Alfabeta - anno IX - n. 95 - aprile 1987

l'atto d'accusa dei giudici,giB~oi lo·gna L'atto d'accusa dei giudici di Bologna a cura di Giuseppe De Lutiis Prefazione di Norberto Bobbio Roma, Editori Riuniti, 1986 pp. 406, lire 20.000 LI atto d'accusa dei giudici di Bologna sulla strage del 2 agosto 1980 è un tentativo di inquadrare storicamente, sotto il profilo giudiziario, quella che è stata definita la «strategia della tensione». Si risale al celebre convegno dell'Istituto Alberto Pollio (Roma, Hotel Parco dei Principi, 3-5 maggio 1965) per giungere, attraverso Piazza Fontana, Piazza della Loggia, l'Italicus, appunto al 2 agosto 1980, «l'eccidio più atroce», con le 85 vittime. Bobbio indica all'origine dell'iniziativa del 1965 «la constatazione dell'estensione e globalità dell'iniziativa dei comunisti in tutto il mondo allo scopo di 'cercare i mezzi più idonei per un'efficace difesa'» e aggiunge che «l'anticomunismo totale è il tema dominante della reazione di destra in tutti i paesi del mondo. Non deve sorprendere che esso sia più radicato e insieme anche più aggressivo nel paese in cui il Partito comunista è il più forte partito d'opposizione, ha continuato ad accrescere per anni la propria forza elettorale» (pp. XVIII-XIX). Da qui la estensione del terrorismo di destra e la conclusione: «Gli estremi si toccano: non solo i movimenti dell'anti-Stato con gli apparati segreti dello Stato, ma anche i movimenti politici clandestini coi gruppi non meno clandestini della criminalità organizzata, come mafia e camorra [... ). Paradossalmente tutto diventa lecito nell'universo dell'illecito» (pp. XV-XVI). Ho attirato per anni l'attenzione su quello che Bobbio definisce «intrico di canali sotterranei» (p. XVI) nel quale si esprime questo universo. Ho avanzato la tesi che esso abbia influito anche sulla lotta armata di sinistra; e Bobbio ricorda che «qualche sospetto, per lo meno di inerzia (dei servizi segreti) è stato avanzato anche per quel che riguarda l'eversione di sinistra» (p. XV). Ho attirato l'attenzione sulle conseguenze politiche e anche sulla necessità per la scienza politica di indagare su questa «nuova frontiera» della disciplina. Da qui la soddisfazione di vedere nell'enorme lavoro dei giudici bolognesi un tentativo di ricostruire «la mappa non ancora del tutto esplorata» (Bobbio, p. XVI) della storia sotterranea del nostro sistema politico dalla metà degli anni sessanta al 1980. Tuttavia, tra una attendibile ricostruzione storica e un procedimento giudiziario, le differenze sono rilevanti. E non ci si dovrebr--.. be quindi stupire se un processo ....,. indiziario come quello di Bologna c::s .!:; dovesse dare risultati diversi da ~ quelli attesi. Gli stessi magistrati ;:: rilevano «la totale mancanza di ~ ...... ~ ... §, prove dirette» e che «occorre distinguere nettamente tra prove sufficienti ad ascrivere il fatto [... ] e prove sui particolari esecutivi ~ della strage», essendo «gli elementi di prova raccolti di carattere ~ prevalentemente indiziario, ma in l alcuni casi anche testimoniale e (3 tecnico» (p. 8), mentre «si deve ammettere che anche per il movente non esistono prove determinanti» (p. 82). Ci troviamo qui di fronte a una delle peculiarità del nostro sistema politico, con un intreccio quasi inestricabile di situazioni e di ruoli, per cui il politologo deve trasformarsi in criminologo (con l'accusa di diventare un dietro logo) e il magistrato deve trasformarsi in politologo (con l'accusa di travalicare la sua funzione), mentre lo studioso che rimane rigorosamente nell'ambito della sua disciplina studiando i comportamenti elettorali (se scienziato politico) o i documenti di archivio (se storico), rischia di afferrare una parte estremamente ridotta delle modalità di gestione del potere e delle cause degli avvenimenti. Scott Fitzgerald ©David Levine (1974) Courtesy Studio Marconi Così i giudici bolognesi hanno raccolto elementi di estremo interesse per ricostruire pagine decisive della nostra storia, ma suscettibili di contestazioni per quanto concerne le specifiche imputazioni. La loro tesi generale è che la «strategia della tensione» abbia avuto per ispiratori permanenti Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini, Alfredo e Fabio De Felice, che hanno anche organizzato e predisposto uomini e mezzi (esplosivi) per attuarla. La bomba sarebbe stata collocata da «ragazzini» inesperti, per cui, secondo i giudici «certamente le conseguenze