Alfabeta - anno IX - n. 95 - aprile 1987

Mensile di informazione culturale Aprile 1987 Numero 95 I Anno 9 Lire 5.000 . Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo Ill/70 • Printed in Italy Levine . . . . •· .. · .... ;.;. ',_ ·,."'. ' ...... • -~

Giorgio Vecchio Alla ricerca del partito Cultura politica ed ·esperienze dei cattolici italiani nel primo Novecento pp. 324, L. 25.000 nella stessa collana: Francesco Malgeri La Sinistra cristiana (1937-1945) Andrea Riccardi Il "Partito romano" nel secondo dopoguerra (1945-1954) Roberto Sani Da De Gasperi a Fanfani: "La Civiltà Cattolica" e gli ambienti eterico-moderati nel secondo dopoguerra (1945-1962) Prefazione di Pietro Scoppola Morcelliana le imfflagindiiquestonulllero Per David Levine . L a rappresentazione visiva di un personaggio famoso e noto ai più per le sue sembianze fisiche, è sempre problematica perché la memoria dell'interprete tende a sovrapporsi alla memoria dell'autore, e questo rende difficile e tortuoso l'itinerario progettuale, dato che presenze plurime e contemporanee di segni, di elementi significativi devono essere sintetizzate e racchiuse all'interno di uno spazio e di un tempo che siano poi parzialmente riconoscibili. Il paesaggio, una città, un oggetto sono, sul piano temporale, realtà stabili, o comunque rappresentabili dentro un concetto di stabilità in quanto le nostre attese e, soprattutto, le nostre capacità percettive si comportano, in questo caso, con occhi sincronici che semplificano e riducono la complessità a stereotipi, modelli facil- - mente classificabili. Il ritratto, al contrario, è più complesso; infatti è da intendersi come immagine simbolica, come caricatura, senza con questo perdere le sue caratteristiche fondamentali, necessarie per farsi riconoscere, per cui il ritratto appartiene a un genere narrativo che sta tra il disegno e l'illustrazione, tra l'interno e l'esterno. E soprattutto nel caso di David Levine, i ritratti essendo destinati a supporti di consumo quotidiano, devono avere una qualità: andare oltre gli aspetti più descrittivi per arrivare a colpire, con un segno indimenticabile, il lettore di parole e non tanto di immagini. L'immagine fotografica non sempre è sufficiente per scrivere un elzeviro: un disegno, una vignetta, molte volte sono sufficienti per comunicare un avvenimento politico, culturale, e di questo dare un'interpretazione non hard, ma Sommario A più voci: Malerba Maria Corti Francesco Leonetti Antonio Porta Mario Spinella pagine 3-4 A più voci: Balestrini Omar Calabrese Francesco Leonetti Antonio Porta Mario Spinella pagine 4-5 Aldo Tagliaferri Mal letto mal tradotto (Mal visto mal detto, di S. Beckett) pagina 5 Carla Vasio Un gioco dal Giappone pagina 6 Vilma Costantini Apparizioni cinesi pagina 7 Pieralda Comalini e Giuseppina Muschialli L'ora di poesia pagine 7-8 Prove d'artista Alessandro Mendini pagina 9 Traduzione contemporanea: Samuel Beckett a cura di Gabriele Frasca pagina 10 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere .concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: autore, titolo, editore (con città e data), numero di nella direzione dei desideri, ptu o meno dicibili, dell'interprete. Nei tratti delle figure di David Levine c'è tutto questo e, in particolare, un viso che racconta la storia del personaggio, raccogliendo intorno agli spazi bianchi della tavola una serie di indizi, di percorsi che aprono le strade ai significati. Levine pubblica da anni i suoi disegni su «New York Review of Books», «The New York Times», «Newsweek», «Time», Esquire», ma la sua formazione culturale ha una matrice pittorica: ha studiato al Pratt Institute e alla scuola d'arte di Philadelphia con Hans Hofmann, artista d'origine tedesca che fu una sorta di grande maestro per un'intera generazione di pittori americani, soprattutto per avere introdotto, fin dal 1940, la sgocciolatura di colore (drip painting), una tecnica e una poetica che poi diventeranno fondamentali per l'arte americana degli anni quaranta e cinquanta. In Levine queste esperienze giovanili si sono sedimentate e trasferite nella costruzione dei visi e dei corpi, particolarmente per quanto riguarda la rete dei segni, dei tratti, quasi una serie di retini, controllati, è vero, ma anche con qualche gestualità più casuale che lascia intravvedere altre possibili forme. In un testo di Edward Fuchs del 1940, dedicato alla caricatura, (recentemente tradotto da G. Anceschi in «Grafica», n. 2, novembre 1986), appare una stimolante riflessione a proposito del significato della· caricatura per la ricerca storica «che noi abbiamo chiamato valore storico-culturale. Il passato lo si conosce .wltanto se si vengono a conoscere le sue passioni, i suoi odi e amori, il che si realizza però compiutamente solo quando si sentono parlare tali pasDa New York Paolo Valesio pagina 11 Dai Grigioni Paolo Ciocco pagina 11 Cfr. pagine 13-16 Giorgio Galli L'atto d'accusa dei giudici di Bologna (L'atto d'accusa dei giudici di Bologna, a cura di G. De Lutiis) pagine 17-18 Ernesto Mascitelli Sull'ingegneria genetica pagine 18-19 Gianni De Martino Lingue morte (L'epopea di Gilgamesh, a cura di N. K. Sandars; Foucault, di G. Deleuze; L'écriteure, di Etiemble) pagina 21 Alberto Folio Heidegger, Leopardi, l'Umanesimo (Heidegger e il problema dell'Umanesimo, di E. Grassi; Un libro metafisico, di C. Galimberti) pagine 22-23 Gaspare Polizzi Valéry in tensione («Cahiers» di Valéry, a cura di M. T. Giaveri) pagine 23-24 Marco Casonato Vincoli e possibilità (Il vincolo e la possibilità, di M. Ceruti) pagina 25 pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il lbro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi prefe_renziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma larivista si compone prevalentemente di collaborazioni su commissione. sioni nella loro propria lingua. Ma nessuna lingua parla il linguaggio originale del suo tempo come la caricatura. Essa parla il linguaggio dei partiti, e lo parla nella sua forma caratteristica:parla il gergo dei vicoli, che tutti capiscono». Le immagini di Levine parlano il linguaggio del loro tempo, senza però scadere nella cronaca degli avvenimenti, ma elevandoli alla storia e ai conflitti strutturali, per usare un termine tipico di una certa storiografia: Cavour con una grande faccia e le mani conserte che sembrano aspettare ancora la realizzazione dei suoi ideali politici; il presidente cinese, piccolo piccolo, con una sigaretta grande e seduto, ma direi meglio assorbito, da una ancora più grande, quasi monumentale poltrona, che aspetta forse altri ospiti; due ex-presidenti, Carter e Giscard d' Estaing, il primo che, con un sorriso solare mostra delle noccioline come un bambino un po' incosciente, il secondo, invece, che aristocraticamente sta seduto, grande