Il Romanticismo a cura di Marcello Pagnini Bologna, Il Mulino, 1986 pp. 396, lire 30.000 Tzvetan Todorov Critica della critica Torino, Einaudi, 1986 pp. 200, lire 12.000 e omplesso e instancabilmente indagato a livello teorico è il rapporto che la letteratura intrattiene con la realtà, con quel mondo circostante e contemporaneo col quale mutua la propria esistenza e che contribuisce a trasformare in un incessante scambio. Letteratura come specchio, mimesi del reale, come sua idealizzazione, come evasione, come assorbimento o attualizzazione di modelli, infine come «omologia» strutturale; tante le risposte al problema e, fra le tante, anche la tendenza del nostro secolo, del metodo formale prima e dello strutturalismo poi, di non considerare la realtà, il referente e di concentrarsi sul senso dell'opera, sull'interazione e sul rapporto dei suoi elementi interni, in una coerenza e autonomia di funzione e di scopo. Ora, dopo tanto parlare di morte dello strutturalismo, è proprio da due critici «strutturalisti» che giunge la proposta di reintegrare nell'analisi ciò che pareva mancasse a quel metodo: il rapporto con la «vita». Certo, i due autori si muovono in direzioni diverse e i due testi di cui parlo sono opere differenti: il libro di Todorov è un'affascinante riflessione sulla funzione della critica ma, soprattutto, un ripensare «sentimentale» al proprio cammino di critico, il libro di Pagnini è invece un'ampia riflessione sul Romanticismo inglese, un libro dichiaratamente «contestuale» che seleziona e coordina una serie di interventi dei maggiori critici sull'argomen-· to, suddivisi per temi (teoria e criL a sindrome da perdita del senso drammatizzata dal termine nichilismo è un morbo che vanta una lunga preistoria, per quanto relativamente prossima appaia storicamente la sua diffusione. Ove si voglia evitare, tuttavia, di evocare semplicemente i prodromi di uno scenario ormai familiare, può accadere di dover problematizzare il termine di partenza, sollevando perplessità sulla sua compattezza gergale, reimpostando una partita teorica appiattita sulla liturgia delle formule. È il disegno di lavoro cui si accinge questo libro a più voci, che concentra lo sguardo su alcuni episodi della fondazione del moderno: dal gesto inaugurale della riflessione di Montaigne alle sperimentazioni sistematiche del giovane Hegel. Fatto di una stoffa disegua{e, alterna tra ordito storiografico e trama teorica, il volume si organizza attorno a un filo rosso concettuale che è il dimensio, namento dello statuto della credenza attorno a un dispositivo, adombrato dalla chiave di lettura espressa in queste note, che è il funzionamento del paradosso sul registro della tematica e della testualità filosofica. eraturaerealtà tica, nuove modalità scritturali, scrittore e pubblico) e per campi diversi (letteratura, arti visive, musica, storia ecc.). Pure, oltre ad essere una preziosa antologia di contributi su un movimento letterario e culturale, il lavoro di Pagnini è in realtà anche un discorso sulla critica e sulla funzione del critico, è l'applicazione diretta su un periodo storico di un modo di intendere l,acritica letteraria come interpretazione non solo di testi in senso stretto, ma del mondo culturale, economico, politico, artistico, che ad essi è contemporaneo; è l'attuazione di quella «pragmatica della letteratura» che Pagnini aveva già qualche anno fa proposto in senso teorico e poi anche esemplificato in una finissima analisi di Kubla Khan di Coleridge apparsa su «Intersezioni» (IV, 3, dicembre 1984); recupero della cultura, di un tempo complesso, poliedrico e plurilivellare e delle sue profonde e raffinate relazioni con la creazione artistica. A delineare la complessità dei contesti culturali tende l'intera collana cui il libro dà il via, assieme ad altri due volumi usciti contemporaneamente (sul gotico, a cura di Mirella Billi, e su Shakespeare e il linguaggio, a cura di Keir Elam), e che si concentra appunto su periodi, gusti e temi della letteratura inglese. Quello che Todorov cerca invece di recuperare non è tanto il contesto culturale, quanto una dimensione etica, secondo lui assente nel pensiero critico del nostro secolo. «È tempo di affrontare (e di affermare) alcune evidenze che non avremmo dovuto dimenticare: la letteratura concerne l'esistenza umana e, a dispetto di chi ha paura delle grandi parole, è un discorso che tende alla verità e alla morale. La letteratura è svelamento dell'uomo e del mondo, diceva Sartre; e aveva ragione. Infatti essa non sarebbe nulla, se non ci permettesse di capire meglio la viLoretta