L a nozione di sperimentalismo letterario, proveniente dallo snodo vivacissimo tra anni cinquanta (nei saggi pasoliniani 'di «Officina») e sessanta (nel dibattito del Gruppo 63, dove ebbe la meglio sul termine stesso di avanguardia), non deve essere certamente intesa come sommaria imitazione del metodo scientifico, né come riduzione del testo a esposizione dimostrativa o a puro calcolo formale. Piuttosto, parlare di sperimentazione o ricerca in letteratura vuol dire e implica: 1. che una progettualità intellettuale, esterna all'ambito istituzionalmente letterario, può riorganizzare i movimenti convenzionali fino a deformarli e a stravolgerli (decentrando e straniando); 2. che l'esperimento sospende non le condizioni esterne, quanto il legame irriflesso tra i segni e la rappresentazione, per cui il pensiero produce l'esatto contrario delle facilitazioni risolutive, e cioè un costante stato di allerta, secondo il moti- ~o dell'incertezza critica. E tuttavia, poiché qui l'orizzonte di linguaggio dell'operatore non è distinguibile dai materiali posti in opera, non si dà altra distanza (o altro metalinguaggio) che nella trasparenza dei procedimenti stessi - e ciò comporta che anche i significati connotativi meno codificabili (dal timbro alla scansione) sono organizzati non in modo casuale o suggestivo, ma con precise corrispondenze nella prospettiva tendenziosa del testo. Il progetto di Cacciatore La validità e la tenuta di questi caratteri generali, possono essere utilmente verificate alla luce delle recenti pubblicazioni di Edoardo Cacciatore e Francesco Leonetti, due autori ,ciascuno con il proprio itinerario, ma entrambi contraddistinti da una fortissima tensione razionale, riflessiva, di pensiero, interna alla scrittura. Il recupero, da parte dell'editore Manni, delle prime prove poetiche di Cacciatore, uscite solo parzialmente in rivista negli anni 1953-1954, a ridosso della basilare prosa filosofico-narrativa de L'identificazione intera, dà modo di riprendere il discorso sullo sperimentalismo proprio alle radici. Quanto al titolo, Graduali indica qualcosa di più dell'aumento di lunghezza dei componimenti (che passano progressivamente dai quattro versi della prima sezione ai sette dell'ultima): va riferito, di sicuro, anche alla gradazione dell'intensità operativa che cresce a rilancio. E c'è un esplicito riferimento al termine liturgico: graduale, preghiera pronunciata sul gradino dell'altare, dunque ai margini della sacralità del rito; e si legga, allora, come presa di distanza dalla sacralità della poesia, in particolare nelle vesti «ermetiche» con cui Cacciatore si trovava, in quel momento, a fare i conti. Con un assetto attentamente calibrato e costruito, dove nessun elemento è superfluo o esornativo, e dove il lettore è chiamato a una equivalente attenzione interpretativa, la «gradualità» poetica di Cacciatore procede a sollevare la naturalezza dell'ovvio, a saggiarne le pieghe per estrarre (non astrarre, ma trasformare e svolgere) il senso sottinteso. L'accostamento identificante della definizione prevale sugli strumenti comparativi compromessi con la confusione generica e l'evocazione indistinta, e Cacciatore lo dice con trasparente divieto: «Non più dovrai dire come o mi sembra». Ogni elemento è portato alla più alta tensione concettuale: e se il punto di partenza è in qualche emergenza del vissuto o scatto percettivo, l'occasione, subito (senza compiacimento estetistico e, quindi, senza aloni simbolici), si fa «gesto» sulla scena di un teatro mentale: non però in iperuranica separatezza, quanto piuttosto nella reintegrazione piena di una precipite teoresi vivente che, per identificazione intera appunto, si conforma e partecipa, operativamente, a quella «ininterruzione» che, secondo il pensiero di Cacciatore, è la «forma reale». Fin da questi suoi esordi, Cacumano come una «strada», ossia sovrapponendo alla fisionomia singola il canale dello scambio interattivo). Ma sull'aspetto «pubblico» e «corale» della poesia dei Graduali rimando all'introduzione di Filippo Bettini che lo svolge analiticamente (è, per ampiezza e articolazione del discorso, un vero e proprio saggio), riconducendolo all'allegoria, e riconducendo l'allegoria stessa al «suo etimo filologico (significare altro da ciò che si dice, ma in pubblico)». Si tratta, Bettini lo sottolinea con forza, di un «antisoggettivismo», che si può riscontrare nel corpo linguistico delle poesie seguendo la sorte del soggetto grammaticale: ora accomunato nel «noi» e nell'«ognuno» all'orizzonte collettivo, ora trattato individualmente ma, attraverso f ,, - erario produrre l'irriconoscibilità del normale («Bizzarri proprio loro i visi i luoghi soliti»); sia che invece lo «strano» (una luce obliqua, l'irrompere di un rumore o di un evento non preordinato) dia il la, stimolando le acrobazie del «discorso a meraviglia». Anche la scelta della misura del verso, che Cacciatore tiene a stabilire e rispettare come criterio ordinativo nei cui limiti far dispiegare le interferenze e le polivalenze del discorso poetico, risulta estranea ai canoni egemoni nel Novecento letterario nostrano, né è minimamente ascrivibile ad alcuna nostalgia del classico. E se l'opera ultima, La puntura dell'assillo, si presenta a tutte lettere, sul frontespizio, come raccolta di «cinquanta ed un sonetto», bisogna subito modulazione