grande, sull'Arco di Trionfo, e guarda un poco deluso davanti a sé, non comprendendo forse le trasformazioni della storia: la Francia sono io! Ecco, Levine parla di politica, analizzando i suoi personaggi soprattutto in un momento di abbandono, o di parziale insuccesso, come se la caricatura più che evidenziare i difetti fisici, in sintonia con le proprie debolezze e incertezze, debba farci comprendere meglio «il valore storico-culturq.le» del/'avvenimento dentro il quale il personaggio deve vivere per restare un personaggio. L'illustratore deve essere un uomo di cultura per potere scavare oltre il fenomenico ed individuare la filosofia di chi gli sta di fronte; è Pino Blasone Gibran (Il Profeta, Il Giardino del Profeta, di G.K. Gibran; Poesie, di B.S. as-Sayyab; Quartine, di O. Khayyam; Poesia barocca, di AA. VV.) pagine 27-28 Bianca Bottero Logica sociale dello spazio pagina 28 Renato Barilli Spino e Anastasia (Il filo dell'orizzonte, di A. Tabucchi; La delfina bizantina, di ,4. Busi) pagina 29 Giornale dei giornali Fattore VIII: il caso Bayer pagine 30-31 Indice della comunicazione Tratti sul consumo di mass media pagina 31 Supplemento Conversazioni Le immagini di questo numero Per David Levine di Aldo Colonetti In copertina: D. Levine ®David Levine (1968) Courtesy Studio Marconi Errata corrige Nella nota di presentazione al testo di Richard Rorty pubblicato in «Alfabeta» di marzo, p. 15, prima colonna, riga 24, in luogo di «il fascicolo non vuole rendere conto di alcuni tra questi sconfinamenti» si legga «il fascicolo non vuole rendere conto che di alcuni ... » Ci scusiamo con i lettori dell'errore. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti-e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Alfabeta respinge lettere e pacchi inviati per corriere, salvo che non siano espressamente richiesti con tale urgenza dalla direzione. Il Comitato direttivo come se nello spazio di una tavola l'immagine debba rappresentare, contemporaneamente, se stessa in quanto viso noto, ma anche ungesto, un comportamento che µossa rivelare il mestiere, i vizi, le virtù del personaggio. Levine è un maestro nel fare emergere dai tratti del suo disegno l'impalpabile, l'inafferrabile, specialmente nelle tavole dedicate ad alcuni scrittori: D'Annunzio con il viso montato sul sedere di un cavallo, Pavese che balla con una morte con i tacchi, Elsa Morante che mentre scrive piange, Italo Calvino, tutto faccia e tutto mani con gli occhi che guardano dentro il lettore. In particolar modo, sono indimenticabili i ritratti di Proust, impenetrabile con la sua piccola bocca che si confonde con il mento, e l'inafferrabile Freud, questo sì, che tiene aperto davanti a sé un libro come se fosse un paio di gambe da leggere. Levine è talmente forte con il suo segno inconfondibile che, i suoi disegni pur trasferiti dal loro contesto tradizionale reggono sul piano comunicativo; in Italia sono pubblicati da « La Stampa», e ora, in occasione di una prossima mostra che si terrà allo Studio Marconi di Milano, «Alfabeta» presenta un piccolo campione dei suoi taccuini di viaggio. Perché Levine è un grande viaggiatore, un grande inviato speciale - è infattti così che si ritrae nella copertina di questo numero, curioso, attento, con in mano un taccuino e una penna - per il quale la cronaca politica e gli avvenimenti culturali sono un pretesto per raccontare gli uomini e i loro aspetti meno evidenti e, qualche volta, più inconfessabili. • Aldo Colonetti alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese Maria Corti, Gino Di Maggio Umberto Eco, Maurizio Ferraris Carlo Formenti, Francesco Leonetti Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Studio Asterisco - Luisa Cortese Grafico: Bruno Trombetti Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 50.000 estero Lire 65.000 (posta ordinaria) Lire 80.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 8.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

O ggi lunedì 16 febbraio 1987 diamo inizio alla rubrica di . conversazioni «A più voci», dedicata, in questa prima occasione, ai libri di Luigi Malerba (Il pianeta azzurro, Milano, Garzanti, 1987) e di Nanni Balestrini (Gli invisibili, Milano, Bompiani, 1987). Maria Corti. Questo libro a me sembra abbastanza eccezionale. Mentre i precedenti libri di Malerba in un certo senso venivano fuori per naturale sviluppo l'uno dall'altro, questo ha una ricchezza di punti di vista e di livelli di lettura veramente nuova. C'è in comune con le opere solite di Malerba la leggera deformazione che lo porta ad essere trasgressivo sempre. E quindi risulta anche accentuato quell'aspetto a parer mio abbastanza affascinante dell'opera di Malerba per cui quello che in genere non è importante, o ci sfugge, diventa qualcosa che sta in primo piano, mentre invece quello che secondo i codici culturali soliti è importante, e sta in primo piano, con Malerba quasi scompare; quindi, la sua ironia ma anche la drammaticità che sta dietro a ciò. Il libro ha un intreccio particolarissimo, ma direi che è anche particolarissimo il fatto che ci siano in un certo senso tre autori del libro, cioè un primo personaggio che scrive il diario, un chiosatore e poi l'autore che interviene. Questa è una grande novità; il vero romanzo è questo, non è la storia, a parer mio, del personaggio che vuole uccidere, ecc. A fianco di questa impostazione così letteraria, c'è invece qualche cosa di sociologicamente molto importante: il senso dell'odio, il senso del marcio. 'Cliqna società, il senso della corruzione. Ora, trovare uno scrittore che sappia dare tutto questo, pur essendo letteratissimo, a me sembra un risultato assai notevole. Francesco Leonetti. Dico ubito che leggendo il più recente Malerba ho scoperto io lui Uf\'eJi-citàche mi sembra kantiana. Egli . infatti perseguisce nel suo libro un infame personaggio del potere politico ed economico di oggi: niente emerge però della problematica sociale di classe o del conflitto tra strati sociali e interessi .. Anii il protagonista e doppio/triplo narrante de ll pianeta azzurro ucciderebbe anche la moglie propria, traditrice silenziosa, semplicemente; e dunque-ha un ideale astratto e morale di comportamento umano. Si presenta sempre ambiguo ma contrassegnato da un maniacale bisogno di assoluto, di dover essere, di principi integerrimi (quali si è soliti attribuire al magistrato o al funzionario pubblico). . Né il personaggio infame e furfantesco, mafioso e attorniato di gorilla, è da lui perseguitato linguisticamente. Malerba non vuole inventare un modo di nominarlo ,.,.., che risulti comunque forte (quale .5 in Gadda il Truce, ecc.). È lo stes- ~ so individuo come viene indicato ::: dai giornali e dai media. Cioè Ma- ~ !erba postula, secondo me, che il ...... ~ mondo deve essere puramente ·;:::: giusto e