Innocenti ta». Un ritorno su posizioni passa-- te, superate, «idealistiche», della letteratura? No, quello che Todorov propone è un passo avanti, prendendo le distanze dagli errori che riconosce e identifica in due atteggiamenti fondamentali: quello «dogmatico» della critica che crede di detenere la verità e che ne vede l'illustrazione (positiva"'Onegativa) nell'opera, e quello «immanente», che non giudica, che non cerca la verità, limitandosi a cercare il senso dell'opera nel suo meccanismo di oggetto. E, come il recupero del contesto culturale per Pagnini non può prescindere dalla consapevolezza formale raggiunta con lo strutturalismo e non può più essere semplice raffronto 1 • Senza titolo, s.d., inchiostro su carta, 57,7 x 45.7 cm sociologico o storicistico, ma deve essere sistematizzazione di analogie morfologiche, di omologie strutturali ed epistemiche, così per Todorov la consapevolezza «letteraria», acquisita con anni di speculazioni sul testo, non è più dimenticabile. La letteratura si fa con la letteratura, «il desiderio di scriv,ere non viene dalla vita, ma dagli altri libri», e in uno scambio solo apparentemente paradossale, mentre le opere parlano sì dell'uomo, ma anche di altre opere, la critica non è relegata nello spazio speculare e speculativo del metalinguaggio, ma parla anche della vita. E, naturalmente, parla anche della critica, di se stessa, e parla con la critica in un fecondo dialogo. La «critica dialogica» è per Todorov l'esperienza più ricca e più onesta: parlare all'opera, non imporle arbitrari sensi nascosti, o un significato e un'ideologia che sono del critico, né rinunciare a cercare la «verità», ma lasciare che la propria voce di soggetto che riflette e che giudica dialoghi con quella del testo. Nel costituirsi come soggetto, è la possibilità di opporsi al proliferare infinito della interpretazione, «di opporsi al nichilismo senza rinunciare ad essere atei», e il lavoro critico deve anche avvalersi dell'integrazione dell'opera in contesti sempre più vasti, epocali e letterari, storici, culturali. I due libri appaiono come libri di voci e come libri in cui domina la lettura, l'ascolto. È una lettura soggettiva, affettiva, quella di Todorov, che ripercorre in un suo dialogo con vari critici e scrittori e con varie correnti critiche, quello che l'autore stesso chiama il suo apprendistato. Gli interlocutori sono scelti col criterio della «corrispondenza segreta», della vicinanza, dell'ammirazione (i Formalisti, Bachtin, Frye, Watt, Bénichou), dell'amicizia persino (Barthes), ma anche della negazione, della non adesione (Blanchot). Ed è invece lettura oggettiva quella di Pagnini, che nell'introduzione fornisce al lettore una sintesi, una modellizzazione, e mette in evidenza le costanti paradigmatiche del contesto culturale inglese romantico, senza tuttavia cedere alle lusinghe del modello astratto, della griglia a priori, della tipologia lotmaniana che spesso approda a definizioni così ampie da perdere specificità. L'introduzione non è allora una premessa, bensì un discorso posterioScetticismeonichilismo Così nella speculazione di Montaigne, finemente ripercorsa da Lupi (Montaigne o il mattino degli spiriti liberi), l'esercizio filosofico ondeggia tra il partito della via negativa (intense, come attesta anche l' Apologie de Raymond Sebond, libro XII degli Essais, sono in Montaigne le filiazioni dalla teologia apofatica), e una riconsiderazione del/'artificialismo epistemologico (dagli epicicli della cosmologia alle congetture mediche). Ma la condanna delle varie forme di sapere esposte alla corrosione della scepsi coesiste in Montaigne con la tematizzazione della necessità relativa delle loro illusioni e con un'attenzione proverbiale all'universo della finzione: Fable oenigmatique e non altro è, difatti, la stessa pratica filosofica: la vocazione fabulatoria del suo saggismo richiama irresistibilmente le figure del sapere su cui cade il suo discredito. Dal canto suo, Panella ricostruisce un teatro filosofico di alta suggestione, imbastito sul trinomio Hume-Hamann-Kierkegaard (Da Hume a Hamann. Dalla critica antropologica alla kénosis del miracolo). La lettura di Hume che passa in Hamann è imperniata su Gianfranco Gabetta una distorsione feconda che altera la grammatica della credenza: la pervasività aporetica del belief si traduce nel/'affermatività del Glaube, laforma in cavo della credenza nella parola piena della fede. Energico contrappasso in cui la radicalizzazione degli esiti scettici funge da avallo per un rovesciamento e inveramento in chiave religiosa: e ciò proprio