Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

quest'ultimo terreno è, anch'esso, affatto benjaminiano e anzi, nel pensatore tedesco, in dialettico rapporto con quel sogno), egli finisce per restare prigioniero proprio di quell'orizzonte «essenzialistico» che vorrebbe contestare (il che è per lui persino paradossale), nonché della logica del simbolo che egli pure vorrebbe rifiutare. Se il vaso originario della «reine Sprache» non è mai esistito né mai esisterà, perché continuare a usarne il linguaggio e a parlare di «frammenti»? Il totale nichilismo di de Man non è che il rovescio del sogno romantico di una perduta totalità originaria, il risvolto nostalgico di una pienezza di cui ci si ostina a considerare le macerie: le quali tuttavia non possono non portare in sé la traccia simbolica dell'universale di cui sono state parte. La ricerca di de Man appare dunque esemplare del bivio a cui si trova di fronte, oggi, la ricerca teorica sul tema dell'interpretazione e del linguaggio. O consideriamo unicamente l'erranza perpetua del linguaggio e accettiamo d'andare alla deriva con lui, o la blocchiamo nel momento in cui essa si fissa nella comunicazione, incarnandosi in significati storici e nella loro relativa verità (cioè trasmettibilità, leggibilità, comprensibilità e infine interpretabilità). Beninteso, tale erranza non può essere mai del tutto annullata e resterà: sia, a parte obiecti, nella natura contraddittoria e relativa del linguaggio in quanto espressione di bisogni e di esperienza diversi e contrastanti; sia, a parte subiecti, nel divario fra l'esigenza di un'interpretazione stabile ed esaustiva e il carattere instabile e infinito (non illimitato, però) delle interpretazioni possibili. Ma questo spostamento da una concezione della verità come fondamento assoluto, o come oggettività scientisticamente constatabile, a una piuttosto legata alla prassi, e cioè all'esperienza e alla progettualità di comunità determinate, mentre è garanzia sufficiente contro ogni deriva nichilista, salvaguarda anche la possibilità stessa del dialogo fra esseri umani e della sua verifica pratica dalla distruzione che ne sta attuando quel dominio della reificazione di cui le teorie decostruzioniste sono specchio ed espressione estrema e talora rigorosamente coerente: in limiti di un'apologia indiretta. Alla fin fine, la critica antiessenzialistica più conseguente e radicale è ancora quella delle marxiane Tesi su Feuerbach. 2. Nella pratica critica il carattere astratto e ultrasettorializzante dei procedimenti implicati dalla propria teoria della letteratura è spinto da de Man, coerentemente, sino alfa capziosità sofistica. In Allegories of Reading egli mostra in genere come la retorica testuale smentisca il significato letterale (molto sottile, a esempio, è l'analisi di un passo di Du coté de chez Swann, in cui l'affermazione della superiorità della metafora sulla metonimia è condotta da Proust mediante strutture metonimiche, per cui, dopo la lettura, «non crediamo più» al contenuto di quell'affermazione, 1979, pp. 13-19); ma non manca di sottolineare anche il caso opposto, in cui il significato letterale smentisce quello figurale. E siccome quest'ultimo è il casQ- che ci sta particolarmente a cuore - dell;allegoria, converrà esaminarlo da vicino. Torneremo più avanti sulla concezione demaniana dell'allegoria. Per ora possiamo dire che, siccome questa consiste nella interferenza fra livello letterale e livello retorico (metaforico) e nella loro mutua negazione (un'allegoria letta secondo il livello retorico viene decostruita, e cioè smentita, se letta letteralmente), la conclusione di de Man non può che battere sull'illeggibilità- delli'allegoria. Una,· dimostrazione di tale assunto è fornita all'inzio di Allegories of Reading attraverso l'analisi del verso finale di un testo canonico, Among School Children, di Yeats, «How can we know the dancer from the dance?» («come si può distinguere la danzatrice dalla danza?»), in genere interpretato come una domanda retorica e quindi come una testimonianza della indissolubilità di segno e significato propria del simbolismo. Se però leggiamo la domanda secondo il significato letterale, il risultato non sarà il simbolo bensì l'allegoria, perché apparirà ineliminabile la distanza fra significante e significato: «Qui la lettura figurativa, che considera retorica la domanda, è forse ingenua, mentre la lettura letterale porta a una maggiore complicazione di temi e di affermazioni. Perché risulta che l'intero schema imposto dalla prima lettura può venire sconvolto o decostruito dalla seconda