Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

Proseguiamo Larubrica aperta da Maria Corti nel n. 88 (settembre 1986), e che ha ospitato interventi di Aurelio Roncaglia, Cesare G. De Michelis, Mario Vegetti, Gian Carlo Alessio, Giuseppe Petronio, con questo scritto di Giuseppe Semerari, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica nell' Università di Bari. Il vero punto dolente Giuseppe Semerari Bisogna essere grati a Maria Corti per aver dato voce, con la nota Degrado accademico, al disagio morale e politico, che in molti di noi si è largamente e dolorosamente diffuso man mano che si sono conosciuti certi risultati dei recenti concorsi universitari a cattedra di prima fascia. Tali risultati hanno, purtroppo, confermato taluni difetti del vigente sistema concorsuale già chiaramente manifestati con la precedente tornata del 1981 (e, per qualche aspetto, anche con quella del 1975). C'è ora sufficiente esperienza perché sul nuovo mos dei concorsi universitari possano essere formulati giudizi misurati e appropriati, sottratti a immediate e momentanee reazioni emotive. In situazioni del genere, allorché si denunciano le pecche del «nuovo», si corre il rischio di passare, contro ogni proposito personale, per Laudatores temporis acti. Il fatto è che noi non vogliamo, in nessun modo, elogiare il passato e non ne sentiamo alcuna nostalgia. Anche il vecchio sistema non era immune da vizi, anch'esso si prestava a giochi non sempre immacolati, benché, per la verità, allora accadesse di rado quanto, negli ultimi tempi, è sovente accaduto, il chiedersi, cioè, gli esperti, a sentire i nomi di certi vincitori di cattedra: ma chi sono costoro? Nella più parte dei casi, col vecchio sistema, il «ternare» non era la invenzione improvvisa e gratuita di un «cattedratico»: era, piuttosto, la sanzione ufficiale e formalizzata di una posizione di notorietà e di prestigio culturali già acquisita. Il sistema nuovo ha aggravato i mali del vecchio e ne ha causati altri i cui effetti si rifletteranno, come ben dice la Corti, su più generazioni di studenti. E non sono da sottovalutare - aggiungerei - i guasti che ne vengono alla immagine, che di sé la Università italiana deve offrire al paese e all'estero. L'analisi molto precisa della Corti coglie il vero punto dolente della situazione: la lottizzazione. Una volta che si sia costituita la commissione, possono ritirarsi in buon ordine quei candidati, che, nella commissione, non abbiano chi direttamente li «rappresenti» e ne tuteli gli interessi (il loro «maestro» o persona su cui il «maestro» possa contare a occhi chiusi per motivi di amicizia- ma amicizia, si badi! aprova di bomba o di stretta lr) <::S affinità e solidarietà ideologiche). -5 Per essi, anche se molto titolati ~ scientificamente, non ci sono sper--.. ranze: verranno, senza pietà, sca- ~ valcati anche da chi ha meno titoli e scientifici (oggi è di moda mettere ~ <::S in cattedra candidati che, al mo- !:: mento, sono soltanto delle pro- ~ messe) e scarsa o nessuna espe1:! rienza didattica (mi hanno raccon- ~ tato di recente che un giovane, ;g_ inopinatamente innalzato alla cat- ~ tedra e del tutto estraneo alla Università fino alla conclusione del concorso, arrivato nella sede, che lo aveva chiamato, ha candidamente dichiarato di non sapere come si organizza un corso universitario, come si fanno le lezioni, quali e quanti testi vanno adottati, ecc.). Tutto ciò non va. Uno dei costi più duri dell'attuale sistema concorsuale sono le roventi umiliazioni inflitte a studiosi preparatissimi e didatticamente efficaci, costretti a uscire sconfitti dal concorso solo perché non inseriti o non inseribili nel giro delle lottizzazioni, mentre, all'incontro, i vincitori ai quali essi sono stati sacrificati non valgono affatto più di loro e non sono ciò di cui la Università non può assolutamente fare a meno. A questo punto, non ci si può limitare a constatare quello che non va e a raccogliere e presentare lo. La nuova legislazione universitaria ha stabilito un ordinamento della docenza, che è bi-articolata nella fascia degli ordinari e nella fascia degli associati, e il ruolo dei ricercatori, sopprimendo l'antico e iniquo precariato degli incaricati e degli assistenti volontari. Pur con tutto il rispetto, che si deve-avere per i ricercatori, soprattutto per quelli che lavorano seriamente, non può certo contarsi come evento positivo per la Università italiana il salto, che a non pochi ricercatori è stato fatto fare, negli ultimi concorsi, direttamente nel ruolo degli ordinari con lo scavalcamento del livello intermedio dell'associazione. La cosa è tanto più preoccupante e triste in quanto, per rendere possibile il salto dei ricercatori, sono state frustrate le legittime attese di associati aventi innegabili meriti (anzi, più meriti) sivi cambi di cattedra (e di raggruppamento: ma quando finirà il privilegio tutto baronale degli ordinari di mutare cattedra, quando e come vogliono?), con la fortuna, che non gli è mai venuta meno ai sorteggi, con la complicità del parere del Consiglio di Stato secondo il quale un raggruppamento diventa un altro raggruppamento allorché perde o acquista una nuova disciplina. Il dato decisivo, nel sistema attuale, non è il raggruppamento nella sua astratta formalità, ma la concretissima persona del commissario: come la storia recente dei concorsi sta a dimostrare, si può vincere la cattedra per una disciplina prevista dal raggruppamento X, anche se si abbiano titoli solo per il raggruppamento Y, purché in commissione ci sia chi faccia da «padrino». Ai «corsi e ricorsi» concorsuali di