dell'esplosione andarono oltre le previsioni degli attentatori» (p. 12), tra i quali avrebbero operato, con funzioni di copertura, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (elementi di punta della lotta armata di destra) e Sergio Picciafuoco, un pregiudicato presente (e leggermente ferito) sul luogo della strage. Un settore dei servizi (guidato da Pietro Musumeci) avrebbe protetto gli attentatori e depistato le indagini, mentre Licio Gelli e la P 2 avrebbero costituito la direzione strategica . A me pare che sotto il profilo dell'analisi politica due siano gli aspetti da chiarire: il ruolo dei militanti della lotta armata di destra; il movente specifico, nel contesto italiano, della strage. Il primo punto è di particolare importanza, perché gli indizi raccolti sono dovuti in gran parte alle testimonianze dei militanti che hanno accettato a vario titolo di collaborare con gli inquirenti. Sono note le riserve che da tempo suscita l'utilizzazione dei cosiddetti «pentiti» o «dissociati», sino alle clamorose vicende del processo Tortora. E anche in questo caso i giudici sottolineano la possibilità che talune collaborazioni e versioni (per esempio quelle di Angelo Izzo) siano state dettate da opportunismo (addirittura per predisporre condizioni favorevoli ad una eventuale evasione). Vi è tuttavia una attendibile motivazione di fondo dei militanti di destra che hanno assunto un atteggiamento di collaborazione: quello di sentirsi strumentalizzati, di essersi convinti che mentre essi ritenevano di operare per una soluzione «nazionalrivoluzionaria» della crisi italiana (gli echi culturali di Evola, come ricorda Bobbio, p. XVII), le loro iniziative erano volte a favorire il disegno di Gelli e dei servizi. Il definire le grandi linee di questo disegno è quindi rilevante anche per valutare le testimonianze sulle quali si basa il dispositivo di rinvio a giudizio. A questo proposito Giuseppe De Lutiis - studioso dei servizi segreti, che ha compiuto un notevole ed eccellente lavoro per presentare gli atti giudiziari - scrive: «La collaborazione fornita da alcuni giovani imputati[ ... ) è la novità di questi anni che nella destra aveva pochissimi precedenti. Per alcuni dei giovani l'espressione 'pentito' è probabilmente impropria, e gli stessi interessati la respingono, poiché in realtà si tratta del desiderio di ripristinare la verità storica sulla loro matrice, utilizzata come braccio armato di un disegno non certamente nazional-rivoluzionario, ma di stabilizzazione del sistema di potere instauratosi in Italia nel 1948» (pp. XXX-XXXI). Stabilizzazione (e non già destabilizzazione) del sistema di potere del 1948: una tesi che condivido, ma che si contrappone a quella secondo la quale avremmo assistito, dal 1960 (Tambroni) al 1964 (De Lorenzo) agli anni settanta (strategia della tensione) a una sorta di preparazione di colpi di stato in permanenza allo scopo di sostituire alla democrazia rappresentativa un ordinamento autoritario. Ora, l'obiettivo di fondo della «direzione strategica» dei corpi separati, più o meno deviati, era quello suggerito da Bobbio (fronteggiare l'espansione comunista). Per questo vennero messe in opera «attività clandestine» («Molto correttamente i giudici parlano di 'attività clandestine' e non di 'deviazioni'», De Lutiis, p. XXIX), comprendenti la protezione della lotta armata di destra. Ma si trattava di ottenere non già un rovesciamento delle istituzioni, bensì la riconferma della loro gestione da parte delle forze politiche tradizionali (anche se qualche frangia minoritaria ha potuto ipotizzare in qualche momento soluzioni estreme, per il che rimando alle mie riflessioni su La Destra in Italia, ripubblicato nel 1983 dalla Gamma Libri). Obbiettivo di fondo, dunque, stabilizzare il sistema senza l'apporto del Pci al governo. Può essere - come ha qui scritto Carlo Formenti recensendo il mio libro Storia del partito armato - che tale apporto sarebbe stato sufficiente a contenere e bloccare la forte spinta sociale di metà anni settanta. A me questa ipotesi sembra attendibile. Ma anche se avesse ragione Formenti, rimane il fatto che gruppi potenti erano ostili comunque alla presenza del Pci al governo. Questo può spiegare quanto è accaduto dal 1968 al 1978 (sequestro Moro). Ma per ipotizzare il possibile movente della strage occorre definire la situazione nell'estate 1980. • Apparentemente il sistema sembrava avviato alla stabilizzazione. Il Psi aveva