Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

zato in profondità il de Man di La retorica della cecità, cita, a proposito della temporalità dell'allegoria, Creuzer: «Là [nel simbolo] c'è una totalità momentanea; qui (nell'allegoria] un progresso lungo una serie di momenti» (Benjamin 1963, p. 173); quello presuppone un rapporto di intrinsechezza con un assoluto, questa la miseria dello scarto e della contingenza, la successione storica. In Il dramma barocco tedesco anche Benjamin lega strettamente l'allegoria al mondano, al finito, alla morte: alla temporalità storica: «Sotto la decisiva categoria del tempo [... ] è possibile cogliere in profondità e con una formula il rapporto tra simbolo e allegoria. Mentre nel simbolo, con la trasformazione della caducità, fuggevolmente si rivela il volto trasfigurato della natura nella luce della redenzione; nell'allegoria si propone agli occhi dell'osservatore la facies hippocratica della storia come un pietrificato paesaggio primevo. La storia in tutto quanto ha, fin dall'inizio, di inopportuno, di doloroso, di sbagliato, si configura in un volto - anzi: nel teschio di un morto» (p. 174). Così definendo l'allegoria, è chiaro che Benjamin non intende affatto designare soltanto una figura retorica. Il suo obiettivo è più generale, dato che egli concorda con Schopenhauer nel ritenere che l'allegoria «non si distingue sostanzialmente dalla scrittura»: «L'allegoria non è una tecnica giocosa per produrre immagini, bensì espressione, così com'è espressione il linguaggio, e, anzi: la scrittura. Proprio qui cadeva l'experimentum crucis. Appunto la scrittura apparve prima di tutti gli altri come un sistema convenzionale di segni» (p. 170; ma, almeno per la prima fase, converrà .citare anche il testo tedesco: <<Allegorie ist nicht spielerische Bilderte- . chnik, sondern Ausdruck, so wie Sprache Ausdruck ist, ja so wie Schrift»). Benjamin afferma non solo il carattere scritturale dell'allegoria ( «Schrift charakter der Allegorie»), ma il carattere allegorico della scrittura, essendo questo un sistema convenzionale di segni senza alcuna organica relazione col loro significato. La scrittura è dunque intrinsecamente duplice, contraddittoria: da un lato deve indicare un contenuto reale ed è perciò legata all'oggettività della referenzialità; dall'altro si fonda su una convenzione che è arbitraria e soggettiva. Essa è sempre referenziale e sempre allegorica in una contraddizione insanabile ma anche in una correlazione strettissima da cui è impossibile prescindere. Per questo, come vedremo (cfr. V, pp. 12-14), «contenuto ·di realtà» e «contenuto di verità»·sono per Benjamin le due facce diverse, ma interdipendenti, del processo interpretativo. Inoltre, seguendo ancora Benjamin, l'intenzione allegorica «è di genere dialettico», ha a che fare con_ l' « Urgeschichte des Bedeutens», con la storia dell'origine del significare: «Quell'ampiezza mondana, storica, che Gòrres e Creuze attribuiscono all'intenzione allegorica, in quanto storia naturale, in quanto storia della origine del significare o dell'intenzione, è di genere dialettico» (p. 174). Il carattere· dialettico e storico dell'allegoria come della scrittura è d'altronde confermato dalla convenzionalità dei significati che vengono attribuiti all'una e all'altra: questa convenzionalità, infatti, chiama in causa un'arbitrarietà non individuale ma sociale, uno statuto collettivo che fonda la leggibilità dei significati e dunque la loro validità intersoggettiva e che quindi trasforma l'iniziale arbitrarietà in legittimità relativa e storicamente determinata. D'altra parte, assegnare un significato, insediare il sapere nelle opere morte (come dice Benjamin), non vuole dire affatto cedere a una contingenza psicologica; è compiere un atto per niente accidentale, ma - avverte ancora Benjamin - «ontologico», nel s~nso che la dipendenza dell'allegoria dall'allegorico ( «der Allegoriker») va posta in relazione non con l'arbitrio individuale di un singolo ma con la condizione stessa dell'uomo, con la sua storicità e temporalità: «Se sotto lo sguardo della melanconia l'oggetto diventa allegorico, se da esso la vita può defluire, se rimane lì come un oggetto morto ma garantito per l'eternità, per l'allegorico esso è lì, consegnato alla sua discrezione. Il che vuol dire che a partire da questo momento esso è per sempre incapace di irradiare un significato, un senso; come significato gli compete ciò che l'allegorico gli assegna. Questi glielo pone dentro e più in profondo: lo stato di cose non è, qui, psicologico bensì ontologico. In mano sua, la cosa diventa un'altra, e così parla di qualcosa d'altro, che diventa per lui la chiave al regno di un nascosto sapere, di cui egli lo considera emblema» (p. 195). Se l'allegoria è illeggibile per de Man che la considera dal punto di vista assoluto di un'astratta epistemologia, così non è per Benjamin, che