a partire dallo svuotamento prodotto dalla critica humeana alle sovrastrutture storiche della religione come alla plausibilità di un'equazione tra fede e ragione. Paradosso che acquisirà, in Kierkegaard, più alte punte di drammaticità, ma non senza il cilicio del/'«ironia» socratica: e qui, dietro il filtro delle Sokratische Denkwiirdigkeiten di Hamann traspaiono lo humour e le dissolvenze del magistero scettico di Hume. U n excursus sulla genealogia del termine «nichilismo» è offerto dal contributo di Varnier (Il nichilismo tra Jacobi e il giovane Hegel. Paradigmi per una critica del rappresentazionalismo). L'area di incidenza del paradosso è circoscritta agli esiti della critica jacobiana allo stile di pensiero modellato sulla dimensione propositiva e speculare della Vor-stellung (ivi definito appunto «rappresentazionalismo»), la cui deriva conseguente è l'approdo scettico. La critica hegeliana della Reflexionsphilosophie si inaugura , con esiti analoghi, attraverso la rigorosa delimitazione tra scepsi antica (autenticamente filosofica, concepita come incorporata e integrata al sistema in via di costruzione), scepsi della ragione, e moderna e degenerativa scepsi del- /' intelletto. Ma che l'insinuazione scettica non ammetta, di fatto, un embodiment nella teoria, è ad un tempo il problema e l'oggetto del contributo, il più esplicitamente teoretico, di Genovese (Hume e la filosofia antropologica). «La natura ci porta a giudicare come a respirare e a sentire», sentenzia Hume, e non è dato esimersi dalla forza d'inerzia e dalla «capacità di resistenza» delle credenze, portato naturale delle forme di vita. Ma dal punto di vista teorico, tale neutralizzazione si inceppa. L' «autodeparadossalizzazione» spontanea è preclusa al pensiero in quanto sistema che si autosserva, generatore di un groviglio inquietante di pare, un «tentativo di coordinare e integrare i vari elementi e le varie interpretazioni dei molti piani della cultura romantica», la proposta di un percorso di lettura, in cui si è interessati al «cumulo dei modelli omologici, che costruisce l'unità interna del nostro grande fenomeno culturale. E soprattutto perché all'interno della complessa stratificazione dei sistemi le omologie conducono a un 'paradigma' che ha un grande valore per ogni considerazione sulle cosiddette 'visioni del mondo'». La ricerca del paradigma non impedisce però di vedere in senso dinamico l'interazione di sistemi e modelli in continua trasformazione, analizzati in un taglio necessariamente sincronico. In tutti e due i testi sincronia diventa sinonimo di compres_enza, di contemporaneità, di quel pluralismo di voci diverse che Todorov, autostoricizzando la sua posizione critica, riconosce omologo al contesto culturale, ai sistemi relativistici e democratici del mondo contemporaneo. Ma, a questo punto, sorge una perplessità: se era utile autocontestualizzarsi, capire le ragioni storiche e culturali delle proprie posizioni, e necessario recuperare la soggettività nella critica (in fondo però inevitabile), sostituendo ad una verità monologica la «plausibilità» dialogica, la pluralità delle voci, spesso però per l'opera Todorov •parla di «verità» in modo totalizzante, senza sfumature, forse perché essa è vista come fine ultimo e ideale di una continua ricerca. Ma, se questa «verità» esiste - e lo credo - non è piuttosto essa stessa una «verosimiglianza», per usare lo stesso termine che Todorov applica alla relatività della critica, perché legata alla ricezione (ma non in senso decostruzionista) e sempre legata al contesto storico e culturale? tologie. Né l'«autodeparadossalizzazione» può esser estorta nella forma di una distanza di sicurezza, tramite una confutazione valida una volta per tutte, sull'esempio· del venerabile argomento aristotelico per ritorsione, mirato a sorprendere lo scettico in flagrante autofagia. Inerme di fronte alla minaccia scettica che la erode dall'interno, la teoria sarebbe dunque chiamata ad innalzare il livello del/'astrazione, ad allestire uno «sguardo estraneo», «distante», concentrato sulle latenti opacità del regime di autoosservazione. È il nodo del- /' «autoreferenzialità» caro alle problematiche sistemiche di Luhmann. L'ipotesi che ne consegue è una traslitterazione della tradizione filosofica che riconverta il suo orizzonte meramente coscienziale in una rinnovata consapevolezza sistemica, incentrata sul/'asse del/'«autopoiesi». F.W. Lupi, R. Genovese G. Panella, V. Varniei: Tra scetticismo e nichilismo Pisa, ETS, 1986 pp. 158, lire 13.000
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