lettura in cui il verso finale viene letto letteralmente come se volessimo dire che la danzatrice e la danza non sono esiste affatto un'opposizione radicale fra lettura letterale e lettura figurata. Il significato letterale dell'ultimo verso non è quello suggerito _dade Man: infatti esso afferma comunque la difficoltà di distinguere la danzatrice dalla danza e non che «la danzatrice e la danza non sono la stessa cosa»; non esprime, dunque, un'urgenza soggettiva («Per favore, come faccio a distinguere la danzatrice dalla danza?»), ma un problema oggettivo infatti espresso da una prima persona plurale che corrisponde a una forma impersonale: «come è possibile distinguere la danzatrice dalla danza?» Anche il senso letterale insiste insomma sulla difficoltà dell'autore e anzi di tutti gli uomini in generale a compière l'azione della distinzione. Il senso figurato trasforma semplicemente questa difficoltà in una negazione, le fornisce insomma una risposta che, come succede spesso nelle domande retoriche, rafforza il senso letterale - non certo lo contraddice. In secondo luogo, anche ammettendo per assurdo (come faremo qui di seguito) che le cose stiano come de Man le descrive e che esista davvero un'opposizione radicale fra le due letture, non per ma solo come posso prendere alla lettera la domanda di un signore che, intirizzito per il freddo, in una stanza gelida, si rivolga a un compagno analogamente infreddolito, chiedendogli «Hai caldo, tu?» Nella realtà pragmatica della comunicazione è errata qualsiasi interpretazione che non tenga conto del contesto (e, più precisamente, nel caso di un testo poetico, della sua contestualità organica, per usare ancora la terminologia dellavolpiana). Per quanto riguarda la poesia di Yeats, la domanda conclusiva è preceduta da un'altra: «O chestnut-tree, great-rooted blossomer, I Are you the leaf, the blossom or the bo/e? I O body swayed to music, O brightening glance, I How can we know the dancer from the dance?» in cui il castagno in boccio rappresenta quell'Unità dell'Essere di cui trat-. ta tutta la poesia e che è riscontrabile in tutte le manifestazioni della vita, sia nei processi che la generano, sia nei frutti che ne derivano. Nel ritmo vitale, non è possibile distinguere la danzatrice dalla danza esattamente come non è possibile distinguere il flusso della vita che circola nelle radici da quello che giunge al tronco e alle • l I Senza titolo, s.d., inchiostro su carta, 10,5 x 12 cm la stessa cosa; allora potrebbe essere utile o forse assolutamente necessario separarle - la domanda può anche assumere una sfumatura di urgenza, 'Per favore, come faécio a distinguere la danzatrice dalla danza?'. Ma ciò sostituirà la lettura di ogni dettaglio simbolico con un'interpretazione divergente [... ] Questo accenno dovrebbe essere sufficiente a far pensare che due letture totalmente coerenti ma assolutamente incompatibili possono appoggiarsi l'una all'altra sulla base di un solo_verso, la cui modalità retorica trasforma il tono e il modo dell'intera poesia. Né tanto meno si può dire [... ] che la poesia contenga semplicemente due significati che coesistono l'uno a fianco dell'altro. Le due letture devono scontrarsi in un confronto diretto, perché una lettura rappresenta esattamente l'errore che l'altra denuncia e deve essere annullata da quella. Né possiamo in alcun modo decidere a quale delle letture· dare la priorità; nessuna può esistere senza l'altra» (pp. 1112). La tesi qui sostenuta è chiaramente capziosa. Anzitutto non questo la sua tesi risulta meno capziosa. Anche in questo caso, infatti, le due asserzioni contenute nel- .la frase «Nor can we in any way make a va/id decision as to which of the readings can be given priority over the other; none can exist in the other's absence» («Né possiamo in alcun modo decidere a quale delle letture dare la priorità; nessuna può esistere senza l'altra») non si giustificano a vicenda, perché, anche se corrisponde a verità la seconda, ciò non basta a determinare la verità della prima, che invece risulta del tutto falsa. È vero che senza una lettura letterale non potrebbe esistere quella figurale, ma, anche ammettendo che stando alla lettura del testo la danzatrice e la danza non sono la stessa cosa, da ciò non deriva affatto che il lettore non possa in alcun modo decidere a quale delle due letture dare la priorità. Certo, io posso prendere anche soltanto alla lettera la famosa domanda finale dell'Anguilla montaliana («puoi tu / non crederla sorella?») come se non si trattasse, in realtà, di una domanda retorica, e rispondere «no, non la