migliore. §- A me non pare che sia il !in- ~ guaggio e il vuoto l'elemento ~ strutturale del libro, come è parso ~ a Gramigna, che è diventato il più ;g, acuto fra noi. Io trovo subito quel- ~ l'eticità, in un linguaggio a tratti reso omogeneo, dove sono più vive che tutto il resto, a mio avviso, le immaginazioni di femmine nella loro non-presenza reale, che è l'aspetto linguistico a mio avviso più riuscito del libro. Antonio Porta. Il pianeta azzurro di Luigi Malerba mi ha messo in difficolta. In una prima difficoltà perché ci sono molte digressioni, non sempre giustificate sul piano narrativo; a volte sembrano «informazioni» di tipo enciclopedico non necessarie al procedimento narrativo. Questo è stato rilevato anche da altri critici, ma diciamo pure che questo sarebbe un «difetto» minore. Quello che mi ha messo realmente in difficoltà è come è impostata la struttura a tre autori, non per la struttura in sé, ma perché ho trovato eccessivo che anche il chiosatore sia un ingegnere come l'autore del diario. Per informazione dei nostri lettori possiamo dire rapidamente che questo romanzo è così costruito: si trova un diario scritto da un ingegnere che ha occupato una casa al mare e l'affittuario è un altro ingegnere che si mette a chiosare questo diario e che leggendo e chiosandolo si identifica - ed era prevedibile che ciò succedesse - con l'autore del diario. L'autore vero, cioè Luigi Malerba, che riunifica i due scritti, il diario e le chiose, alla fine spedisce tutto questo malloppo all'editore e ne esce il romanzo Il pianeta azzurro. Rimprovero, amichevolmente, a Malerba, di essersi nascosto troppo in questo romanzo. A mio modo di vedere, ciò che imbarazza il lettore e che diluisce l'aggressività .che il romanzo ha invece dentro di sé - quell'aggressività che diventa eticità, come ha detto giustamente Francesco Leonetti - è che il secondo autore sia anche lui un ingegnere. Allora i lettori ingenui - come anche, credo, quelli smaliziati. - a un certo punto si chiedono: ma perché questi due ingegneri improvvisamente sono diventati scrittori così acuti? Per il primo passi - ha lasciato anche un diario -; ma che ci sia anche un secondo ingegnere che scrive un secondo romanzo è qualche cosa Italo Calvino ®David Levine (1974) Courtesy Studio Marconi -- che allontana troppo l'autore del racconto. Luigi Malerba avrebbe dovuto . identificarsi subito con il chiosatore. Quello che mette in imbarazzo sia il lettore normale che il lettore critico è questo troppo ritardato scoprimento delle carte. Malerba si nasconde dietro un personaggio di troppo. E allora cosa succede? Che la sua eticità rischia di indebolirsi, mentre un ingresso più immediato dell'autore dentro il romanzo - perché dell'autore sempre si tratta, sia pure sdoppiato, anzi non sdoppiato ma triplicato - avrebbe snellito l'opera e l'avrebbe resa anche più tagliente. Di conseguenza il finale non può che essere casuale: il personaggio odiato, l'uomo più nero della nostra società e della politica italiana di questi anni, muore per un puro caso, perché si è dimenticato un· finestrino della sua auto blindata lievemente aperto - forse perché aveva caldo, dice il romanziere - cosicché l'assassino è riuscito a sparare. Mario Spinella. Quanto mi ha sempre colpito in Malerba, fin da quando, molti anni fa, ho letto Il serpente e poi attraverso gli altri suoi libri - il libro scritto con linguaggio arcaico, medievaleggian- • te, il libro sui suoi sogni - è il fatto . che ho sempre avuto l'_impressione che egli adoperassè - scientemente e còn abilità - la categoria di Slovskij di «estraneazione». I libri di Malerba mi sono sempre piaciuti - e quest'ultimo non fa eccezio- •r:ie- proprio perché non sono mai in presa diretta, ma sono sempre in presa indiretta. L'autore non vi • si espone, ma dice al lettore: «Guarda che questo è un testo letterario e·quindi un testo falso, una finzione». Detto. questo, mi sembra che proprio µn .atteggiamento di questo genere mette in questione quanto diceva prima Leonetti, cioè la problematica dell'eticità. Qual è l'eticità di Malerba?-"Seeondo me l'eticità di Malerba consiste ·proprio in questa sua capacità di porgere le cose in modo indiretto, non impegnato - apparentemente - ma con quell'impegno di secondo grado che è l'ottica specifica non dico dello scrittore in generale, ma di alcuni scrittori che a me sono particolarmente cari. Il contesto linguistico-narrativo del Pianeta azzurro è certamente super ridondante, pieno di digressioni, pieno di tirate, pieno di ruminazioni con intrusioni e inclusioni di cultura a volte apparentemente raffinata, a volte di una banalità sconcertante. A me sembra che questo tipo di discorso sia una mimesi del personaggio degli anni ottanta, di una certa cultura, che è il personaggio televisivo, che sente di tutto, le cose più varie, dalla mattina alla sera, dall'astronomia alla astrologia, da Pippo Baudo a Cesare Musatti e fa un grande pastone, non capisce più niente, si disperde, si disgrega, appunto, e quindi, per forza di cose; fa digressioni, tutta la vita è una digressio- ·ne, tutto il suo sapere è una digressione. • ' A questo punto, che cosa tiene in piedi questa macchina? Proprio la struttura. Io sono di parere diverso da quello di Porta: secondo me la struttura del libro è estremamente sapiente. É sapiente nella sua scansione in capitoli, è sapiente nella ripetizione e poi triplicazione del punto di vista che si sposta, ed è sapiente proprio anche nella conclusione in cui la casualità della morte del protagonista odiato è appunto, ancora una y,oJ-. ta, la mimesi del caos e quindi del caso, entro cui tutto quello che oggi avviene è precipitato. Vorrei aggiungere soltanto un piccolissimo rilievo in senso, stretto sulla lingua, una lingua chiara, omogenea, da comunicazione di massa in prima apparenza, e invece sostanzialmente tutta mossa: è come una superficie d'acqua che sembra piana ma invece è piena di refoli, è piena di correnti, di risucchi sotterranei. Francesco Leonetti. Aggiungo brevemente quanto segue. Certo che ho voluto mettere in evidenza questo fondo di eticità, senza il quale secondo me effettivamente il libro nel suo embrione non si spiega. Detto questo, si può invece esaminare tutta la sua composizione, così come ha fatto Spinella. E alla fine aggiungerei che il dettaglio inventivo finale della piccola apertura nell'automobile da cui è possibile ferire mortalmente e uccidere questo infame personaggio mi sembra un'invenzione di estrema acutezza, su ciò che nella tradizione di sinistra chiamiamo «interstiziale», cioè minimale: contro il potere si può agire solo attraverso questi minimi interstizi. Così come è molto bella l'invenzione che ci sia la pura contemporaneità della morte quando il libro è come se fosse sicuramente già finito e quindi il libro è fabuloso, è