Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

come «zonzeggia» o «brieggia». Ancora una volta l'alterazione trova capillare riscontro. L'asimmetria presso Leonetti Non meno complesso, irto e «petroso», è Palla di filo, il testo pubblicato da Leonetti presso lo stesso editore dei Graduali, il leccese Manni, che sta diventando un prezioso punto di riferimento per gli scrittori di tendenza sperimentale. Anche per Leonetti sarà utile compiere un rapido salto all' indietro agli incunaboli dello sperimentalismo: e cioè fino a La cantica, composta negli anni di «Officina» ed uscita nel 1959. Intanto, un titolo come La cantica dà una precisa indicazione di genere, preparando il lettore a una poesia dotata di consistenza narrativa: ed è infatti condotta per le stazioni dell'esperienza di un io storicamente determinato, un i~ raziocinante, testimone e commentatore, pronto al concertato polifonico. Lontano dal progressism·o enfatico, scontando senza risparmio di dubbi gli effetti della crisi, il primo Leonetti nondimeno è lontano dall'effusione patetica; piuttosto appare intento (sulla scorta di un uso dell '«amarezza» a farne «scienza» - che è nel segno di Leopardi, in ciò differenziandosi dall'ascendente pascoliano di Pasolini) a strappare il senso del quotidiano, scomponendo materialisticamente l'identità del personaggio-campione in un sistema di relazioni sociali. L'attacco alle ideologie spiritualistiche è già chiaro, qui, come rifiuto del segno assoluto e separato, contro cui scatta la «sconfessione» e la «dimissione», ossia lo svuotamento che ribalta il segno e ne mostra l'incongruenza ai bisogni vitali. Esperienza, dunque, come lettura e analisi: non per nulla l'immagine dell'autore al tavolo di lavoro in mezzo alle contraddizioni culturali di libri «accatastati», comparsa ne La liquidazione in chiusura di «Officina», ritorna oggi nelle battute terminali di Palla di filo. Naturalmente tra gli anni cinquanta e gli ottanta c'è di mezzo un percorso logico che ha portato Leonetti (mentre Cacciatore ha avuto uno sviluppo sempre molto interno al suo compatto programma poetico) a toccare con prensile vitalità intellettuale i passaggi nodali del dibattito culturale e politico; pure, La cantica e Palla di filo hanno in comune una analoga situazione di stallo e di sconfitta storica che viene rovesciata in produttiva ricerca. Ora Leonetti va alle origini, per tracce sempre discusse e verificate, in una sorta di cosmogonia che riattinge alle Marzo 1987 Numero 43 Anno 5 Lire 5.000 torno rituale nel luogo chiuso (sia esso museo o basilica o studio), il testo opera una nuova uscita verso il fuori e l'altro-da-sé, nella contiguità viva del sociale. Per questa serie di aperture, si inserisce una tensione, una «turbolenza» di strati linguistici eterogenei, una carica neoespressionista, secondo la direzione che Leonetti ha inteso dare alle sue ricerche (anche critiche e teoriche) degli anni attuali. In Scienza Esperienza Fusionenucleare: colloquiocon BrunoCoppi L'aereoinvisibile L'obiezionedi coscienzaentra in fabbrica Dossier:la scienza in scena Il terzonumerodella serierinnovata,a colori,con notizie,servizi,nuoverubriche In tutte le edicole e nelle migliori librerie EdizioniMediaPressesrl - ViaNinoBixio, 30 - 20129Milano fonti della cultura, dell'immaginario, addirittura del biologico, lungo l'arco di quattro poemetti: il primo tratta delle mummie e statue di una visita al Museo Egizio di Torino, tenendo presenti la situazione politica e la fabbrica; il secondo, ambientato al Vaticano e dintorni, sfocia in invettiva al papato, estesa agli idealismi e «nominalismi» vecchi e nuovi; il terzo ha argomento psicoanalitico e antropologico, cercando, a partire dalla suzione del seno, il bandolo della pienezza e perdita e frantumazione; il quarto è sulle origini del vivente, poi nella camera con libri e piante. Con questi materiali Leonetti ottiene un doppio scarto: perché il terreno poetico-letterario è sottoposto ai «rigori» e alle asperità prive di ornamento della elaborazione scientifica; ma quando potrebbe comunque ristabilirsi un conalcuni punti con polemicità esplicita: all'astrazione consolatoria del «puro nome, e nome puro», viene opposta l'impurità di una predicazione babelica e di pronuncia stridente, come impatto delle istanze contrastive della base materiale. E sarà interessante verificare la tensione nella stessa compagine ritmica del testo. A questo proposito l'autore in sede di Commento precisa: «dopo aver ritenuto in gioventù di effettuare un allargamento del sistema leopardiano (11 + 7) col quinario e altri versi spezzati, mi ritrovo oggi a dare qui un verso libero con successione regolata da 'ictus' da un minimo di 2 a un massimo di 4 per verso». Mentre