Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

Tempoa, 111,1e.rpeolitica D a qualche anno, come un'onda di piena che si ritrae, la politica ha ridotto il suo spazio lasciando affiorare territori che prima considerava di sua orgogliosa pertinenza. Persone che sono state in passato molto impegnate politicamente non sono più disposte - anche quando continuano ad avere opinioni ed attività in questo campo - a considerare la politica come un elemento ordinatore delle altre scelte della loro vita. Sin qui, nulla di particolarmente nuovo. Soltanto che noi non rinnoviamo ogni giorno le nostre scelte: la nostra vita è un impasto fra decisioni prese stamattina (alzarsi, farsi un caffè), qualche anno fa (innamorarsi di una persona), nell'adolescenza (studiare medicina, o filologia classica; oppure andare a fare il meccanico). Siamo un po' come una città, in cui convivono vecchie chiese, palazzine degli anni venti, edifici di ieri. C'è in giro una generazione che ha qualcosa meno di quarant'anni, e che ha plasmato le scelte fondamentali della propria esistenza, le priorità, le abitudini, in un particolare momento di grande coinvolgimento collettivo (sono gli anni dal 1968al 1976);e che ha adottato scale di valori che mettevano al primo posto l'impegno, la dimensione sociale e pubblica, fini di interesse generale e non individuale. Ora quel fondale di valori è largamente in disuso, ma le scelte compiute allora continuano a far sentire i loro effetti, come la luce di stelle già morte continua a giungere sulla terra e ad illuminarla. Parlo anche di scelte pratiche: un ménage familiare, un lavoro, un nome per un figlio·. Vivere stretti da regole non più applicabili è una contraddizione, ed essa produce disaglo. È il disagio di chi si sente tenuto a fare certe cose e ritiene di non poterne compiere altre che desidera intensamente. È una sensazione molto diffusa. La forma più comune in cui questo disagio viene alla luce, ed è comunicato a se stessi e agli altri, è l'angoscia del «non ho tempo»: per la mia vita, per pensare, per l'amore, per fare finalmente quello che ora riconosco come piacevole e congeniale. «Non ho tempo» sembra una constatazione neutra, come «l'albero è verde». Eppure già in essa c'è un inizio di distorsione del problema, che allontana la possibilità di capirlo seriamente. In che modo si verifica questa distorsione? Pensiamo, ad esempio, a chi risponde ad una pressante richiesta di pane con il semplice e definitivo «Non ho pane». La curvatura della frase suggerisce che l'impossibilità di dare pane è oggettiva, dipende non dalla propria volontà ma da una carenza del bene desiderato. In questo senso è una frase ultimativa, che non ammette insistenze o repliche; non ammette ~ c::s svolgimento alcuno. Ma siamo .E; proprio sicuri che il pane manchi? [ «Ho' del pane, ma non voglio darr--.. tene», sarebbe la verità, ma è ~ scortese da dire; e forse anche dif- ....., e ficile da pensare, perché infrange ~ ~n modello di solidarietà che abE biamo dentro, crea un senso di ~ colpa. «Non ho pane» è molto più s::: semplice, da dire e da pensare, per ~ se stessi e per gli altri. -Cl «Non ho tempo» (perla vita pri- ~ 11 vata, per mio figlio, per un partner) è una forma analoga di falsa coscienza. Sottintende una distribuzione degli spazi temporali tutta oggettiva, tutta determinata dagli altri, in cui noi stessi saremmo oggetti e vittime, non avremmo su noi stessi alcun potere. Vittime innocenti, prive di scomode responsabilità. Naturalmente non è vero. Ciascuno di noi, se vediamo la cosa un po' in distanza, fa esattamente quello che vuole veramente fare: è determinato, nel lungo periodo, più dai propri desideri, dubbi, paure, che dalle condizioni estertensione fra individui legati da rapporti di affetto, da abitudini di vita comune, da patti reciproci. Molto spesso anche le tensioni fra le persone, che scaturiscono dalla somma di due disagi, assumono la forma di controversie attorno all'uso del tempo. È abbastanz.a comune, ad esempio, il caso di mogli che si sentono «lasciate sole» di fronte a problemi di lavoro domestico, di educazione dei figli, di economia familiare; ma soprattutto si sentono abbandonate sul piano affettivo. Nella carenza di affettività da parte dei loro partner La controversia sull'uso del tempo - con questa eventuale, ma non esclusiva, polarità maschile/femminile - segna oggi una parte consistente delle relazioni primarie fra le persone, specie di quelli elettive (determinate cioè dall'affinità e non da un vincolo di parentela). Una richiesta di tempo avanzata da un partner risulta assai penetrante e pervasiva; si insinua fra le scaglie della nostra corazza e si diffonde rapidamente al nostro interno, proprio perché la critica che in essa è implicita non riguarda un aspetto particolare