semplicemente fabuloso, però c'è la contemporaneità di una morte. E quindi l'eticità è soddisfatta così come il discorso indiretto è dominante. Maria Corti. Io vorrei fare due brevissimi commenti a quanto hanno detto gli amici. La nozione di «straniamento» o «estraniazione» a cui ha accennato Spinella è veramente una delle cose più importanti in tutta l'opera di Malerba e a questa io legherei anche il fatto che quel secondo ingegnere che dà tanto fastidio a Porta, in ,sostanza è il primo ingegnere, perché· nelle ultime cento pagine del libro si capisce che il chiosatore è, con tutta probabilità, l'autore stesso. Allora se entriamo in quest'ottica dell'ambiguità, non poteva che far l'ingegnere - primo. E, secondo,. ci sono queste cosiddette digressioni\ su cui si sono soffermati tutti i recensori. • Per me sono addirittura -la cosa più bella del libro,. quei discorsi sull'anima, sui pipistrelli, sul riso, sul vuoto: insomma, questo libro è una specie di Bouvard et Pécuchet in chiave moderna; c'è qualcosa di veramente flaubertiano, ed è ciò che in genere manca nella narrativa italiana contemporanea. Antonio Porta. Sono d'accordo che certe digressi0ni sono funzionali al romanzo. Altre di tipo storico-informativo possono essere giustificate da quello che ha detto Mario Spinella, ma perché «raddoppiare» la non-cultura di massa? Per quanto riguarda il secondo ingegnere (che ovviamente si scopre essere il primo e poi si scopre che tutti e due, in fondo, sono l'autore) perché a me - come dice Maria Corti - dà fastidio questo

eccesso di ingegneri? Perché forse io mi aspetto, oggi, da uno scrittore e da un romanziere, una strategia diversa di esposizione, una strategia - che è anche di tipo tecnico, evidentemente - tale che possa mettere di più l'autore allo scoperto. Voglio dire: veniamo da un secolo in cui tutte le strutture narrative sono state provate, riprovate e rovesciate, e credo che sia arrivato il momento - e forse è Francesco Leonetti. Una volta, nel 1960, tenevo una rubrica di critica di poesie in «Paragone», consultando talora Longhi stesso; era titolata da me Un'analisi semantica. Da certe espressioni dei testi prese come «campioni» - nel senso di Auerbach - tracciavo la serie di scelte a tutti i livelli, linguistico e della composizione, e dell'atteggiamento etico-concettuale. Come si era letto nel gran libro di Galvano ... Oggi risulterebbe inammissibile un simile procedimento. Per esempio, Volponi è un autore di straordinarie «rime», ciò non vuole però dire le poesie sue, ma, tecnicamente, le rime; non emerge da qui, come da una tensione iterativa e dissolvente, l'ira sua propria di Volponi verso la babele produttiva ... Dovrebbe a mio giudizio emergere; dovrebbe potersi desumere dal testo. Oggi invece si tende a non inferire niente dalla superficie linguistica, a causa di una assolutizzazione del linguaggio da cui si deve sempre partire. Come ora, invece, far derivare dalla giusta constatazione della scrittura per «lasse narrative» dell'ultimo Balestrini la sua fiaccola puntata in un buco delle grate? Tento di r_agionare così: poiché tutte queste passioni contorte, poi represse, poi soffocate stanno sul cuore, con la bocca muta, da molti anni, hanno preso a poco a poco un'esigenza di canto, però preciso, un'esigenza di ritmo come lungo grido corale. Si è attestata così la materia della rivolta dal basso e della straordinaria comunità che si sprigiona sempre nelle lotte di base. Così Balestrini è giunto a una narrazione lirica come quelle di Vittorini resistenziale, con un suo manierismo forte. Accade che questa stilizzazione attentissima nel timbro e nella scansione viene a dare un distacco limpido tra la materia violenta e la voce. Ciò esalta la voce. E mentre oggi cresce, come' dice Rossanda, «la quantità dell'invisibile», ciò che i media non mostrano (ne «Il manifesto», 12 febbraio 1987), alla fine del suo testo Balestrini è «in vigile attesa» ... E noi pure. Effettivamente il «come è» di -Balestrini ci accresce, ci rende vigili nel mondo, ci dà un più di intensità. Antonio Porta. Voglio premettere che il romanzo di Balestrini • Gli invisibili pone alcuni problemi notevoli dal punto di vista critico che non mi sento di risolvere a una settimana dalla sua lettura. Posso constatare che in questo romanzo Balestrini ha portato a livelli straordinari quella ché viene definita unanimemente una «lassa narrativa», cioè una strofa lunga, senza punteggiatura, che ha maturato in lunghi anni. Rispetto, per esempio, a Vogliamo tutto, qui c'è una tensione molto superiore: e questo è stato rilevato anche dalla critica. Vi è un certo processo di matuquesto quello che mi aspettavo da quest'opera di Malerba - in cui l'autore deve rischiare tutto se stesso. Lo sottolineo proprio perché un terzo di questo romanzo va in quella direzione. Ho letto tutta l'opera di Malerba, e posso dire che mai come in quest'opera è stato vicino a rivelarsi. Il mio rammarico sta qui: che non è riuscito ad arrivare fino in fondo - proprio sul piano strutturale - ad una possibirazione di una prosa che nasce indubbiamente dall'école du regard, cioè da Robbe-Grillet sostanzialmente, e lo si vede e lo si può notare in molte insistenze di particolari, di annotazioni che sembrano minime e che invece assumono una grossa importanza nel ritmo della narrazione. Ci sono però dei momenti, ed è questo secondo me il nodo critico da risolvere, che richiamano nettamente quelli che sono stati i rischi del neorealismo. E non mi pare un caso che Leonetti abbia nominato, secondo me molto acutamente, Vittorini. Voglio dire: i rischi e le cadute nel neorealismo si sono verificati quando un certo eccessivo livello di esteticità si è sovrapposto a una materia politicamente «calda». Il neorealismo non è stato affatto una forma di realis-moma una tensione stilistica. E questa tensione stilistica è caduta proprio là dove ha peccato, diciamo, di un eccesso di letteratura. Questo è il rischio che mi sembra corre anche Balestrini. Alfredo Giuliani ha parlato acutamente di «formalismo», Leo netti dice «manierismo». Questo è il nodo critico: ed è curioso che la prosa, diciamo neosperimentale, arrivata alla sua maturazione, si ricongiunga allo sperimentalismo che è stato proprio di Vittorini e del neorealismo. Da questo nodo critico deriva però un certo fastidio, almeno a me, per certi passaggi ironico-politici-giocosi, come se il movimento degli anni settanta, fosse stato una sorta di gioco, di messa in scena, di sceneggiata; si inciampa molto spesso nelle parole «gioco», «film», «sceneggiata», «ruolo», «spettacolo», ecc., perfino un «giocare coi carabinieri», che mi ha molto colpito. Il romanzo non pone più problemi, ma diventa straordinario e decisamente epico, in tutta la parte carceraria. Qui scompaiono tutti gli aloni ironico-giocosi, tutti