mettersi alla metafisica stessa, così il superamento della soggettività che di quella metafisica è il fulcro può avvenire non attraverso un «semplice» abbandono, un accantonamento o una esclusione, ma al contrario tramite uno scavo interno, una trasformazione della attività del soggetto della volontà di potenza nella passività del soggetto sensibile, come ciò che è esposto alla storia e alla violenza della metafisica, oltre che esserne vettore e attore. Su questa strada, il percorso di Rovatti incontra per forza di cose la riflessione di Emmanuel Lévinas che, a partire dagli anni trenta, aveva incominciato a elaborare una mediazione tra Heidegger e Husserl che si appoggiava principalmente sulla nozione di passività, sul soggetto come sintesi passiva e esposizione all'alterità; in Lévinas «ilmovimento della passività è [... ] uno svuotamento, un sottrarre, un allontanarsi da quell'io che fermamente credevamo di essere» (p. 90). Il periplo di questa mediazione viene a toccare quell'altra mediazione tra Heidegger Pierre Drieu La Rochelle Racconto segreto Milano, Studio Editoriale, 1986 pp. 116, lire 16.000 Zeev Sternhell Ni droite ni gauche Parigi, Seui!, 1983 trad. it., Né destra né sinistra Napoli, Akropolis, 1984 pp. 360, lire 20.000 P er definire l'impatto delle idee della nuova Destra sul mondo culturale francese degli anni trenta, Sternhell parla di «impregnazione»; è un termine appropriatò, che rende la simpatia viscerale - non sempre esplicita - con cui molti intellettuali accolsero le idee dei non-conformisti, e la vastità del fenomeno. Lo spirito antirazionalista e antiliberale; l'avversione per la democrazia, una ringhiosa diffidenza nei confronti degli Ebrei, visti come la quintessenza dello spirito borghese, e il desiderio di liquidare il marxismo, considerato un'ideologia superata, sono motivi che riscuotevano notevole successo presso buona parte del mondo intellettuale dell'epoca .. Agli occhi di molti uomini di lettere nel periodo 1920-1930,le nascenti teorie fasciste erano un grande tentativo di affrontare la modernità: e modernità significava innanzitutto ripudiare le grandi ideologie, che mostravano ormai la corda, a favore di un corpus di idee più agile, pragmatico, che tenesse conto dei più recenti sviluppi delle scienze umane. Sternhell mette in evidenza molto bene il clima di grande fluidità nel quale nascono le teorie e i movimenti fascisti d'Oltralpe: temi come l'antisemitismo, condivisi da una parte della Destra e della Sinistra, lo spirito antiborghese diffuso in gran parte del mondo intellettuale francese, ne costituivano il cemento ideologico, ed esercitavano una forte attrazione su un ambiente molto più vasto di quello che aderirà, negli anni successivi, al fascismo prima e alla Collaboration poi. La giovane Destra respingeva il razionalismo e il marxismo, richiamandosi alle teorie evoluzionistiche, alla sociologia di Pareto, al sindacalismo rivoluzionario; e proclamava di voler abbattere i e Husserl a cui si era fatto cenno in precedenza, vale a dire quella di Derrida. In che senso? Principalmente in questo: come in Derrida il linguaggio, concepito come evidenza o cominciamento della filosofia, rivela infine uno statuto ambiguo, quello di una parola che rivela e insieme nasconde, che si presenta come immediatezza e al tempo stesso come mediazione estrema - così il soggetto lévinassiano non è l'evidenza di un cogito, ma la passività opaca di un subjectum che non riesce mai a trovarsi, che è sempre un mistero per se stesso, dunque non è tanto un fondamento ma piuttosto uno sfondamento abissale (gli aspetti psicoanalitici di questa concezione del soggetto come mancanza e enigma sono ben presenti a Rovatti, che mette in relazione esplicitamente - cfr. in particolare le pp. 53-55- la soggettività lévinassiana con l'idea di soggetto elaborata da Lacan). Il punto di contatto tra la filosofia del linguaggio di Derrida e la filosofia del soggetto di Lévinas è indicato da Rovatti nella metafora, che è il tema su cui si chiude il libro (p. 97 e sgg.) Qui la complementarità fra Husserl e Heidègger si caratterizza in negativo: entrambi, infatti, hanno guardato con sospetto alla metafora, o perché si tratta di un procedimento linguistico poco controllabile, oscuro e antiscientifico (Husserl), o perché, invece, la metafora sembra essere il procedimento metafisico per eccellenza, la manifestazione della