Mars bianco e nero, s.d., olio su tela, 208,3 x 139, 7 cm ne. Anche l'organizzazione del nostro tempo dipende da noi ben· più di quanto siamo disposti ad ammettere. «Non ho tempo» è in realta un parlare metaforico; si dovrebbe dire: «Non ho disponibilità personale». Ma con questa trasposizione, con questa metafora, si ottiene il risultato di eliminare la · soggettività, la nostra parte di scelte e di decisioni, di responsabilità. Peccato che così facendo si pregiudichi anche una soluzione. Non c'è soltanto, tuttavia, il disagio personale. C'è anche la contraddizione fra due persone, la si può cogliere un altro aspetto negativo del dover convivere con scelte fatte in altri tempi. Se un giovane uomo sceglie di passare dieci anni determinanti della sua vita (dai venti ai trenta) a fare altre cose (l'affermazione pubblica, l'impegno collettivo), anche se decide di cambiare non può cancellare con una conversione repentina, pur se convinta, la mancanza di formazione affettiva, di addestramento, di maturazione personale alla vita intima che quel decennio ha determinato. Rimane comunque impreparato, immaturo. della nostra vita, ma la sua organizzazione complessiva. Prevale un atteggiamento difensivo: la prima reazione sembra quella di serrare la guardia. Può seguire un arrettramento tattico con annessa parziale autocritica, la confutazione delle punte estreme dell'argomentazione della controparte, l'invito alla moderazione, alla trattativa, in nome del buon senso, della comune buona volontà, di un equo compromesso. Può esservi anche una risposta in quella chiave umoristica e allusiva, che sembra adattarsi ai problemi intimamente più imbarazzanti. L'importante è comunque ammorbidire la radicalità dell'argomento. È una radicalità forte; e lo dimostra il fatto che - indipendentemente dall'esito delle mille controversie particolari - la questione è diventata pubblica, e coinvolge l'uso sociale del tempo. Simbolicamente il bersaglio (forse anche il capro espiatorio) è il politico. a tempo pieno: sia il funzionario dagli orari impossibili, sia chi dedica alla politica tutto il tempo lasciato libero dal lavoro con cui si guada- • gna uno stipendio. Di fronte a ripetute e stringenti contestazioni, nessuno nega più che in tali attività politiche si impieghi troppo tempo in cose scarsamente ùtili. Tutti però continuano a farle, quindi una loro utilità non scritta e occulta evidentemente deve esserci e le ammissioni e autocritiche sono solo di maniera, o di facciata. Con questa doppia verità la soluzione (anzi, la semplice comprensione) del problema si allontana ancora: tipico l'invito, veramente non nuovo, ad accorciare la durata delle lunghe e verbose riunioni. Se esse, nonostante ripetute esortazioni, mantengono inalterate le loro caratteristiche, evidentemente qualche motivo deve esserci: motivo, al solito, sommerso. Più precisamente, almeno quello che fra i loro scopi c'è anche la fornitura di una sede di comunicazione e di scambio verbale, d'intrattenimento, di «stare insieme» a persone che solo in tal modo soddisfano un loro bisogno primario. e iò suggerisce l'ipotesi che per molti politici l'attività pubblica sia prima di. tutto una dimensione affettiva; appunto la se-. de dove ricercare e trovare amicizia, forza, solidarietà, pathos, filìa, scontro, battaglia delle idee, con scambi comunque ad alta energia; con tensione, impegno, partecipazione, la soddisfazione del prender parte. E dunque ricerca, appagamento, e scarico di tensioni e di conflitti. La famiglia, o il rapporto amoroso con un partner, regredisce: non è più sede primaria di scambi affettivi ma di volta in volta base logistica da cui partire per le proprie spedizioni politiche, necessità sociale, preesistenza di cui è inopportuno o impossibile disfarsi, sede di un appagamento dell'affettività (o della sessualità) che ha carattere discontinuo e periodico; tutto l'opposto della quotidianeità, e piuttosto un fatto simile al riposo del guerriero, alla consolazione dell'eroe, alla periodica manutenzione genitale. Talvolta questa regressione è bilaterale: esistono relazioni affettive concordate e virtuali (un po' come erano un tempo i matrimoni di copertura degli omosessuali) fra partner che entrambi investono la loro affettività nel mondo collettivo ed esterno. Mi sembra però assai più frequente che la regressione sia unilaterale, successiva allo stabilirsi dei legami affettivi e dei patti reciproci che li seguirono. In questo caso lo spostamento dell'affettività dalle relazioni primarie elettive verso l'impegno esterno non può essere molto gradito dai partner. Dalle partner, potremmo dire, perché di solito, anche se non sempre, questo spostamento è prerogativa maschile: anche le donne più tristemente ma-

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