gli ammiccamenti di tipo letterario, e il romanzo trova il suo vero €orpo e diventa perfino commovente. Mario Spinella. «Commovente>> ha detto Porta a conclusione del suo intervento, e debbo dire che questa è la parola che mi rumina da quando ho letto attentamente Gli invisibili di Nanni Balestrini. Una parola verso la quale sono diffidente: io sono per una critica fredda, gelida, scientifica se possibile. Ma lità di rivelazione anche sul piano etico. Per cui anche questa figura del grande nemico politico, che poi non è nemico dell'autore de Il pianeta azzurro ma è nemico di tutta la nostra società, non riesce a diventare, come dire, allegorica o simbolica. Mario Spinella. Voglio anch'io riprendere due brevi osservazioni di Leonetti e di Maria Corti in partipotrei dire di questo libro. Intanto sulla questione delle «lasse narrative». È un'espressione che, perm:ettetemi di dirlo, ho adoperato fra i primi certamente, proprio nel 1971, recensendo su «Rinascita» Vogliamo tutto, e già allora alludevo, sia pure indirettamente, ad un modello che a me sembra presente in Nanni Baiestrini (può darsi che sia solo un'illazionedall'esterno ). Vale a dire il grande modello delle lasse narrative, cioè il grande modello della Chanson de Roland, il grande poema ·in lasse narrative della storia della letteratura. E un altro tipo di affinità ricongiunge Vogliamo tutto, certamente inferiore come resa a Gli invisibili stessi. Voglio dire: la Chanson de Roland, Vogliamo tutto e Gli invisibili hanno un punto in comune, fanno la storia di una battaglia audace, piena di speranze, e di una sconfitta totale, di una Roncisvalle, fanno la storia di una Roncisvalle che però nulla toglie, e qui mi sembra la forza del libro, alla spinta vitale che ha mosso gli eroi della sconfitta di Roncisvalle, gli eroi della sconfitta di Vogliamo tutto, gli eroi della sconfitta del movimento che è qui rappresentato. Non è in questo caso confesso che a que-~."' sto desiderio di bisturi si è sovrap- 4, ,"/I. posta una comunicazione di ti- ~ ?..-::.:..· po emotivo e ciò rende pro- ff2.,~-::=.~, babilmente meno probante/ j/ ( - più ipotetico, quel poco che I-" V colare, sulle quali concordo perfettamente: il valore, il significato appunto di azione «interstiz~ale» del finale dell'opera che precisa quanto volevo alludere, detto molto bene da Leonetti. E anche quello che diceva Maria Corti proprio su questa ruminazione intorno a temi grandi o piccoli che siano, alla Bouvard e Pécuchet. Perché trovo che il libro - come molti libri che hanno al fondo una voquindi casuale, sono d'accordo con Porta, che i momenti più alti sono i momenti del massacro, del~ la prigione, del massacro di Roncisvalle, appunto. Dove cioè a un certo momento l'uomo, tutto l'uomo, con i nervi, con il cervello, con il sentire, il patire, il soffrire, viene messo in primo piano, viene esposto, viene denudato. Ecco, questa «denudazione» fa sì che il titolo Gli invisibili viene ad acquisire, a mio parere, una doppia valenza: da un lato quella - giustamente, felicemente, con la sua capacità, sottolineata da Rossana Rossanda - vale a dire, appunto, del «ciò che si tende a mettere da parte». Ma dall'altro lato una valenza successiva, che è invisibile più in generale, nel tipo di società contro cui fa polemica il libro - apertissima, non ha bisogno di essere ulteriormente dichiarata - è invisibile il sentire, il patire, il pathos. Balestrini lo riporta alla ribalta anche attraverso metafore violente, drammaticlie, che tutte insieme, coerentemente, si includono nella fondamentale metafora di una società ove tutto ciò che non è in superficie, in realtà, si fa «invisibile». Cesare Pavese ©David Levine (1968) Courtesy Studio Marconi Omar Calabrese. Voglio premettere due cose. La prima che naturalmente non sono un critico letterario professionista, quindi la mia frequentazione della letteratura è così discontinua che non posso permettermi di dare dei giudizi letterari. Il secondo è che probabilmente sono di letture e di gusti differenti da coloro che hanno frequentato interamente la letteratura italiana del dopoguerra, e questo vuol dire qualcosa a livello di approccio. Ciò detto, proseguo affermando che la mia premessa è una excusatio non petita che mi permette di dire perché questo libro mi è piaciuto a metà. Mi è piaciuto a metà perché ho trovato che sia una specie di grande «incompiuta». Da un lato è un'«incompiuta» sul piano stilistico, perché trovo ci sia la tendenza curiosa a trasformare la in prosa. Dall'altro è lontà etica, come è stato detto giustamente - va letto nella sua chiave grottesca e amara insieme, ove ·1'amarezza nasce dal fatto che non si può che parlare in modo grottesco di questa realtà grottesca e degradata. Quindi secondo me il taglio dell'opera corrisponde proprio a questa vis etica delusa, contorta, perché delusi e contorti sono gli stati d'animo di molti qi coloro che vivono oggi. un'«incompiuta» sul piano contenutistico perché c'è la tendenza a trasferire la saggistica in letteratura. Le due operazioni sono entrambe possibili, ma, fatte insieme, mi lasciano in mezzo al guado. Per esempio: trovo mirabili· certi passi in cui davvero si sente una sperimentazione della parola spesso anche ardita - oppure, se non più ardita, perché certe cose Balestrini le faceva anche prima - diciamo più sofisticata e raffinata. Inoltre, trovo uno stridore con il passaggio brusco, in certi momenti, a una letteratura pedagogica, in presa diretta, in cui si tenta di dire, ma proprio dicendolo troppo esplicitamente, che cosa è successo di un movimento che è stato rimosso e che ha provocato una serie di conseguenze che tutti ben sappiamo. Strano quindi questo paradosso: l'operazione che è puntata sul linguaggio, che è molto sofisticata, degna del miglior Balestrini, è un'operazione di saggistica in letteratura che non direi neppure «neorealista». Come dice Porta, il neorealismo era infatti una corrente propriamente di stile. Suggerirei piuttosto il modello della letteratura popolare, con questa esasperata ricerca di emozioni, di un contatto diretto con il pubblico e anche con i protagonisti che hanno vissuto certe vicende. Detto questo, ho pertanto l'impressione che nonostante sia senz'altro un libro di grande valore, il libro di Balestrini sia, lui, «invisibile», perché la poesia fatta prosa oscura la trattazione della rimozione e la saggistica fatta letteratura oscura l'aspetto completo di fabulazione, di letteratura. Antonio Porta. Vorrei aggiungere rapidamente, a botta calda, che, di fatto, il neorealismo è caduto nello stesso equivoco. Allora qui succede che in alcuni passaggi Balestrini cade nella didascalia politica; in altri, invece, quando si dimentica che vuole spiegare qualcosa, che vuole fare un po' di cronaca del movimento e dire certe cose per giustificarne altre, solo allora riesce epico e rivela fino in fondo se stesso, funziona in toto. Ho l'impressione che il mio giudizio sia quello di Calabrese. Francesco Leonetti. Debbo dire - mentre rifletto sulle osservazioni degli amici nella nostra conversazione, e particolarmente mi hanno colpito come estremamente interessanti quelle di Mario Spinella - che pochi giorni fa, dopo aver ascoltato a teatro un'operazione "tc::s dei Magazzini, in cui interviene .5 anche Quadri a ridurre un testo ~ ~ beckettiano, ho trovato con molta " singolarità che il taglio rispetto al ~ ..... tessuto emozionale del quotidia- ~ no, assolutizzato nell'arco della vi- ·;;:: §- ta, che ho trovato in Beckett, assomiglia molto a Balestrini. An- ~ che se, certo, spesso è meno fran- i.: to e ha proprio un costrutto più ~ completo. Però questo depone, a ;! mio avviso, a favore di un'opera- ~

