Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

scolinizzate dall'attività politica hanno in genere un insieme di istinti, di preesistenze, di condizioni di fatto (es. la maternità) e di condizionamenti che, se non altro, riducono questa regressione. Poiché appunto le partner non sono contente, ed il rapporto è investito da tensioni, diventa necessario ristabilire l'ordine ed il controllo. Qui il nostro uomo pubblico fa ricorso alle sue virtù politiche e alla sua esperienza professionale: diplomatizza il conflitto, finge una priorità familiare che intimamente non sente, media, si giustifica. Si verifica così un chiasmo, un curioso scambio reciproco di ruoli: l'affettività si consuma e si riproduce soprattutto fuori dalle relazioni primarie, nelle quali invece si fa ricorso a virtù politiche, diplomatiche, di contrattazione, che dovrebbero essere pertinenza della vita pubblica. Perché questo accade? In realtà la vita pubblica non è sede di una affettività reale, ma di una sua imitazione, di una mimesi. Loscopo della vita pubblica ha a che fare con l'affermazione delle idee, con il cambiamento sociale, con l'amministrazione dello Stato, con il potere. Questa è la sua finalità e il suo ambiente. L'affettività che si consuma nello stare insieme in lunghe riunioni, o nel partecipare a riti vari, è soltanto un effetto collaterale, un sottoprodotto, un qualcosa di indiretto e di accessorio rispetto ad una struttura rispondente ad altri fini. Scambiare un effetto collaterale con la sostanza è possibile perché c'è di mezzo il potere, e dunque la circolazione di dosi massicce di narcisismo, con la sua potente e pericolosa qualità di far sembrare ·vero ciò che è solo un'immagine riflessa in uno specchio d'acqua, Quale soprannaturale meraviglia, E che miracolo è questo Io tiro acqua dal pozzo e porto la legna! P'ang-yun I n un recente film di Herzog. La collina dove sognano le formiche verdi, un aborigeno spiega ad un ingegnere minerario perché egli, insieme ad altri della sua tribù, stia seduto di fronte ai buldozer che vogliono spianare la collina. Allo stupore dell'ingegnere che cerca l'uranio e non capisce cosa ci sia da difendere in una plaga deserta e ventosa, l'aborigeno risponde: «Se venissimo in Europa e decidessimo di demolire la cattedraledi Colonia per vedere se sotto c'è qualcosa di prezioso cosa ne pensereste? Ecco per noi la cattedrale di Colonia è questo paesaggio, questo posto e questa collina». La risposta dell'aborigeno, rivela le radici della nostra impossibilità occidentale, europea di avere una relazione con la natura. La natura, cioè il mondo di acque, terre, venti, alberi, animali non ha importanza, quasi non esiste perché abbiamo ridotto i nostri luoghi sacri a contenitori specializzati, chiese, oratori, simulacri. E da lì ci siamo mossi per negare poi del tutto sacralità e personalità al mondo intorno a noi. Convinti di essere noi, in carne e ossa, l'unica manifestazione della potenza divina, abbiamo poi rinunciato anche a chiese e templi per divinizzare le attività umane, la produzione, lo sfruttamento della natura, degli animali e di altri uomini, o la scienza e la costruzione «scientifica»della realtà. Così «umano» è diventato sinonimo di unico elemento che meriuna immagine virtuale. Ecco il punto: l'affettività esercitata in politica, favorita dai buoni uffici del narcisismo, è virtuale; non ha la pregnanza tagliente di quella reale; non ha l'acutezza dello sguardo di un bambino che ti giudica, non ha il coinvolgimento appassionante di un atto d'amore fra persone e non fra una persona e un'istituzione (fra una persona e una cosa), cioè di una persona da sola. Non ha pregnanza, non consente feedbacks, verifiche, non fa crescere perché non modifica chi la pratica. della maturità dovrebbe essere una vita trascorsa, anche affettivamente, dentro le mura familiari o nel chiuso - privato degli affetti? No, per carità; non è difficile enumerare i rischi, i condizionamenti storici, le debolezze sociali di chi pratichi una concezione tutta privata della vita e anche degli affetti. Detto questo, tuttavia, l'infantilismo affettivo nei politici è molto diffuso, con l'effetto politico (una ironia della sorte) di non capire tanta parte della vita del «popolo» o delle «masse» cui continuamente ci si richiama ed in nome dei quali Wotan, 1950, olio su tela montata su masonite, 140 x 199 cm Essa è dunque particolarmente congeniale a chi, per motivi suoi, non ha potuto sviluppare una dimensione affettiva adulta, matura, pienamente individuata; ed è rimasto indietro, ad una affettività infantile, protettiva, subalterna, gregaria. In fondo, la vera accusa è l'infantilismo, non l'assenza. Si intende qui affermare che tutta la partecipazione politica è frutto di questa regressione all'età infantile? E che dunque il modello si pretende di parlare. Anche per gli uomini politici (e indubbiamente ve ne sono) che non ricadono in questa definizione, l'infantilità schematica degli affetti, dei rapporti sbrigativi e sommari con partner e figli