano della riflessione la sostanza stessa del fenomeno «eticità». Più precisamente: ridottosi lo scompenso di un tempo tra la cogenza delle piccole, frammentarie, verità asserite dalla scienza positiva e la precarietà delle grandiose e contrastanti congetture filosofiche, una nuova riflessione può offrire l'opportunità di cogliere i punti di convergenza delle asserzioni di tale scienza con quelle proprie di altre forme del pensiero. I problemi posti dalla clinica sono di grande interesse anche sotto questo aspetto in quanto gli ostacoli a una loro soddisfacente soluzione dipendono in gran parte proprio da due ordini di motivi che si possono così riassumere: il primo connesso ai differenti orientamenti in fatto di morale gravanti sulle scelte e alle preferenze per le diverse modalità in cui la filosofia morale contemporanea articola le sue riflessioni sui problemi morali in genere; l'altro in funzione delle ipotesi che le scienze avanzano in un arco esteso dalla peculiarità del fenomeno vita e dalla specificità biologica dell'uomo al decorso delle più diverse forme morbose e al trattamento di ciasuna di esse. I due ordini appaiono poi riuniti attraverso una complessa rete di anastomosi in un solo corpo che si potrebbe forse ascrivere a una sorta di antropologia generale, multiforme e variabile, con troppe domande e poche risposte, in cui si raccolgono tutti gli interrogativi posti dalla biologia dell'uomo e, in maniera diversa dalla medicina, sia sotto l'aspetto scientifico che sotto quello della finalità; momento dunque del generale progetto umano in cui la salvaguardia e la cura del singolo procedono insieme con quelle della specie e del suo ambiente. Che cos'è l'ingegneria genetica L'espressione «ingegneria genetica», conviene ricordarlo, è un sostituto di quella corrente in un primo tempo che si avvaleva della parola «manipolazione» coniugata con l'aggettivo genetica; portata fuori dal laboratorio, dove aveva un preciso significato tecnico, si trovò sommersa dai significati attribuitigli all'esterno (la «manipolazione delle coscienze», per fare un esempio), tutt'altro che positivi e così diffusi e radicati da suggerire un cambiamento completo. Che molti considerino poco felice anche l'espressione ingegneria genetica è ben noto; le si rimprovera un non troppo implicito rinvio a qualche sorta di macchinismo e di progettualità meramente tecnica connessi al termine ingegneria che suona in maniera assai poco promettente, come nel caso dell' «ingegneria sociale»; l'accento, msomma, appare troppo marcatamente spostato sugli aspetti applicativi piuttosto che su quelli scientifici-conoscitivi. Si tratta però di un modo cospicuo di indicare a un tempo l'appartenenza dell'ingegneria genetica al più vasto insieme delle biotecnologie, includente perciò procedimenti finalizzati alla produzione e al controllo di materiali biologici, e la sua natura di strumento tecnico, dunque anche 00 concettuale, per la conoscenza ..., della materia vivente, al pari della .5 microscopia, della cromatografia ~ ~ o della diffrattometria a raggi X. t--. Tra le operazioni più interessan- ~ .... ti di questa nuova ingegneria sono ~ comprese sia la possibilità del tra- ·.:: sferimento di frazioni del patrimo- ~ nio ereditario di un essere vivente ~ a un altro di diversa specie, sia la i:: modificazione della struttura mo- ~ lecolare del DNA presente in un ;g_ organismo. In ambedu~ i casi il ri- ~

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