e i sono voluti cinque anni perché il testo di Mal visto mal detto fosse pubblicato in italiano ma, a giudicare dall'esito dell'impresa, il tempo trascorso non è stato messo a buon profitto e ci troviamo di fronte, ancora una volta, a un esempio della disinvoltura con la quale l'industria editoriale italiana affronta l'opera del grande scrittore irlandese. Pertanto gioverà mettere ulteriormente a fuoco alcune osservazioni che già abbiamo fatto, ancora su «Alfabeta», a proposito di altre traduzioni pubblicate nel nostro paese e talvolta accolte benignamente dalla criticapressapochista che sta dilagando nelle pagine «culturali» dei giornali. Mal visto mal detto è un testo denso, in alcuni punti enigmatico, sempre in bilico tra un registro narrativo e uno poetico, e tuttavia come altri testi.beckettiani, acquista lineamenti e implicazioni più precisi se viene letto alla luce di quanto Beckett ha scritto precedentemente. Disgraziatamente pochissimi, nel nostro paese, sembrano disposti a seguire questo percorso, obbligato per un traduttore, col risultato che un testo beckettiano corre facilmente il rischio di essere travisato, impoverito e perfino deturpato. Invano nelle quarte di copertina gli ascari editoriali distillano pistolotti tautologici per esorcizzare i problemi relativi all'interpretazione del testo: i meccanismi retorici messi a punto da Beckett non concedono tergiversazioni e i nodi vengono al pettine. Tanto per cominciare, è curiosa la tendenza dei traduttori italiani di Beckett a forzare inutilmente il testo anche là dove, nella sua scabra linearità, esso non pone problemi. Qui, per esempio, dove il francese dice «Pour ne pouvoir repartir» si traduce « Per il fatto di non poter» (p. 3), introducendo un nesso di casualità inesistente; analogamente, «Quindi votato prima» (p. 77) contiene un «quindi» piovuto dal cielo. Perché «assaporare» (per «connaftre») la felicità? Il testo francese a fronte è utile, naturalmente, ma, a parte il fatto che contiene troppi refusi (anche del genere «le bas» invece di «les bas»), nella fattispecie serve a rendersi presto conto che la traduzione è spesso lacunosa. A p. 15 manzione molto più scaltra di quella che possa essere apparentata al neorealismo, e naturalmente di quella che possa essere apparentata alla didascalia politica, che è materiale senza dubbio buttato nell'operazione, ammette l'operazione, vuol dirci, al di fuori di tutti i pregiudizi ideologici - di tutti però, non solo di quelli degli altri - vuol dirci con esattezza quello che è avvenuto nella sua carica esistenziale. Antonio Porta. Ho parlato prima di Alain Robbe-Grillet e avrei potuto dire anche Samuel Beckett, perché i due scrittori furono letti proprio nella seconda metà degli anni cinquanta da molti giovani come delle rivelazioni, proprio per le ragioni che ha detto Leonetti. Anch'io ho avuto la stessa impressione vedendo Com'è di Beckett, diciamo «tagliato» da Quadri per i Magazzini Criminali. Per questo tr) ho detto che ne Gli invisibili è ar- ~ rivata a maturazione una certa -~ prosa che si è rivelata in quegli ant::l.. r-.... ni. Quindi non solo neorealismo ~ come operazione di tipo estetico- -. ~ stilistico, ma anche l'altra che qui "- tenta di innestarsi. Questo impa- §, sto, secondo me, non riesce per- ~ fettamente. s:: ~ Omar Calabrese. L'osservazione i che ho fatto sul contenuto proba- ~ bilmente spiega anche l'indirizzo, Mallettomaltradal ca la frase «Immobili o che si allontanano»; a p. 21 «Si confonde e si annulla»; a p. 53 «Ma è meglio non fidarsi». Le lacune, gravi in un testo fatto di frasi brevi e soppesate, giustapposte senza virgole, sono una decina. Aldo Tagliaferri bloc» a p. 28 significa non «calma blocco», bensì «tranquillo masso». «Glas» non può essere tradotto cor civettuolo «scampanellio» (p. 81) e deve essere tradotto con «rintocco a morto»; (nel testo si parla anche di una tomba e il peressere intesa letteralmente, tenen- • do conto delle specifiche risonanze che essa ha o acquista nel lessico fondamentale dell'autore. Così, a p. 75, «noircir» va inteso alla lettera e non può essere tradotto con «scarabocchiare», dato che Deng, ®David Levine (1979), Courtesy Studio Marconi A volte una singola parola è tradotta senza tener conto del contesto. Per es. «Appréhender» (p. 16) significa «percepire» e non «arrestare», che è una diversa accezione dello stesso verbo. «Calme l'orientamento letterario di Balestrini. Preciso la mia analisi del contenuto. Il movimento del '77 - nato da prima ancora, per concludersi negli anni a cavallo del '77 - ha avuto, oserei dire, due facce sostanziali, in Italia. La prima è quella più dura, che fa sua un'eredità politica molto precisa di impegno, sia pure esasperato o malinteso; e ce n'è un'altra più giocosa, e che usa l'ironia contro la società: «Sarà un risotto che vi seppellirà», per dirla con uno slogan famoso. Ora, Balestrini tenta di rappresentarle tutte e d_ue.Infatti, come è già stato notato, c'è spesso il riferimento all'aspetto del gioco, «giochiamo con i carabinieri», ecc. Ma proprio il riferimento a quella parte là, a Balestrini non gli viene tanto bene, mentre gli viene perfettamente il riferimento all'area drammatica e tragica del movimento. Ma questo, in realtà, ha un riflesso o, meglio, rispecchia qualcosa che avviene nelle scelte letterarie di Balestrini, che infatti non intende affatto la letteratura come gioco, ma intende piuttosto la letteratura come impegno, sia pure passata magari attraverso l'avanguardia e la sperimentazione. Quindi questo la dice anche lunga su come collocare il romanzo di Nanni, che questa parte di ironia sulla società, secondo me, non la fa sua. Forse per questo il romansonaggio femminile intorno al quale si dipana il testo è in lutto); nella stessa pagina, «soudain», tradotto con «nuovamente», è invece «improvvisamente». Altre volte la parola dovrebbe zo non riesce a piacere completamente a uno come me che magari invece ha preferito, ha abbracciato il movimento del «non prendersi sul serio», dell'ironia e autoironia sociali. Mario Spinella. Solo due parole che mi sono state suggerite dagli mette in gioco, ancora una volta, quel gioco dialettico tra bianco e nero che, dalla trilogia in poi, riaffiora periodicamente nei testi beckettiani e diyenta addirittura assillante in Mal visto mal detto ultimi interventi: un paragone, un paragone approssimativo. Io sono marxista e amo molto il marxismo di Ernst Bloch. Nel marxismo Bloch divide due linee, la linea fredda e la linea calda. Beckett, e dico Beckett più ancora che l'école du regard, le cui affinità sono evidenti, è un grandissimo Tiziano ®David Levine (1970) Courtesy Studio Marconi :' .,, ~"".'