pretesa di oltrepassare il velo dell'apparenza (il senso figurato) per giungere al proprio, all'essenza, al fondamento. Ora in sostanza il punto è questo: c'è, secondo Rovatti, una solidarietà profonda tra il rifiuto heideggeriano della metaforicità e il sospetto contro l'umanismo e la soggettività; il rifiuto del metaforico sarebbe la manifestazione estrema di quel logocentrismo, di quella presenzialità e evidenza tutta dispiegata che Derrida ravvisa in Heidegger malgrado le apparenze contrarie (come la critica della metafisica della presenza e la tematizzazione della differenza ontologica); analogamente, il sospetto verso la soggettività esprimerebbe il rifiuto, da parte di Heidegger, di esporsi alle peripezie del soggetto come passività e esposizione all'altro, al mondo, alla storia, in nome di un antiumanismo astratto. Qui Husserl e Lévinas andrebbero più lontano di Heidegger: il superamento del soggetto attivo della volontà di potenza non consiste nella esclusione del soggetto, ma nella tematizzazione di un soggetto passivo. Il risultato più notevole di questa lettura consiste probabilmente nel mostrare quanto di tipicamente e profondamente «greco» permanga in un filosofo che per altri versi è così nietzscheanamente anticlassico come Heidegger. Il pensatore dell' alètheia, della verità come non-nascondimento (e dunque come intimamente connessa con il celare, il sottrarsi, la differenza) mostra qui un certo timore delle tenebre. D'altra parte, quel filosofo, Husserl, che si autocomprese strenuamente come erede della tradizione greca, appare come molto più aporetico di quanto non lo voglia una contrapposizione di maniera con Heidegger; si DrieuLaRochelle grandi sistemi per sostituirli con una teoria dinamica che sapesse accogliere i più disparati contributi, sincretica fin quasi all'eclettismo. Per molti intellettuali, questo sforzo meritava di essere seguito cori simpatia perché era una riaffermazione dei valori spirituali, negati dal positivismo e dal marxismo, e perché sapeva dare una risposta critica ai tempi moderni. Per questo motivo Julien Benda definirà il fascismo di Drieu La Rochelle una presa di posizione morale e non politica: la generazione degli anni trenta ha il sentimento di vivere una crisi (nel Enrico Lotti mai lontani: rileggendoli, si ha la sgradevole impressione di essere di fronte a qualcuno che ha fatto una scelta acritica - e quindi atemporale - e che crede di aver trovato tutte le risposte. A Destra come a Sinistra: per un Aragon convertito allo stalinismo più ortodosso, c'è un Brasillach che torna entusiasta dalla Germania nazista e che scopre in Hitler «il più grande poeta del XX secolo». Ma in altri scrittori, primo fra tutti Drieu La Rochelle, vediamo un rapporto molto diverso con il proprio periodo storico, un interrogarsi ansioso e frenetico, e certe zione fascista che non seppe conquistare l'egemonia sulla galassia di gruppi e movimenti di destra), la decisione di collaborare con i Tedeschi dopo il 1940, ma anche la costante attrazione per la Russia di Stalin, i sentimenti alterni con i quali seguiva lo svolgersi della guerra. Quel che ne appare è la figura di un dilettante che si getta in politica armato di un bagaglio di idee che provengono da un altro mondo, quello della letteratura. Le sue simpatie per la Russia, per la Germania e poi ancora per la Russia non sono i voltafaccia di un opportunista, ma le conseguenSenza titolo, 1951-1952, olio su carta montata su pannello di favo, 81,2 x 111,8 cm 1935 Huizinga pubblica La crisi della civiltà), il violento attacco alla civiltà borghese e democratica è il segno di una grande effervescenza spirituale, il tentativo di contrapporsi alla modernità. Modernità è infatti una parola chiave; scrittori come Brasillach, Drieu La Rochelle (ma anche il giovane Bernanos), sentono di dover prendere posizione sul mondo moderno, di doverne cogliere gli sviluppi in anticipo, per decifrare lo svolgersi della Storia e rivelarne il senso agli uomini. Oggi, passato il tempo dei processi, la contrapposizione tra Destra e Sinistra non appare più uno strumento valido per analizzare la vita intellettuale del tempo. Tanti scrittori engagés ci sembrano orlucide intuizioni sul futuro della Francia e dell'Europa che, oggi, paiono più attuali dell'ottimismo rivoluzionario marxista. È pur vero che, accostandoci alla sua opera e al suo pensiero, non dobbiamo mai