è comunque un rischio professionale, da cui guardarsi come UJl. minatore deve prevenire la silicosi; o se preferite una tentazione, un'area debole da tener sempre sotto controllo. Certo la prevenzione (e ancor più la riabilitazione) sono cose difficili, senza una coscienza vera e lontana dal trattamento ammiccante e salottiero della questione. Di qui la sua vischiosità, la sua resistenza; ed il franco scetticismo su soluzioni che, senza prendere coscienza, puntino solo a riequilibri nei tempi di vita. Ma non solo di qui vengono le resistenze: è la politica stessa a reagire con grande fastidio e irritazione ad ogni tentativo di introdurre queste ipotesi di interpretazione. La Politica (se è lecito personificare questo nume) si preoccupa prima di tutto che non si identifichi la partecipazione politica con il narcisismo (ed è una preoccupazione comprensibile, perché ne minerebbe le basi stesse): per essa il narcisismo è solo una «degenerazione». Noi non abbiamo affermato qui che tutta la Politica è narcisismo; ma abbiamo ricondotto una parte di essa ad un appagamento virtuale di affettività, e questo è qualcosa di più di quella «degenerazione» che la Politica è disposta ad ammettere, argomentando che in ogni attività c'è una piccola percentuale di «errore» o di «male». La Politica adotta allora, nei nostri confronti, una linea più arretrata di difesa: essa ribadisce la propria estraneità a fraintendimenti e travisazioni che avvengono per esclusiva opera di singoli adepti, fuori dal suo controllo, e che dunque devono ascriversi completamente alla loro responsabilità. Questo scarico di responsabilità è un po' troppo comodo e contiene in sé qualcosa di pilatesco. Certo, se uno si rovina la vita deve prendersela soprattutto con se stesso: tuttavia può aver incontrato per la strada dei cattivi consiglieri. Per molti anni, ed ancora adesso, la Politica ha rastrellato verso di sé tutte le energie Manifestaonimista ti, se abbastanza forte, di sopravvivere, o comunque ·di esprimere la sua potenza o la sua sconfitta. La Storia si è staccata dalla Storia Naturale per diventare Progresso, una strana tautologia in cui tutto ciò che l'uomo fa, basta che sia differente da quanto ha già fatto e di per sé viene considerato «più avanti»: ·Mai l'uomo è stato così solo, così illuso di esistere lui soltanto, a prescindere dall'aria che respira e dal cibo che lo nutre. In questo lo hanno aiutato molti secoli di religione «ufficiale», fosse essa cristianesimo, buddhismo o islamismo. La religione ha «ridotto» la superficie del cosmo da considerare sacra, ha reso la natura e le sue manifestazioni cosa da usare e da esaurire. I popoli indigeni, al contrario, hanno sempre creduto che la natura, il cielo, gli astri, gli animali fossero da considerare come un « Tu» con cui intrattenere rispettosi, dialettici rapporti. La natura e il suo «discorso» come alieno all'uomo, ma capace dicomunicargli cose che egli non sa, ma può apprendere o imparare a sentire. Varie tecniche e discipline presso i popoli indigeni insegnavano agli adolescenti a «capire» la natura intorno e a «consentire» con essa. La natura era, se si vùole usare questo termine, Dio, ma nel senso che essa era personale e animata; gli indigeni credevano e credono ancora che le cose, gli animali, gli astri hanno un'anima e sono per questo da corteggiare, convincere, contemplare e che è importante lasciarsi da essi convincere, •• éorteggiare, accogliere. La natura è temibile oltre che adorabile e quindi richiede l'intelligenza di una adorazione attiva, non bigotta o «moralistica». Cosa hanno fatto le grandi reliFranco La Ceda gioni e soprattutto il cristianesimo? Hanno distrutto i popoli indigeni, condannato il loro paganesimo e la loro idolatria, proclamato una sola fede vera ed universale, un solo Dio astratto, asettico, i cui messaggi anche se proclamati come messaggi d'amore sono «scritti» e trasmessi in libri sacri e protetti da una casta sacerdotale. Anche gli indigeni hanno sciamani e stregoni, ma questi possiedono solo una parte della potenza del messaggio naturale; per il resto la natura è il luogo della o delle Presenze ed ognuno sta a contemplarle e ad ascoltarle. L'ecologia occidentale è una ridicola pantomima scientifica di uno spirito di comprensione dell'intorno naturale che l'ultimo degli indigeni aveva ed ha per motivi interiori e di sopravvivenza. Si badi, la sopravvivenza degli aborigeni non è il cibo, ma un rapporto diretto con le risorse, un rapporto simbolico e reale. Nessuno come la Chiesa missionaria ed universale ha distrutto premeditatamente qut!sto rapporto. La conquista dell'America, dell'Africa, dell'Asia sono state la sistematica distruzione delle culture indie e indigene e del loro rapporto millenario ricchissimo e sacro con l'ambiente circostante. Ogni missione che veniva costruita, ogni chiesa che veniva eretta corrispondeva allo sradicamento f orzato di migliaia di indigeni, alla punizione militare della loro fede animista, l'avviamento al lavoro forzato, ripetitivo, coscritto. Nessuno