Programma dell'incontro «Ricercatori & Co. nella letteratura contemporanea in Italia» (Viareggio 1987, anno primo, 26-27-28 marzo, Hotel Royal) . Q uesto convegno riguarda principalmente la «critica del nuovo»; parteciperanno ad esso molte riviste letterarie, sia della tradizione maggiore, sia delle nuove tendenze culturali: Abitilavoro, Altri termini; 'Anterem, Arsenale, A Traverso, Finisterre, Il cavallo di Troia, Incognita, Il Verri, L'altro versante, Lengua, L'immaginazione, L'indice, Linea d'ombra, L'Ombra d'Argo, Marka, Nuovi Argomenti,· Ottovolante, Paro/, Prato Pagano, Salvo Imprevisti, Tam-Tam, Tracce. A questo convegno interverrà inoltre un apporto straordinario e Supplementoad Alfabeta n. 94 • Marzo 1987 - 1are Sommario Marco Forti Ogni epoca ha un suo regime pagina I Gian Carlo Ferretti Lettere di Pier Paolo pagina II del lavoro di ricerca critica che si svolge oggi sul Novecento nelle maggiori università italiane. Saranno presenti i seguenti relatori: Ezio Raimondi (sui Taccuini di Marinetti) Laura Barile (su «Lindice» rivista genovese degli anni trenta), Clelia Martignoni (Sperimentalismi stilistici in area vociana), Mario Spinella (su «Il Convegno» di Milano), Lucio Vetri (su Letteratura e caos) Matteo D'Ambrosio (sulle riviste futuriste napoletane), Claudia Salaris (su La ruota sdentata), Francesco de Nicola (su «Novecento» e lafigura di Bontempelli), Niva Lorenzini (su Valori Plastici), Marina Zancan (su «Il Politecnico»), Anna Panica/i (su «Il Menabò»), Mario Petrucciani (sul lavoro dell'Istituto per gli studi di letteratura contemporanea per quanto concerne le riviste del Novecento), Alberto Antonio Porta Due testi di altra lingua pagina III Francesco Muzzioli Sperimentalismo letterario pagina V Folin (sulle riviste da loro ristampate presso vari editori) e Pietro Cataldi (sulle riviste del '68). Il convegno di Viareggio viene annunciato come primo di una serie triennale, sempre sugli stessi argomenti; e comincia dopo due riunioni molto vivaci e discusse da tutta la stampa: la prima a Palermo nel 1984 col titolo Il senso della letteratura, la seconda a Roma nel 1985 col titolo Io parlo d'un certo mio libro - colloquio francese italiano. Ognuna delle tre mattine, dalle ore 9.30 alle ore 12.30 sarà tenuta dalle Ricognizioni di storia della ricerca letteraria nel Novecento (riviste, avanguardie, gruppi, archivi, materiali) con relazioni e dibattiti aperti. Nel pomeriggio di giovedì 26, alle ore 15.30, saranno tenute le brev{ relazioni introduttive: i motivi dell'incontro (Francesco LeonetIO. - rar1a Mario Perniola Aso'rRosa: le origini del laico pagina VI Romano Luperini Semantica e interpretazione pagina XI ti), la relazione sulla narrativa oggi (Renato Bari/li), la relazione sulla poesia (Antonio Porta). Alle ore 17.00 comincia il dibattito sugli stessi argomenti, con iscrizioni, fino ad ora tarda. Nel pomeriggio del venerdì 27, alle ore 15.30, i redattori delle riviste invitate avranno ciascuno un tempo uguale per un breve intervento teorico (scritto) e/o la presentazione di un testo letterario, sino alla completazione oppure con seguito il 28. Nel terzo pomeriggio riprende e si sviluppa il dibattito sui temi e sui testi del primo e del secondo giorno con iscrizioni. Gli organizzatori domandano che in questo terzo pomerig, gio si facciano anche proposte sui lavori per gli anni successivi. Gli scrittori e i critici invitati al convegno (di cui stiamo accertando la presenza) sono i seguenti: Balestrini, Bugliani, Como/li, D. Del