ne La cantica l'erosione della convenzione era affidata all'uso di frequenti, tuttavia sempre compatibili, misure brevi, ora l'endecasillabo viene in qualche modo svuotato o deluso nel suo caricamento, sia per sottrazione e aggiunta di sillabe, sia soprattutto attraverso l'alternanza con versi lunghi prosastici, e con l'accoppiamento - nel medesimo verso - di un emistichio che potrebbe dar luogo ad endecasillabo con un altro di quantità abnorme: insomma, con una scelta di asimmetria diffusa, in una sistematica frustrazione dell'intonazione melodica. Se l'attacco del poemetto iniziale, Le pietre, offre un'immagine di verticalità («Rotoli a segni verticali»... conservati nel Museo Egizio), va subito notato che la verticalità - come non pensare alla disposizione in colonne del segno poetico? - non decolla in elevazione sublimante, ma si arrotola in una complicazione intricata, cui rimanda anche il titolo complessivo di Palla di filo ( che suppongo prossimo al «gomitolo» gaddiano). Messaggio «appallottolato» è, altresì, la scrittura biologica della cellula, «densa di filamenti/in forma di matassa attorcigliati/col programma dell'essere ... ». E si arrotola non soltanto la sintassi, con inversioni che talvolta pongono l'oggetto davanti al soggetto, ma in prima istanza proprio il ragionamento che risale, nell'interrogazione dei fondamenti, come dicevo, al contempo verso le radici individuali dell'autore (a dichiarare, in un finale autoritratto al tavolino, le proprie coordinate di pensiero e letterarie: «La lingua è di Campanella e vociana»), e verso il sorgere stesso della vita organica, dove si trova ancora - in base alle teorie prese in esame - il movimento del «turbine». Leonetti pare applicarsi ulteriormente sullo scarto tra materia inorganica e organica che già emergeva nel romanzo .Campo di battaglia; ma, più che un tema primario, si tratta di un'idea dell' «essenza materiale» come contraddizione, che si esplica, nell'insieme del testo, negli squilibri tra quelle che si potrebbero chiamare le «parti pesanti» e le «parti agili»: tra l'ingombro nominale e il guizzo dell'invettiva, tra l'allure brechtianamente didattica e il gioco diabolico delle interpolazioni parlate. L'incunearsi del pensiero acuisce la conflittualità del testo a due livelli; dalla parte dell'argomento, assumendo direttamente l'incarico di parlare del «nocciolo» della questione; dalla parte della convenzione., spiazzandone e incrinandone i criteri regolativi - e questo senza rinunciare né alla caotica sovrabbondanza dell'esperienza linguistica né al rigore logico e formale. È probabile ché, sulla base di un simile denominatore comune, possa svilupparsi la convergenza delle diverse linee sperimentali, che per vari segnali sembra già in atto. Oltretutto, i testi di Cacciatore e Leonetti dimostrano, negli stessi apparati che ne accompagnano la pubblicazione, di essere produttivi e stimolatori di teoria: mi riferisco allo spessore delle pagine premesse distintamente da Bettini e Giuliani su Cacciatore, e a quelle di Bettini e Luperini insieme su Leonetti (il quale aggiunge a sua volta una densa postilla). Testi e commenti si dispongono - e conservando le loro caratteristiche specifiche - sullo stesso piano di intervento nel dibattito in corso: anzi, Leonetti presenta la sua Palla di filo come prima bozza, parziale, di un'opera che viene facendosi nel mezzo di un confronto collettivo. Edoardo Cacciatore Pari e patta «Alfabeta» n. 81, febbraio 1986 Graduali Introduzione di Filippo Bettini Lecce, Manni, 198(5 pp. 115, lire 14.000 La puntura dell'assillo Presentazione di Alfredo Giuliani Milano, Società di poesia, 1986 pp. 64, lire 10.000 Francesco Leonetti Palla di mo Introduzione di Filippo Bettini e Romano Luperini Lecce, Manni, 1986 pp. 79, lire 10.000 La cantica • Milano, Mondadori, 1959 pp. 134, f.c. Poemi Bologna, L. Antiquaria Palmaverde, 1953, f.c. (su cui P.P. Pasolini, in Passione e ideologia, Torino, Einaudi,1986, II ed.) AsorRosal:eM,raigdineillaico 11 quinto volume della Letteratura italiana einaudiana si apre con un ampio ed importante saggio di Asor Rosa, in cui egli propone di ricercare e di individuare l'esperienza genetica, lo stadio aurorale, il momento fondatore, !'assolutamente originario e originale da cui nasce la cultura italiana. Contrariamente perciò a quanti pen.sano che uno degli aspetti essenziali della cultura italiana sia di essere senza origine, perché caratterizzata essenzialmente dalla ripetizione e dalla mescolanza, dalla dimensione filologica e da quella eclettica, Asor Rosa sposa con energia la tesi opposta: a suo avviso, è possibile operare una fondazione, scoprire il momento instaurativo fortemente creativo ed innovativo da cui prende le