scriverà mai con tanto sangue e genocidio la storia come ha fatto la Chiesa d'Occidente nel resto del mondo. Ma la devastazione è avvenuta anche in patria, dove per secoli la Chiesa ha continuato a perseguitare pratiche «pagane», contadine , animiste, pratiche legate alla fertilità, ali'adorazione del ricorrere delle stagioni, alla gioia di vivere negli e degli elementi naturali. Gli «spiriti» della terra sono presto diventati demoni e stregonerie. Solo un miracolo ogni tanto nella storia della chiesa, come Francesco d'Assisi, ha potuto scalfire questa furia devastatrice. L'eresia di S. Francesco, di chiamare fratello il Sole, come gli indiani Hopi, e di sentire che la natura è fatta di presenze non è stata condannata dalla Chiesa ufficiale solo perché troppo popolare e potente e rinnovatrice. Eppure quanto di questa sua potenza è stato subito dopo cancellato, se gli stessi francescani si sono macchiati di tanti delitti contro gli indigeni. Le altre religioni quando hanno assunto vesti ufficiali non sono state da meno; l'intolleranza del-. l'islam nei confronti dei popoli «animisti» africani, le persecuzioni de( buddhismo contro i gruppi taoisti e i gruppi «pagani». Anche se c'è da dire che il buddhismo ha poi sempre creduto nella contemplazione nella e attraverso la natura, come testimonia l'arte, la pittura, il monachesimo, le pratiche «zen». In Occidente solo un certo misticismo orientale, quello della Chiesa d'Oriente, con i suoi monasteri innestati nella contemplazione del creato, ha toccato vertici di medesimo rispetto. L'ecologia oggi è la stampella di un mondo malato e di una società che cerca nella scienza ancora una volta il rifugio della sua insipienza. Non è l'ecologia che può salvare il mondo dalla catastrofe ambientale ed alimentare. Per il fatto stesso che l'ecologia può raccontapossibili, ricorrendo ad una frenetica attività esortativa e a massiccie incursioni nella morale. Molta della sua propaganda ha avuto, come vero target, una platea di attivisti da legare sempre più strettamente a sé, piuttosto che la gente comune. Come nella vecchia esperienza militare, i soldati devono sempre avere qualche corvée da fare, anche quando è del tutto inutile, purché stiano occupati' e in pressione. Ma nello sforzo di reperire energie e di arrestare la dissaffezione, poco ci si è curati dei prezzi che alcuni o molti dovevano pagare per il loro coinvolgimento totale nell'attività politica. Senza· di esso, fra l'altro, vacillerebbero istituzioni della politica, specie a sinistra, costruite su questo volontarismo senza il quale non sopravviverebbero per sei mesi. Potrebbe darsi che questo frenetico drenaggio di persone (magari bruciate in pochi anni) fosse un'esigenza vitale di sopravvivenza, che però non è opportuno rivelare. Se così fosse, la politica come impegno apparirebbe come un insieme di regole in gran parte occulte e non scritte che tali vanno mantenute. Con le battaglie che si fanno per imporre la data di scadenza su una scatola di pomodori, forse varrebbe la pena di dedicare un po' di attenzione anche alle parti occulte del «contratto» fra i singoli e la politica, o a quelle scritte in caratteri piccolissimi, come in certe polizze di assicurazione. Ancora una volta, comunque, vale il vecchio consiglio secondo il quale le parti scritte in carattere piccolissimo sono le più importanti del contratto. Conviene leggerle bene; e conviene portarle alla luce, per farle leggere bene anche •agli altri. re la natura, ma mai spiegareperché la natura merita lo stesso rispetto degli esseri umani. Solo un ritorno all'Animismo, cioè una adorazione silenziosa della vita nei suoi aspetti non nostri, ma dentro cui siamo e respiriamo e funzioniamo, può essere una svolta. Ma per questo occorre che le parti ancora sane delle Chiesef acciano onestamente ammenda e dichiarino la loro ignoranza in merito. La Chiesa cattolica ha cosificato Dio nella sua burocrazia, ma non è stata mai capace di dirci quanto di Dio c'è in un animale. Le sue affermazioni in questo campo sono balbettanti ed impaurite. E la sua incapacità ha devastato e, nel migliore dei casi, ha creato un vuoto dentro cui si sono scatenate le rapine più spaventose nei confronti della natura e dei popoli indigeni. Oggi però sappiamo che inevitabilmente indigeni lo siamo tutti, perché ognuno di noi vive in un «Qui» che è più o meno inquinato, avvilito, spaventosamente snaturato. E l'unica possibilità ai sopravvivenza, spirituale e materiale è che noi ci «abbracciamo» a questo «Qui» e ricominciamo ad a,:narlocome se fosse un «fratello» o una «sorella». Tutto questo è per molta parte dell'Occidente solo pura eresia o stupidità. Ma il destino del mondo rimane lo stesso inesorabilmente legato ad un «modo» di vedere e di essere che solo i popoli indigeni possono insegnarci. E ora che riconosciamo le nostre responsabilità nei loro confronti e che ci accorgiamo di essere come loro, avvolti nella stessa estinzione o nello stesso futuro.

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