Giudice, Ferretti, Forti, Fortini, Frabotta, Giuliani, A. Guglie/mi, G. Guglie/mi, Lacatena, Lodo/i, Lunetta, Luperini, Malerba, G. Mascitelli, Muzzioli, Pagliarani, Pazzi, Raboni, Sanguineti, Tabucchi, Tondelli, Vasio, Vitarelli, Viviani, Volponi. N.B. Le riviste che vogliono presentare un testo letterario (con lettura di esso) nel tempo a ciascuna di esse concesso di circa 15-20 minuti, devono farlo avere al comitato della rivista «Alfabeta» prima dell'incontro, unitamente al breve testo teorico-critico sul proprio lavoro di rivista; è bene che portino con sé •un congruo numero di fotocopie (50). Ognei pocah11,co1n suoregime e hi è senza colpa lanci la prima pietra. Da che mondo è mondo le pietre le lanciano soprattutto coloro che, colpevoli di qualcosa, ma non tanto da esserne del tutto acciecati, sentono che un problema è nell'aria e che, se non ci si pone qualche rimedio,. si corre il rischio di diventare da lapidatori, lapidati. Nulla di strano, anzi benissimo, che delle manchevolezze della critica letteraria siano proprio i critici a parlare, e che a dare il «la» sull'argomento,, sull'«Europeo», (con due articoli apparsi rispettivamente il 2 agosto e il 15 novembre 1986), sia stato proprio Giovanni Raboni che, fra i critici militanti, non è stato esente dal prendere posizioni coraggiose, controcorrente e a volte controverse. In sostanza, ha detto Raboni, la critica militante ha perso un po' il suo crisma, il suo smalto negli ultinii tempi, perché il sistema dei mass-media oggi dominante, strutturalmente ne rifugge, e i grandi quotidiani e i settimanali, a imitazione della televisione, vogliono articoli di varietà letteraria, di intrattenimento, di informazioni che attengono più alla spettacolarizzazione della cultura, che alla critica e ai suoi linguaggi specializzati. Riprendendo l'argomento su «Alfabeta>>n. . 90, Raboni, nel colloquio a più voci Dov'è finita la critica letteraria?, ha rincarato la dose, affermando che sono gli stessi giornali, su indicazione esplicita degli editori, che decidono a priori dell'importanza da dare a un libro, o a un autore, secondo un sistema di priorità la cui tavola di valori è stabilita a monte del lavoro del giornale o del critico, estrinsecamente al valore dei libri in sé o all'opinione che il critico ne ha e ne esprime, ma seguendo, se pure con varie sfumature, le ragioni di mercato, di lancio, di tiratura, di collana e di editore presso cui il libro viene pubblicato. C'è del vero, ed è vero che non mancano da parte dei critici, spesso troppo cedevoli, complicità e acquiescenze con ragioni estranee alla loro funzione. E la cosa è ribadita sullo stesso numero di «Alfabeta» da Giuliano Gramigna che, in base all'esperienza da lui fatta per decenni in grandi quotidiani, conferma l'esistenza di gerarchie prestabilite nell'organizzazione del consenso su certi libri e su certi autori. A costo qi ridurgli lo spazio o di quasi emarginarlo, si obbliga il critico militante a non svolgere fino in fondo il suo «servizio» (come lo chiamò una volta Fortini ancora sul «Politecnico») evitando di dare giudizi di valore troppo drastici e derivanti dalla sua sola coscienza professionale, dal suo sofo gusto o dalla metodologia da lui perseguita, senza la quale non esiste vera funzione critica. È tutto vero e, sempre su «Alfabeta», Antonio Porta afferma con ottime ragioni che, così facendo, il critico (o per lui il responsabile del giornale) tradisce proprio la richiesta del lettore il quale, dopo avere assistito al lancio editoriale del libro e.a tutti gli annessi rituali di mercato, pub~licità, presentazioni televisive, Pippo Baudo, Carrà e via discorrendo, si aspetta altro da parte di terze pagine e supplementi libri di quotidiani, e dai titolari di rubriche