dimenticare che Drieu è sempre un letterato, anche quando si interessa di attualità politica, e che affronta la realtà servendosi di una sensibilità, di immagini e di temi che provengono dalla sua formazione letteraria. Un testo come Racconto segreto, recentemente ristampato in Italia, non manca di considerazioni politiche; nelle pagine del diario 1944-1945 l'autore riesamina le proprie scelte, l'adesione al Parti Populaire Français di Jacques Doriot (uno dei tanti partiti di ispiraze del suo ossessivo culto della Forza, vista come la sola entità capace di strappare l'Europa dalla sua Decadenza (altra parola-chiave di tutta l'opera di Drieu, per tanti versi così decadente). La democrazia, avversata così ferocemente, è per lui l'espressione dello spirito borghese, e Drieu condurrà per tutta la vita una battaglia personale e romantica contro il razionalismo, il buon senso, la misura: Nietzsche contro Voltaire e Cartesio, Baudelaire contro Hugo, Céline contro Giraudoux. ' E difficile non chiedersi che cosa spingesse una mente lucida come quella di Drieu La Rochelle a credere in un leader da operetta come Jacques Doriot, a rivela qui quel legame tra fenomenologia e occultismo, l'intrinseca enigmaticità del fenomeno, del soggetto e della epochè, su cui si è intrattenuto in più luoghi (e in sostanza in tutta la sua riflessione) Derrida. Al termine di questo percorso - che del resto in Rovatti si risolve in una problematica aperta e non dogmatica - resta forse da porsi un interrogativo, che nella sua forma più schematica e preliminare suonerebbe così: in una prospettiva di questo genere, non si dà forse troppo credito all'ombra, al mistero, alla passività, cioè a quei temi tradizionalmente ostracizzati dalla metafisica? il «rimosso» della luce e del logos non acquisisce una eccessiva autorevolezza? la passività di un soggetto sensibile non rischia forse di caricarsi delle promesse e delle positività che un tempo erano allegate al soggetto attivo della volontà di potenza? (Nietzsche stilizzò questo interrogativo nella famosa sentenza secondo cui anche nello schiavo si annida ed è in opera la volontà di potenza.) sostenere la Collaborazione contro ogni verosimiglianza. Dietro l'ostentato realismo («No, bisogna assumere le proprie responsabilità, entrare in gruppi impuri, ubbidire alla legge politica che è sempre quella di accettare alleati spregevoli e odiosi. Bisogna sporcarsi almeno i piedi, non le mani. Non mi sono mai sporcato le mani, soltanto i piedi»), si sarebbe tentati di leggere le sue scelte politiche alla luce della sua biografia: le tendenze autodistruttive che lo portarono al suicidio nel marzo 1945, il gusto per l'isolamento aggressivo, parrebbero spiegazioni soddisfacenti. Ed è anche ciò che ci suggerisce lo stesso Drieu; Racconto segreto, uno dei tre testi che compone l'omonimo volume, è una rilettura della propria vita posta sotto un unico segno: il suicidio. Azioni, rapporti con le donne, gli amici, posizioni politiche, tutto sarebbe il frutto di questa pulsione primaria. Ma occorre ricordare che Drieu, in questo, è anche un grande mistificatore; e tutte le sue confessioni vanno lette con estrema cautela, poiché quando si dedica all'autobiografia, egli lo fa per creare un personaggio, un mito di . sé, rielaborando a posteriori elementi della propria vita e del proprio pensiero. «Il diario è l'espressione della viltà dello scrittore, è il colmo della superstizione letteraria, del calcolo sulla posterità. Per altri invece è una forma di avarizia, il tentativo di non perdere nulla», scrive nell'ottobre 1944, riprendendo la stesura regolare del diario. Calcolo sulla posterità? Forse esiste una componente del genere. Ma si può osservare che, se Drieu ha scritto le sue opere narrative tenendosi in ambiguo equilibrio tra autobiografia è creazione letteraria, compie la stessa operazione in testi dichiaratamente autobiografici, proprio come -.:tBaudelaire indossava mille ma- ~ schere mentre simulava la confes- .s g,o ~ I'--. ~ ...... e ~ e::s E sione in Mon cceur mis à nu. Il protagonista delle pagine di Drieu non è più una persona colta nei suoi attimi privati, né un intellettuale, ma l'intellettuale europeo, che si interroga drammaticamente sul proprio ruolo e sul proprio de- ~ stino, e si sforza di cogliere le s:: grandi linee di sviluppo della Sto- ~ ria. -e ~ ~
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==