tiene presente invece sia la convenzionalità che la fonda, sia l'atto di responsabilità storica implicito nell'attribuzione del significato e del giudizio. La finitezza e la mondanità dell'allegoria implicano anche la sua leggibilità. Q uesto scritto è parte di un saggio che uscirà nella rivista «L'ombra d'Argo» nel fascicolo speciale di maggio, fra altri contributi, con valore preparatorio rispetto al convegno internazionale «Sull'interpretazirine - Ermeneutica e testo letterario» previsto ne~'Università di Siena il 2I-23 maggio 1987. Abbiamo dato, d'accordo con l'autore, nella sezione A il paragrafo I e nella sezione B il paragrafo IV del saggio (a cui seguono altri due paragrafi teorici). Diamo inoltre, nella nota seguente, compilata con brevissimi estratti dai paragrafi II e III (Il dibattito in Italia), alcune indicazioni utili sulla discussione italiana, intrecciata con quella internazionale; e diamo infine i riferimenti bibliografici. Nota: indicazioni relative ad alcuni teorici italiani Una articolazione non molto diversa del dibattito teorico è presente in Italia, anzitutto nei due poli, che si contrappongono, dei difensori del «senso soprattutto «dove il calcolo della tessitura sonora si effettua in totale indipendenza dai contenuti su c.uisi appoggia»: «si dà, lì, in tutta la sua purezza, vale a dire in tutta la sua forza di non assimilabilità ai significati (o ai concetti) inerenti all'ordine del discorso». [ ... ] Tuttavia Eco e Agosti rappresentano le versioni opposte di una pura semiosi che in entrambi considera i segni meri nomi e tende ad escludere o a limitare l'elemento referenziale e pragmatico del discorso, ma che privilegia, delle due facce del segno, l'una il retto del significato letterale, l'altra il verso del significante. Per ragioni diverse, semantica e interpretazione restano ancora una volta separate. [... ] «L'ermeneutica potrebbe essere la semiologia del testo letterario»: con questa ipotesi Segre (1986, p. 12) sembra voler superare la distanza, fra semantica e interpretazione. D'altronde, da vent'anni appare coerentemente e rigorosamente impegnato a colmare il divario fra descrizione e interpretazione che è stato l'impasse più rilevante della critica strutturalistica e poi semiologica. Ha pertanto proceduto coraggiosamente verso una storicizzazione tanto della struttura dell'opera, considerata nella sua capacità di inglobare il contesto culturale e storico, quanto della sua «riattualizzazione» attraverso la valutazione della «azione semiologica» di un testo dal punto di vista della sua potenzialità comunicativa. Il punto in discussione riguarda i modi e anche l'ampiezza di tale storicizzazione, e chiama direttamente in causa il rapporto fra semiologia e storicità della semantica (o, se si vuole, fra semiologia e semantica, tout court). Se infatti la semiologia non può fare i conti fino in fondo con questa storicità, fra semantica ed ermeneutica semiologica tornerà a insinuarsi il vuoto di una scissione che renderà precaria l'identificaHorizontal II, 1952, 196,2 x 254 cm (Abstract Painting) Con questo atto di attribuzione nascono il sapere e il giudizio (anzi questo sapere «è l'origine di ogni concezione allegorica», p. 255); con esso si ripete, ogni volta, l'azione originaria del significare, la quale si inserisce nella catena delle conoscenze e contribuisce al loro cumulo. n· brano sopra citato così continua: «È questo che costituisce il carattere scritturale dell'allegoria. Essa è uno schema, e in quanto è questo schema è anche oggetto del sapere, non più possibile di essere perduto in quanto fissato: immagine fissata e segno fissante a un tempo» (p. 195). «Immagine fissata e segno fissante a un tempo», la sctittu~a-allegoria è oggettiva e soggettiva, passiva e attiva, contenuto effettuale che può essere immagazzinato nelle «gigantesche biblioteche» che costituiscono «l'ideale barocco del sapere», e contenuto di verità, e dunque contenuto effettuale che può diventare contenuto di verità. Non è questo un mogello di funzionamento per il linguaggio all'interno della marxiana pratica sociale in cui l'individuo e i suoi prodotti sono visti come «un insieme di rapporti»? letterale» - e del primato della semantica - da un lato, e, dall'altro, dei seguaci della supremazia del significante, a scapito del «senso» e del «Discorso» visti - derridianamente e lacanianamente - come il luogo dell'imperialismo del Logos e della inautenticità dell'ideologia. La prima è la posizione di Eco (a cui si deve, appunto, una brillante e condivisibile «difesa del senso letterale», in polemica contro il relativismo neoermeneutico e la deriva decostruzionistica); la seconda, di Agosti. Per Eco, l'interpretazione ha da essere una funzione interna al testo, dal testo prevista e, si direbbe, organizzata: «Un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo» (Eco 1979, p. 54). [... ] La semiosi di Agosti - a