mosse e a cui si alimenta la nostra tradizione culturale. Questa esperienza originaria non è un fatto storico insieme religioso e sociale di vastissime proporzioni (come, per esempio, la Riforma per la letteratura tedesca), ma è costituita unicamente dalla vita e dall'opera di tre grandi uomini, tre «geni della nazione», individuati in Dante, Petrarca e Boccaccio. Asor Rosa compie così un'operazione indubbiamente coraggiosa che ricorda, a prima vista, quella compiuta da Heidegger sulla poesia di Holderlin: l'elemento fondatore dell'identità nazionale non deve essere più cercato m una grande esperienza collettiva (per esempio, per l'Italia il Comune medioevale ò la Chiesa o la lotta per l'unità politica), ma in alcune esperienze eccezionali di tipo !in-· guistico, compiute da singoli uomini, privi di rapporto con le istituzioni, o addirittura esiliati (Dante), apolidi (Petrarca), réfoulés (Boccaccio), così come Holderlin che fu nel suo tempo senza carica, senza casa né famiglia, senza successo né gloria. Tuttavia, a ben vedere, l'influenza di Heidegger su Asor Rosa - che si legge, oltre che nel pathos con cui parla dell'origine, anche in certi paragrafi (intitolati sentieri interrotti) o in certe nozioni (come quelle di «intermedio») - resta estrinseca e superficiale. Infatti l'e.sperienza del linguaggio di cui sarebbero portatori i tre sommi italiani presenta nell'esposizione di Asor Rosa caratteri opposti a quelli heideggeriani. Mentre per Heidegger la poesia «fonda ciò che permane», ha cioè un carattere ontologico, ha una potenza più grande del reale, della politica, di ciò che apparentemente vince e trionfa nel mondo, per Asor Rosa l'attività poetico-letteraria crea soltanto «una civiltà del discorso», un «ordine poetico», che è per definizione separato e completamente indipendente rispetto all'effettuale. Ora di un ordine poetico che-stia al di sopra delle cose e non nelle cose, di una verità che resti puramente ideale (per quanto bella, seducente ed erotica essa sia), né i filosofi - almeno a partire da Hegel - né i poeti - almeno a partire da Rimbaud - sanno che farsene. L'apologia che Asor Rosa fa della parola poetica si rivela perciò molto tendenziosa: sotto una vernice di heideggerismo traspare qua e là un positivismo biologico, per cui «geni» è il plurale non di genio, ma di «gene» (p. 53), per cui il punto di vista antropologicogenetico, di cui Asor Rosa si fa portavoce nella premessa del volume, pare debba essere inteso, non in senso culturale, ma in senso fisico. In ogni caso l'idea che la poesia fondi un ordine «che è e può essere solamente estetico» (p. 117) rivela un cripto-positivismo che considera il reale come completamente impermeabile ad ogni intervento linguistico. Da un lato si presuppone qualcosa che sta al di sotto del discorso e che si considera surrettiziamente ben più importante e determinante di questo, dall'altro si esalta il carattere superiore, egemonico, della parola poetica. T utto ciò non toglie che il saggio di Asor Rosa illumini indirettamente alcuni caratteri essenziali della cultura italiana. Particolarmente significativa pare la sorprendente identificazione tra la civiltà del discorso poetico-letterario e la dimensione del «laico». Dante, Petrarca e Boccaccio sarebbero i padri non soltanto della letteratura italiana, ma addirittura del laicismo italiano, gli instauratori di un nuovo sistema di valori, i cui cardini, sono rappresentati dall'amore, dall'amicizia, dal lavoro intellettuale, dalla cura della salute, dall'attenzione al processo storico. Ciò che colpisce in questa configurazione della dimensione laica non è tuttavia la determinazione dei singoli aspetti, ma lo statuto sociale che Asor Rosa le attribuisce: il laico sarebbe originariamente ed essenzialmente l'ambito del dire. Per Asor Rosa l'opposto del laico è non tanto il religioso, perché i tre sommi non mettono in dubbio la legittimità dell'egemonia del cristianesimo, quanto l'angelico, cioè una condizione in cui ci si capisce direttamente senza parlare (p. 95, nota 18). Ma in questa contrapposizione tra il laico e l'angelico, che cosa resta fuori? Resta fuori il fare! Scrive infatti Asor Rosa: «Dire, raccontare, comunicare: la parte più nobile dell'uomo fu scoperta nella sua lingua: la prassi e la scienza furono respinte in secondo piano, insieme con il culto di quei valori che non fossero già pervenuti per loro conto a dirsi o a raccontarsi in qualche modo formalmente accettabile» (p. 121). Sotto l'apparenza di un elogio, Asor Rosa fornisce così gli elementi per una critica radicale del laicismo italiano: l'aspetto ciarliero e inconcludente, querimonioso e parolaio, salottiero e scandalisti-

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