del verso e l'accorpamento senza vuoti tra le quartine servono, allora, alla pulsazione a ondate del pensiero che si muove a «saliscendi» tra l'aderenza e la distanza, ovver.otra il contatto con le scosse scombinanti dell'energia e la presa sui «cascami» della realtà dove trova momentanee pause, ma in cui deve riconoscere ogni volta qualcosa di spostato, di laterale, di non coincidente rispetto al dinamismo del divenire. La coppia di versi rimati (che riceve anche un, sia pur lieve, dislocamento spaziale) in fondo a ciascun sonetto, si presenta non già come soluzione, ma come «clausola», destinata ad essere rimessa in discussione nei componimenti successivi: sicché, nell'intero della· raccolta, si assiste al rilanciarsi degli stessi attanti teorici in una variazione di combinazioni o, che è lo stesso, di punti di vista possibili (del resto: «Per dato si tiene soltanto la permuta», scrive Cacciatore in Pari e patta). Il fatto è che il soggetto non può pretendere al posto dell'osservatore asettico e protetto, ma è catturato a sua volta dalla «pista» dell'energia, modificato e pluralizzato, nella misura in cui non può evitare di uscir di sé per riconoscersi e per agire. L'inarrestabilità del mutamento rende illusorie le-pretese di «essere» permanente ed isolato («Trattieni l'aìre e pretendi di stare/Ma t'àlteri e agendo sei già alveare»), e pure smaga le apparenze ingenue o false del moto e del1'attività: al pensiero è conferito il compito di sostenere le potenzialità oltre confini e parentesi, una funzione di «alleggerimento» enunciata ex abrupto: «Pensare è sorreggere i transili schianti/Secondo l'assillo che punge ove smania» ... Analogamente, in Pari e patta, si comporta l'«attivo combino» tra «Mneme e realtà», rompendo le paratie del ripiegato rimpianto e del frazionamento mercantile, ad indurre espansione pluridirezionale (per «ventaglio sciamante» e «registri inauditi») nei linguaggi ingorgati nel «Mediale universo». Qui il discorso poetico di Cacciatore conferma la sua costante polemica contro ogni semplificazione e ogni trucco smussante e moderato del senso comune; e giunge a «sciogliere» il verso dalla iterazione delle rime, appoggiandosi piuttosto sull'accentazione sdrucciola (soprattutto in posizione finale), per altro realizzando nello stesso andamento della parola l'idea del glissare dell'energia. Senza titolo, s.d., [1956], inchiostro su carta, 40 x 34 cm Le prove recenti mostrano un rilevante ampliarsi del repertorio di toni lessicali: Cacciatore compone con una tastiera ricchissima, che dai termini recuperati dal greco e dal latino (di questo tipo sono alcuni cardini fondanti della sua teoria, come il «migma» o la «transilità»), altri adottati dai linguaggi tecnici (che riguardano soprattutto le connessioni, come «calettare» o «addentellare»), altri di natura popolare o gergale (ad esempio «sgnaccare», oppure l'aggettivo «strafalaria», voce diffusa nel meridione, che dovrebbe significare all'incirca: sconclusionata). In particolare, dove si esprime l'enormità derogante, l'assillo del pensiero pungola più forte la metabolizzazione linguistica: vedi i casi di «flussipede», «fervefatta»;. e dei verbi derivati da sostantivi, datore ha ben chiaro che il livello sensoriale immeditato è una sorta di copertura ristretta e sfilacciata («L'arredo dei sensi si disfa nel pensiero», scrive) che deve essere risolta nella ricerca della verità, con la piena consapevolezza di come questa ricerca non abbia per obiettivo la «fissa dimora» ma si costituisca nella «incipienza continua» di una dialettica che accoppia «estro» e «rigore». Va detto che l'occasione stessa è già di per sé fuori da qualsiasi valorizzazione esistenziale o intimistica, in quanto «accade» sempre in luoghi di frequentazione pubblica e perciò nel raggio di un'esperienza policentrica e impersonale (è significativo che Cacciatore interpreti i tratti del volto il «tu», proiettato fuori di sé, fatto altro secondo il principio, caro a Cacciatore, dell'«alterazione sediziosa». Non è solo l'effetto della costruzione ellittica e dei salti sintattici (resi ancora più problematici dall'assenza di punteggiatura interna, con l'unica, rara, eccezione del trattino), ma la poesia di Cacciatore sembra costituirsi nel suo complesso secondo un progetto di «oltranza». Si dà il caso che nello «storico» studio sul manierismo, Hocke facesse cenno alla «strana quanto profonda opera» di Cacciatore: e infatti stranezza e profondità sono strettamente collegate, sia che, per un verso, proprio l'intervento del pensiero valga a ·deformare i connotati abituali e a precisare che la forma-sonetto è adottata nella versione «elisabettiana», con una mossa, quindi, di chiara eccentricità spatriante (che, in realtà, nei termini di Cacciatore, si formulerebbe «rimpatrio»). È vero che i componimenti recenti mostrano, nel confronto con i Graduali, una maggiore regolarità ritmica (sempre versi lunghi: ma l'incostanza accentuativa del tridecasillabo è ora condotta alla scansione isocrona del doppio senario); non si tratta tuttavia di un fenomeno autonomo, quanto piuttosto di una impostazione consequenziale agli esiti della riflessione di Cacciatore che ha raggiunto ormai, come unica occasione del suo dire, la base - direi quasi biologica - dei battiti e itti dell'energia. La
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