riconfermato l'alleanza con la Dc, entrando nel governo Cossiga. Le elezioni amministrative dell'8 giugno avevano consolidato la nuova maggioranza. Personalmente ritengo che questa stabilizzazione fosse ancora incerta; per questo sostengo che il partito armato (Br) poté usufruire di un ambito di manovra che utilizzò in seguito col sequestro D'Urso. Ma la situazione era davvero tale da suggerire non già la «inerzia» dei servizi, ma addirittura il sostegno a una strage efferata come quella di Bologna? Steinbeck ©David Levine (1980) Courtesy Studio Marconi I giudici, laddove ammettono la mancanza di prove determinanti per il movente, affermano che per esso «sono state fornite indicazioni molteplici in qualche caso anche contraddittorie [... ]. Secondo alcuni le stragi sono 'di Stato' [... ). Per altri trovano spiegazione nelle fratture esistenti fra le diverse formazioni di estrema destra[ ... ]. Altri ancora hanno sostenuto che sono la conseguenza della ritrovata unità d'azione [... ]. Al di là delle versioni di comodo e/o strumentali il movente della strage è estremamente complesso e richiede diversi piani di lettura» (pp. 81-87). Uno di questi piani di lettura, attraverso le testimonianze di Angelo Izzo e Paolo Aleandri, si lega alla situazione di Gelli: «Intendeva in tal modo stringere ancor più attorno a sé quei vecchi ambienti politici e militari che erano coinvolti in tentativi golpisti del 1974 e che intendeva continuare a controllare in un momento in cui questi ambienti tendevano a scaricarlo» (Izzo, p. 50). «Fabio De Felice mi disse [che] gli attentati costituivano merce di scambio per ottenere altri agganci o condizionare altre scelte. Non occorreva allora nessuna rivendicazione perché il messaggio sarebbe stato fin troppo eloquente» (Aleandri, p. 196). Quest'ultima valutazione è espressamente richiamata dai giudici allorché trattano del movente: «La strage non abbisogna di rivendicazioni, poiché coloro cui il messaggio è indirizzato capiscono benissimo, mentre il mistero che avvolge i possibili autori aumenta il panico e il disorientamento dell'opinione pubblica» (p. 87). P ersonalmente diffido del tentativo di fare di Gelli il «cattivissimo», responsabile di tutte le infamie; e non credo ai progetti golpisti del 1974. Il capo della P 2 è nel 1980un uomo ancora stimato e potente e nel «Corriere della Sera» dell'ottobre successivo alla strage, intervistato da Maurizio Costanzo; proporrà riforme istituzionali. Tuttavia la traccia del messaggio attraverso la strage, destinato a chi lo capirà, è una traccia importante. Ma essa ci riporta, seguendo l'indicazione di Bobbio, più al crimine organizzato (mafia, camorra) che all'attivismo politico, per quanto estremizzato. I giudici si impegnano a dimostrare che le teorie elitiste del radicalismo di destra favoriscono la tendenza a non preoccuparsi di vittime innocenti tra la massa; e sostengono che l'intesa tra i diversi gruppi sarebbe avvenuta sulla base di unire attentati selettivi (come quello al giudice Amato, giugno 1980) a stragi indiscriminate, volte a diffondere panico e frustrazione. Personalmente mi riesce difficile credere che militanti pur decisi a uccidere spietatamente avversari politici in quello che ritengono uno scontro di ideologie, possano indifferentemente colpire con lo «stragismo». Del resto gli stessi giudici insistono sulla collocazione materiale della bomba da parte di ragazzini e sulle conseguenze andate oltre le previsioni. A me non sembra facilmente conciliabile il livello organizzativo, l'esperienza nell'uso degli esplosivi (sulla quale si insiste), l'impegno dei più alti livelli dei servizi, con l'esecuzione finale andata ben oltre le conseguenze previste per l'inefficienza degli esecutori. Dalla onnipotente P 2 ai ragazzini inesperti il passo mi pare molto lungo. E il messaggio è ben diverso se concerne una singola personalità, un magistrato o decine di morti. Che nell'estate del 1980, quando è difficile pensare a una soluzione nazional-rivoluzionaria, leader politici pure estremisti come Fachini e Signorelli sacrifichino 85 vittime al rapporto con Gelli, mi pare tesi difficile da dimostrare. Apprezzo molto il lavoro dei giudici di_Bologna, portato avanti tra infinite difficoltà, tanto più che è di conforto a tesi che sostengo da tempo. Ma quando si è sul piano dell'analisi politica, occorre riflettere sul piano logico lungo il quale

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