determinati Senza titolo, 1950, inchiostro su carta, 53,3 X 45, 7 cm cahiers de doléance. Occorre cercare di modificare la macchina concorsuale, riducendo o eliminando, alla radice, i presupposti della lottizzazione. A mio avviso, due vie sono alternativamente percorribili per venir fuori dalla insostenibile situazione presente. Con la prima via potrebbe essere mantenuto il sistema attuale, ma a determinate condizioni. Quali condizioni? Eccole: 1. ammissibilità ai concorsi di prima fascia soltanto per gli associati. La cattedra di prima fascia quale livello più elevato della docenza universitaria esige che chi vi concorre, e per la qualità e la quantità della ricerca scientifica già compiuta e per la esperienza didattica accumulata, dia, in linea di principio, precise garanzie di autolegittimazione per ascendere a tale livelscientifici e didattici. Se la progressione nella docenza universitaria non deve essere ridotta all'automatismo burocratico dall'avanzamento per mero diritto di anzianità, essa, nondimeno, non può essere configurata come trasgressione della gradualità del cursus honorum accademico, che è anche gradualità di tempi reali di maturazione scientifica, didattica e, perché no?, anche umana. 2. Divieto categorico per chi ha giudicato un concorso di candidarsi per qualsiasi concorso immediatamente successivo. La legislazione vigente limita il divieto ai concorsi che si facciano per il medesimo raggruppamento di discipline. Il che non ha impedito, negli ultimi dieci anni, ad alcuni ordinari di amministrare, quali commissari, più concorsi senza soluzione di continuità con l'astuzia dei succesordinari ha fatto riscontro, nelle tornate dal 1975 al 1985, la puntuale esclusione di altri ordinari che,. pur votati ampiamente dalle Facoltà, sono immancabilmente caduti ai sorteggi. 3. Dovere di scegliere tra l'uno o l'altro tipo di concorsi per quanti fossero chiamati contemporaneamente a far parte di commissioni per concorsi a cattedre di prima e di seconda fascia. La presenza del medesimo commissario anche nella commissione di associazione ha influenzato, in non lieve misura, le conclusioni degli ultimi concorsi per la prima fascia. 4. Impossibilità, per i candidati, di fare domanda per più di un concorso. Se si esige, per ragioni di professionalità, che si sia commissari soltanto nei concorsi relativi ai raggruppamenti, in cui è compresa la disciplina della quale si ha la titolarità, la stessa cosa, e per le stesse ragioni di professionalità, deve valere per i candidati. I candidati più seri, infatti, si presentano a un solo concorso, non si rendono giuridicamente disponibili per le collocazioni più disparate e anche improprie, che la logica della lottizzazione concorsuale può imporre. Questa la prima via. L'altra, alternativa, è ben più radicale e ad essa vanno, da sempre, le mie preferenze personali. Qual è? Allorquando una Facoltà ritiene che un suo associato sia meritevole di passare alla prima fascia di docenza, si fa istanza perché si costituisca una Commissione Nazionale di esperti, che dovrà pronunciarsi sulla idoneità dell'associato in questione a passare al livello degli ordinari. La Commissione giudicherà quella persona soltanto nel suo merito scientifico, senza valutazioni comparative (che, nella pratica attuale, sovente sono fasulle, realizzandosi come arbitrarie aggiunzioni di meriti ai candidati che devono comunque vincere e in altrettante arbitrarie sottrazioni di meriti ai candidati che devono comunque non vincere), fuori, infine da ogni gioco di lottizzazione, che è sempre un gioco fatto di intrighi, intimidazioni, ricatti, ecc. Il giudizio ·deve riguardare il singolo candidato proposto dalla Facoltà e non altri. Si tratterebbe, insomma, di applicare ai concorsi di prima fascia la formula che presiede, oggi, ai passaggi da straordinario a ordinario. Si tratterebbe anche .di allargare il campo dell'autonomia delle Università presentemente ristretta al solo ambito amministrativo. Mettendo la richiesta delle Facoltà al centro della prassi concorsuale, si toglierebbe di mezzo l'altra bruttura della più recente storia della Università italiana, che è la costituzione, di fatto, di un rapporto di natura «feudale» tra le «grandi» (o presunte tali) e le «piccole» (o presunte tali) Università, onde I «piccole» devono chiedere i concorsi per consentire la sistemazione di studiosi, che si sono formati e lavorano nelle «grandi», che, dalla loro parte, non chiedono mai o quasi mai concorsi. Quali siano gli effetti di tale rapporto, è sotto gli occhi di tutti. I candidati delle Università «piccole», tranne infrequenti eccezioni, vengono «bruciati», i vincitori- i candidati delle «grandi» Università - si fermano nelle sedi «piccole» il tempo strettamente necessario perché nella «grande» sede-madre nasca il posto anche per loro, non si adattano a prendere la residenza nella sede, che pure li ha chiamati, fanno i pendolari, procurandosi, così, l'alibi per dare un apporto di non grosso impegno all'attività generale della Facoltà, che li ospita, quando addirittura non la disertino con la pratica dei congedi per motivi di studio. Il rapporto, breve nella durata e non intenso nei contenuti e nelle forme, di tali professori con le «piccole» Università non consente la formazione e/o la valorizzazione dei vivai scientifici locali: le «piccole» Università vengono condannate a restare permanentemente tali, gerarchicamente subordinate alle «grandi», luoghi di interlocutorio collocamento della ~suberante «mano d'opera» delle «grandi» e niente di più.

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