credo sorella», foglie del castagno. Questo senso è d'altronde coerente con quello dell'intera poesia, nonché di altre della stessa raccolta (The Tower), fra le quali spicca soprattutto, come immediato antedecente (anche nell'ordine tipografico, data la stretta contiguità), Leda and the Swan: come confermano, in Among School Children, i riferimenti al mito di Platone sull'origine degli esseri umani (un tempo dotati di una forma sferica e poi divisi a metà e protesi a ricostituire l'unità originaria), a Leda, al cigno (simbolo ermafrodito e, dunque, dell'unità dell'essere, nelle mitologie orientali ben note a Yeats), all'uovo da cui sarebbero nati i Dioscuri (innamorati ciascuno della metà dell'uovo rappresentata dall'altro). Si tratta di un vero e proprio sistema-guida di allusioni, che rinviano all'«uovo del mondo» delle antiche religioni indiane ed egizie e insomma al nucleo in cui originariamente erano fuse «le nostre due nature» ( «it seemed that our two natures blentl/nto a sphere») come in «a Ledaean body» e da cui ora esse sono separate con le conseguenze tragiche che suggerisce la leggenda di Elena (figlia, anche lei, di Leda e di Zeus) sia nella seconda strofa di Among School Children sia in quella finale di Leda and the Swan. Secondo la tradizione del neoplatonismo (da cui deriva gran parte del moderno simbolismo; e infatti in una nota al testo Yeats rimanda, non casualmente, a Porfirio), la scissione attuale (anche quella fra la danza e la danzatrice) rinvia a un'unità originaria in cui gli opposti coincidono e il divino (Zeus) e l'umano (Leda, che è poi la prima donna del mondo) si uniscono, e danzatrice e danza, significante e significato sono una cosa sola. D'altra parte, nel simbolismo europeo, da Mallarmé al Valéry di L'ame et la danse, il tema della danza costituisce un vero e proprio topos: essa è di continuo evocata come esempio di fusione fra espressione e mimesi e quindi come metafora del linguaggio originario (addirittura - dice Benjamin - di una «fisiognomica del linguaggio») in cui significante e significato si identificano. Insomma, anche ammettendo nella domanda conclusiva una disgiunzione fra senso letterale e senso figurato, tanto l'organizzazione semantica del testo, quanto il confronto fra microtesto e macrotesto e fra la poesia in questione e il contesto culturale dell'autore, inducono il lettore a scegliere, a dare una priorità e a decidere per l'appunto per il significato retorico della domanda. La contraddizione fra lettura letterale e lettura figurata e l'impossibilità di scegliere fra le due da parte del lettore possono essere affermate solo isolando e assolutizzando la domanda finale del testo. Indubbiamente la seconda lettura non può esistere senza la prima; ma anche ammettendo che, in alcuni testi (non, comunque, in Among School Children, come si è visto), questa neghi quella, la contraddizione opera solo al livello astratto di un'ontologia del linguaggio, non su quello concreto della pratica comunicativa. Se de Man vuole mostrare l'assenza di qualsiasi fondamento della verità dal punto di vista di un'astratta epistemologia, possiamo anche convenire con lui; ma perché mai dovremmo inseguirlo sul terreno di quella totalità che egli poi s'impegna a decostruire con uno zelo che, a veder bene, la presuppone e che comunque è proporzionale alla intensità della nostalgia che egli continua a provarne? 3. «La prevalenza dell'allegoria corrisponde sempre al disvelarsi di un destino autenticamente temporale. [... ] Nel mondo del simbolo diviene possibile per l'immagine coincidere con la sostanza, dal momento che la sostanza e la sua rappresentazione non differiscono nel loro essere ma solo nell'estensione: esse sono poste a totalità dello stesso insieme di categorie. Il loro rapporto è di simultaneità. [... ] Mentre il simbolo postula la possibilità di una identità o identificazione, l'allegoria designa preventivamente, in relazione alla propria origine, una distanza e, rinunciando a ogni ontologia o desiderio di coincidenza, stabilisce il proprio linguaggio nel vuoto di questa differenza temporale» (de Man 1969, pp. 263-264). Mentre nell'allegoria il rapporto fra segno e significato è discontinuo, in quanto deve registrare una frattura, nel simbolo significante e significato s'implicano a vicenda e presuppongono una comune totalità: il simbolo è una sineddoche, una parte che rappresenta un tutto (cfr. anche Owens 1980, p. 232, che infatti segue l'ottima distinzione di de Man). Benjamin, la cui lettura ha indubbiamente influen-

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