.'_... -,...,. ' I • 'i. ~ ~... .. ' ~ («Rien que noir et blanc»). Sempre a proposito della necessità di conoscere i fondamenti della poetica beckettiana, e in particolare la coincidentia oppositorum di ascendenza cusaniana, troviamo qui un esempio molto geniale e tipicamente beckettiano: « La folle du logis s'en donne à coeur chagrin» (p. 18). La traduzione, grottesca, dice: «La demente dell'abituro si affligge», mentre dovrebbe ovviamente essere «L'immaginazione si dà alla pazza melanconia». Vale anche la pena di esemplificare due perniciose tendenze che sembrano sedurre più di un traduttore, e sulle quali ci eravamo brevemente intrattenuti occupandoci della traduzione italiana di Compagnia. La prima consiste nel tentativo di «abbellire» il linguaggio beckettiano immettendovi effetti sonori che in italiano sono particolarmente invadenti: il lapidario «D'elle tenace trace» (p. 81) diventa «Di lei tenace tracciapiacca o non piaccia» (per creare, presumiamo, una goffa assonanza, di cui si farebbe volentieri a meno, con «faccia»). La seconda consiste nel rendere penosamente aggrovigliate frasi che nell'originale erano limpide, mettendo (inutilmente) a dura prova la pazienza del lettore. «Ce meme sourire établi [es yeux grands ouverts n'est plus ceux-ci fermés le meme» (p. 66) è stato tradotto: «Quello stesso sorriso invariabile con gli occhi spalancati non è più e questi chiusi idem». Basterebbe una tranquilla traduzione letterale: «Quello stesso sorriso accertato·con occhi spalancati non è più con questi chiusi lo stesso». È nostra convinzione che Beckett stia diventando, col passare degli anni, e certamente malgré lui, una specie di sonda lanciata verso i centri nevralgici della cultura istituzionale italiana (la cosiddetta critica militante, l'accademia, l'editoria.. .), sulle cui miserie inesorabilmente ci ragguaglia. Se, come pare, qualcuno sta già progettando l'edizione italiana dell'opera omnia beckettiana, se ne vedranno delle belle. Samuel Beckett Mal visto mal detto Tr. it. di Renzo Guidieri Torino, Einaudi, 1986 pp. 84, lire 8.500 artista ed è, a mio parere, lo scrittore il quale, attraverso la linea fredda, delucida la contemporaneità. Balestrini si muove sulla linea calda che, come tutte le linee calde, è rischiosa e ha qualche cosa a che vedere, in questo sono d'accordo con Porta, con talune premesse, sentimentali più che teoretiche, del neorealismo. Per_ cui quando il caldo non è sufficiente, si può forse anche leggere qualche caduta, però gran parte, direi il tono generale, del libro, è proprio incandescente, cioè è caldo fino in fondo. Ed è proprio questo - come diceva Bloch, per esempio, studiando la rivolta dei contadini tedeschi, la rivolta di Thomas Miintzer - che ne costituisce l'epicità. Francesco Leonetti. Nell'interesse verso Bloch e nel voluto, da parte mia come di altri, non-riferimento alla problematicità del movimento, perché deve essere dedotta dal libro, non può essere presa a sé, debbo fare una piccolissima osservazione: Beckett, nel Com'è, non è uno scrittore freddo, assolutamente, prima cosa. Seconda cosa: direi che ho fatto riferimento a Beckett per la radicalità della situazione umana, quindi in questo senso ho preso il testo di Balestrini.

Ungiocod~!Giappone I ndegnamente io, all'inizio dello scorso maggio, proprio nei giorni dell'incidente di Chernobyl, sono stata invitata, unica ospite occidentale, ·a una seduta di poesia per la quale si erano riuniti nove celebri scrittori giapponesi, cinque uomini e quattro donne. La scena era una bella.villa dietro le Terme di Caracalla, in una zona romana tipica. La villa era circondata da siepi e prato con fiori, glicini, zagare, rose, ireos, pitosphori, colori e profumi. Non vorrei che la memoria mi eccedesse, facendomi citare fiori di diverse stagioni sbocciati insieme: un'eresia per i giapponesi che in ogni lettera o poema o comunque pagina scritta devono indicare la stagione in carica, usando una parola chiave per lo più convenuta, proprio perché si sappia in quale tempo e atmosfera collocare sia gli avvenimenti sia le immagini sia le emozioni, in una sintonia che sola può rivelare il vero significato del messaggio. Dentro la villa, un salone con le finestre sul giardino; nel salone un grande tavolo ovale da seduta di amministrazione, in legno di ciliegio; intorno al tavolo nove poeti giapponesi più una maestra di cerimonia del tè più, sempre indegnamente, io. L'occasione era la visita in Italia di nove famosi letterati: Uchida Sono, Tanaka Tomoko, Miyamoto Yutaka, Komasaki Shitei, Miyamoto Shugo, Fujisawa Takashi, Fujisawa Meiko, Sakamoto Mariko, Kanda Tomiko. La loro visita si festeggiava con una seduta di poesia, come di costume fra letterati cinesi e giapponesi. In Occidente può accadere, anzi accade comunemente, che la visita di un gruppo di letterati venga celebrata consumando poesia - ma la differenza fondamentale è che da noi, in occasioni simili, le poesie si delibano insieme leggendole, mentre in Oriente, non solo in Giappone, le poesie insieme si scrivono. Si scrivono sul momento, stando in un giardino oppure, se il tempo è inclemente o se fuori c'è il fallout atomico, riparandosi in una stanza aperta sul giardino. Come quella in cui noi ci trovavamo. Via via che si andava avanti nella composizione, mi rendevo conto _di quanto fosse spinto il fare insieme del loro scrivere. Ecco come si procedeva. Sono stati distribuiti a ognuno dei presenti due fogli a righe (naturalmente verticali), alcuni fogli bianchi, cinque striscioline di carta bianca. Il conduttore del gioco - che è sempre il leader del gruppo, il più celebre o il più anziano, in questo caso Miyamoto Yutaka - stabilisce che si scrivano cinque poesie a testa e se ne scelgano sette. Dato il via alla seduta, ognuno comincia a scrivere i propri cinque haiku sulle cinque strisce di carta. Da notare che nessuna poesia viene firmata. Finito di ·scrivere, ognuno consegna le proprie strisce al conduttore che le mischia accuratamente per poi redistribuirle, di nuovo cinque a testa, a caso: così ognuno si trova davanti