di critica di grandi settimanali. Da loro non si aspetta né intrattenimento né varietà letteraria, ma opinioni metodologicamente motivate, espresse col rigore e col linguaggio specifico della critica letteraria. È proprio in questo che un critico si rivela scrittore. E Gramigna, sempre su «Alfabeta», ribadisce che mentre sui quotidiani si lascia agli esperti di moda di sbrizzarrirsi col più sbrigliato linguaggio tecnico, destinato alla lettura iniziatica degli addetti del «made in Italy», si continua a frenare analoghe tendenze in chi parla di libri su pagine specializzate. Aggiungeremo noi che chiunque invece legga il «Times Literary Supplement», o il «New York Times», o «La Quinzaine littéraire» o la «New York Review of Books» sa bene che lì avviene il contrario, e che è proprio lo specifico letterario che viene perseguito. La domanda da farsi, in proposito, sarà allora se vi sono rimedi da porre per evitare troppi danni. Qualcuno, e precisamente Arbasino in un articolo apparso su «La Repubblica» del 3-4 agosto 1986, lamentava nei nostri critici militanti la mancanza di gusto per la stroncatura. In effetti stroncare un libro può essere un segno di minqre acquiescenza ai valori diffusi dal sistema e dal mercato. Ma per chi tenga conto dell'enorme ·aumento delle pubblicazioni, e delle umane possibilità di vaglio critico di fronte a una quintuplicata (o decuplicata) produzione libraria di massa, ecco che la questione della stroncatura può apparire più controversa e complessa. E ' certamente indispensabile che la critica esprima motivati giudizi critici sia positivi che negativi. Gli uni e gli altri dovranno tuttavia sortire da metodi e strumentazioni abbastanza codificati e durevoli, da collegare funzionalmente e razionalmente il passato e il presente della letteratura con un futuro in cui !e tecniche e le ragioni letterarie trovino spazio e ragioni verso principi più generali e simbolici di lettura. A questo non bastano certo le stroncature, genere letterario che in passato ha avuto notoriamente cultori in situazioni diverse, ad esempio, da parte di scrittori e critici come un Papini o un Cajuni, i quali avevano, comunque, da opporre agli autori stroncati proprie opere anch'esse costruite e istituzionalizzate e, a loro volta, criticabili. Come del resto le scrive il versatile e proteiforme Arbasino, che ora ne parla. Resta il fatto che la stroncatura è una sorta .di epigramma critico al quale, per dirla tutta, preferiremmo altri generi coinvolgenti più in profondità le ragioni e le motivazioni sia di -chi scrive che di chi legge. Di stroncatura in stroncatura si corre infatti il· rischio di opporre una genericità a un'altra, senza neanche avere alle spalle il genio infine onnivoro e gigantografico, e il senso di avanguardia che, a suo tempo, aveva caratterizzato il Papini delle famose Stroncature; e trasportando, come fa oggi ad esempio Grazia Cherchi, la goliardia umorale ed ex sessantottesca dei libri «da non leggere» dei vecchi «Quaderni piacentini», nelle rubriche patinate e destinate al grande pubblico di un diffuso settimanale di informazione. Il rischio può allora essere quello di cadere in puri giuochi mondani che non coinvolgono più le motivazioni profonde di nessuno, in occasioni in cui non ci si accorge di essere divenuti parte integrante di un sistema indiscriminatamente e crudamente produttivo, che per definizione sa annettersi tutto e il contrario di tutto, purché prontamente vendibile e consumabile. Meglio dunque cercare di capire di più e motivare più profondamente sia in positivo che in negati-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==