differenza di quella di Eco - decreta la sconfitta di qualsivoglia possibile semantica. Il linguaggio poetico viene resecato, e salvato, da quello «ordinario» della produzione sociale di significato e romanticamente promosso a oasi incontaminata e a luogo della trasgressione innocente (perché non coinvolta con· l'ordine trasgredito). La struttura semantica servirebbe «solo» (sic!) a garantire la leggibilità dello scarto. L'ordine della semantica, impregnato di ideologia e di razionalità, sarebbe «solo» un «supporto», necessario ma del tutto secondario: non - si badi - un elemento di contraddizione ma, appunto, un mero «supporto» (Agosti 1982, p. 180) su cui il testo poetico «si appoggia» (p. 190) come un corpo estraneo senza restarne minimamente inquinato: il «messaggio formale» si dà zione fra ermeneutica e semiologia. La questione è affrontata con grande chiarezza da Ricoeur (1972), il quale sottolinea la differenza costitutiva di semiologia e semantica. Mentre la semiologia tende a rinserrare la parola nell'universo chiuso del linguaggio (secondo il principio hjelmsleviano per cui la struttura è «un'entità autonoma di dipendenze interne»), la semantica è la «scienza dell'uso» e per.questo le pertiene la polisemia; mentre la prima è la scienza dei segni all'interno di sistemi, la seconda rinvia alla realtà storica del- !' «avvenimento» e dell'extra-linguistico e dunque esige la concretezza dell'interpretazione e la dimensione dell'ermeneutica (giacché «in ogni disciplina ermeneutica l'interpretazione svolge il compito di cerniera fra il linguistico e il non linguistico, tra il linguaggio e l'esperienza vissuta», Ricoeur 1972, p. 80). [... ] Tra le varie caratteristiche che secondo Segre distinguono la letterarietà di un testo (come l'assenza di feedback e la creazione di modelli del mondo), una riguarda la natura peculiare del linguaggio letterario in cui prevarrebbe la funzione poetica, cioè «l'attenzione prestata alla forma del linguaggio», invece che «alle finalità in ordine all'emittenza o ai risultati da ottenere sul destinatario» (Segre 1986, p. 168). La critica più recente d'ispirazione marxista (Fortini, Brioschi, Sanguineti) tende a impostare in modo diverso l'intera questione. Così: «Se, con Jakobson, si dice che nel linguaggio articolato si possono distinguere varie funzioni e che quando l'attenzione privilegia, in un fatto di linguaggio, il linguaggio stesso, allora l'aspetto dominante di quel linguaggio è quello poetico, si può parlare di uso letterario del linguaggio. Se invece si dice che quell'attenzione è qualcosa che non solo si manifesta in determinate occorrenze ma ha come sede determinati istituti e momenti dell'esistenza sociale degli uomini, ne viene che la funzione poetico-letteraria del linguaggio non è dovuta ad una 'attenzione' individuale bensì ad una particolare fase storica dei rapporti sociali. Quest'ultima posizione è quella degli etnologi e degli studiosi di tipologia storica della cultura; ma anche, va da sé, della interpretazione marxista della storia dei rapporti sociali e del carattere 'sovrastrutturale' della letteratura» (Fortini 1979, p. 153). E Brioschi: «Non le proprietà dell'oggetto decidono a quale sistema simbolico va assegnato; bensì il sistema simbolico a cui lo assegnamo decide quali proprietà dell'oggetto hanno rilevanza» (Brioschi 1986, p. 99); e poi: «come un testo sacro, per essere tale, presuppone un sistema di credenze, così letterario è, prima del testo, il sistema di aspettative reciproche in cui gli interlocutori lo collocano. Le sue proprietà formali specifiche (ammesso che ce ne siano) sono non causa ma, semmai, conseguenza, sia dal punto di vista della creazione, sia dal punto di vista della fruizione, del· suo assegnamento all'istituzione letteraria» (p. 103). Dunque, sembrerebbe, stando a Brioschi, che noi giudichiamo letterario un testo solo perché prima lo abbiamo già assegnato al sistema simbolico del letterario. Già: ma perché noi assegnamo quel testo proprio a quel determinato sistema e non a un altro? La decisione dipende solo dagli «interlocutori» o meglio dal «sistema di aspettative reciproche» che si intreccia fra loro? Oppure, come sembrerebbe da precedenti lavori di Brioschi o dal recente contributo di Di Girolamo (d'altronde, suo strettissimo sodalis), in cui si propone di sostituire alla centralità del testo «la centralità della lettura e del momento ermeneutico» (Di Girolamo 1986, p. 16), a decidere sarebbero il momento della lettura e il punto di vista del pubblico? che dietro a siffatto relativismo non torni a spuntare il nichilismo, d'altronde inerente alla tradizione ermeneutica privilegiante l'ottica del lettore? Riferimenti bibliografici Agosti, S. - 1982 Cinque analisi. Il testo della poesia, Milano, Feltrinelli. Benjamin, W. - 1963 Ursprung des deutschen Trauerspiels, Frankfurt a. 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