cinque poemi non firmati, di cui non è in grado di individuare gli autori se non dalla calligrafia, nel caso che la conosca già, ma anche a questa eventualità si deve ovviare. A questo punto comincia la parte più interessante della partita. Ognuno copia sul primo foglio a righe le cinque poesie che trova sulle cinque strisce che ha ricevuto, poi passa il foglio al suo vicino di destra, ricevendone uno equivalente dal suo vicino di sinistra. Letto il foglio ricevuto, copia sulla pagina bianca le poesie che preferisce poi lo passa al suo vicino di destra: i fogli a righe continuano a passare e ogni volta vengono riportate sul foglio bianco le poesie scelte, finché il giro è completo. Adesso ognuno trova scritte sul proprio foglio bianco tutte le poesie che gli sono piaciute: ne ricava sette, quelle che gli sembrano più Elsa Morante ®David Levine (1985) Courtesy Studio Marconi ---- -----w-"- degne di essere segnalate, le copia sul secondo foglio a righe e le firma. I fogli firmati vengono consegnati al conduttore della gara che li legge uno dopo l'altro e legge anche la firma di chi ha operato la scelta. Colui che ha scritto per primo la poesia letta può inchinarsi e ringraziare, rivelando così la propria identità, oppure può restare in silenzio. Devo dire che ero irresistibilmente attratta, ero affascinata dai modi in cui si svolgeva la partita: dalla rapidità e dalla naturalezza con cui procedevano ·i nove letterati, senza interrompersi, senza pause, apparentemente senza riflettere, ma in realtà con una concentrazione assorta e gentile, facendo scivolare i pennelli tra le righe, passandosi i fogli con un moto circolare di gesti ripetuti, producendo un ritmo di scritture e di scambi ininterrotto e veloce. Praticavano la serietà di un vero lavoro e insieme la leggerezza di un gioco: una leggerezza di sguardi, sussurri, sorrisi, mani e volare di fogli. Concentrazione senza rigidità, serietà senza pesantezza. Si poteva pensare che qualsiasi cosa accadesse davanti a quelle finestre, l'apparizione di Amaterasu o l'esplosione atomica, nessuno avrebbe interrotto l'esercizio di copiare. E forse nessuno sarebbe stato colpito - o almeno così sembravano: irraggiungibili e intoccabili. Perché non stavano facendo soltanto della letteratura: «intenzionalmente senza intenzione», stavano sperimentando una ricostituzione del mondo che quel modo di fare poesia raffigurava. Quello che li avrebbe difesi da qualsiasi aggressione del disordine esterrio era la necessità di .seguire senza distrazione-e senza errori una formalizzazione poetica rispondente a regole metriche e retoriche severe: le sillabe contate 5/7/5, le cadenze, la parola di stagione, l'indizio dell'occasione, tutto faceva parte insopprimibile dell'esercizio. S i legge ne Il grande racconto della totale estinzione che i discepoli chiesero al Buddha morente quale fosse la cosa più importante da fare, il Maestro rispose: «Esercitate»; quando gli chiesero quale fosse la cosa più importante in cui esercitarsi, rispose: «Quella che state facendo». ~~ : " --. "' -~ ..... ·., ' Anche la poesia è esercizio del fare, l'ispirazione davvero non c'entra: è un certo modo di esercitare la mente e il kokoro (termine che indica un insieme di spirito e sensibilità e altro, e si scrive con lo stesso ideogramma di shin che unito a zo designa il cuore come organo fisico). Può darsi che, dopo il lavoro di composizione, le poesie in seguito vengano pubblicate, ma questo è un avvenimento del tutto estrinseco e poco interessante. Non si dimentichi che in Giappone gli antichi poeti erranti lasciavano appesi agli alberi dei foglietti su cui avevano scritto dei versi, come traccia deperibile del loro passaggio. A che cosa avevo realmente assistito durante quella gara di poesia? A una partita in cui tutti i partecipanti erano attivi alla pari, senza gerarchia di celebrante e profani, di autore che si espone e . di ascoltatori che ricevono e, se possono, giudicano. Durante quel gioco così cortese, la prosopopea dell'autore si era sbriciolata, scomposta, sparita, e l'opera era stata assimilata dal gruppo per successive appropriazioni, con uno scambio di parti verbali le cui aggregazioni, sottoposte a un progressivo processo di scelta, erano diventate cosa comune, firmate da nessuno e da tutti: le scelte come invenzioni reinventate, l'ultima legittima quanto la prima; una scelta che si accompagna a una scelta, niente altro. Mi era capitato, dunque, di assistere alla progressiva messa in evidenza dell'opera letteraria in sé, senza alcun legame con il suo iniziale inventore: chiunque, apponendovi una firma di avallo, la restituiva al comune potenziale poetico e con questo non solo esercitava la propria conoscenza ma anche si rafforzava della propria responsabilità. Un modo di procedere che certo non ha nulla a che fare con il sistema usato nei nostri concorsi, quello della busta nella busta, imposto per non inquinare un giudizio che si pretende oggettivo su un'opera che appartiene a un creatore onnipotente - mentre qui si tratta di un giudizio dichiaratamente soggettivo su un'opera di cui si è perduta l'attribuzione. L'opera è solo un fatto, un accadimento, un fenomeno su cui tutti si possono esercitare. Con qualche variante nella procedura, queste gare poetiche si fanno fra tre partecipanti o cento o mille. Ancora oggi, per il compleanno dell'Imperatore si fa in tutto il Giappone un'unica Kermesse di poesia, con la stessa partecipazione popolare che da noi ottiene la lotteria nazionale o il totocalcio. Ogni cittadino può mandare una poesia waka (14 sillabe più dello haiku) sul tema proposto dall'Imperatore stesso, che quest'anno è L'albero. I migliori saranno ammessi nel palazzo alla presenza dell'Imperatore per offrirgli la loro poesia, e non è cosa •da poco incontrare gli Dei: perché l'Imperatore non è il capo politico, ma resta sempre, checché ne dica il rescritto del 1 gennaio 1946, l'incarnazione vivente dello Spirito del Giappone. Ora·, lo scrittore giapponese Sono Uchida, che è anche Ambasciatore del suo governo presso la Santa Sede, vuole portare in Italia l'uso delle gare popolari di poesia. Lo ha già fatto in Africa, Senegal, e in America, Stati Uniti: in Africa la risposta è stata generosa, tanto che Sono Uchida ha potuto pubblicare una antologia di haiku africani, in appendice a un suo libro sulla poesia giapponese; sulla 'O <::s reazione degli americani non ho .:; notizie. (In Italia, il concorso, ~ Cl, sponsorizzato dalla Jal, la compar-.... gnia di volo giapponese, è già sta- ~ ...... to bandito. Come reagiranno gli ~ italiani? Risponderanno solo gli "'- §, scrittori professionisti o proprio gli scrittori non risponderanno? Non ~ so immaginare, ma sarà interes- ~ sante parlarne a cose fatte.) ~ .e ~ <::s

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