Pier Aldo Rovatti La posta in gioco Heidegger, Husserl e il soggetto Milano, Bompiani, 1987 pp. 118, lire 15.000 Edmund Husserl e Martin Heidegger Fenomenologia. Storia di un dissidio a cura di R. Cristin Milano, Unicopli, 1986 pp. 117, lire 12.QOO 11 primo motivo di interesse del libro di Pier Aldo Rovatti La posta in gioco uscito di recente da Bompiani consiste nel problematizzare i rapporti fra Husserl e Heidegger. In fondo si perde la peculiarità del pensiero heideggeriano se si vede nella fenomenologia un semplice fondamento avverso, un punto di partenza che ha un valore puramente negativo. Tanto più che l'evidenza testuale e bibliografica contraddice un simile atteggiamento liquidatorio; i corsi professati da Heidegger a Marburgo negli anni venti (e in particolare quello dedicato ai Problemi fondamentali della f enomenologia, del semestre estivo 1927, dunque contemporaneo alla pubblicazione di Essere e tèmpo) testimoniano di un dialogo serrato e costante con la fenomenologia. Lo stesso progetto di una distruzione (Destruktion, Abbau) della metafisica, che in Essere e tempo e nel corso del 1927anticipa già la direzione presa dal «secondo» Heidegger nel senso di una decostruzione della storia dell'essere - sorge in un contesto che è esplicitamente fenomenologico: la distruzionedecostruzione rappresenta per Heidegger il coronamento dei momenti fenomenologici della riduzione e della costruzione;· ciò che Heidegger ha di mira attraverso la decostruzione è il compimento di un progetto fenomenologico, e non una sua esclusione o un «oltrepassamento» semplice. Ci sono quindi molti e importanti motivi storici e teorici che impongono una rimeditazione dei rapporti fra Heidegger e Husserl del tipo di quella proposta da Rovatti nel suo libro. (E utili strumenti di tipo storiografico sono forniti inoltre dal volume, curato da Renato Cristin, Fenomenologia. Storia di un dissidio, che raccoglie tra l'altro la voce fenomenologia scritta da Husserl per l'Enciclopedia Britannica, su cui si polarizzò il dissidio con Heidegger che originariamente doveva esserne il ca-estensore.) Ma qual è la posta in gioco di questa rilettura dei rapporti fra Heidegger e Hussert? Tradizionalmente, il richiamo a un Heidegger fenomenologo è servito a esorcizzare l'aporeticità della tarda riflessione heideggeriana. È questo per esempio il modo in cui Ricoeur rivaluta il «primo» contro il «secondo» Heidegger, tentando di getta- ~ re ponti sicuri fra ermeneutica e o:::s epistemologia; con il risultato, in -S sostanza, di inserire motivi erme- l neùtici all'interno di una problei-.... matica epistemologica che è debi- ~ trice in modo quasi esclusivo della e fenomenologia. Da questo punto ~ di vista, l'operazione tentata da E Derrida a partire dalla introduzio- 'è1:. ne alla Origine della geometria di ~ Husserl (1962) e da La voce e il ~ fenomeno (1967) manifesta una 1 ricchezza teorica molto maggiore, ~ perché non si limita a riportare Heidegger a Husserl, con un ostracismo nei confronti della tarda riflessione heideggeriana, ma piuttosto tende a leggere nell'intero percorso di Heidegger l'ininterrotta tematizzazione di problematiche fenomenologiche; per cui quando Heidegger prende a tema la storia della metafisica come storia dell'oblio dell'essere, continuerebbe a porsi interrogativi che furono anzitutto husserliani, e in particolare: come possiamo giungere alle cose stesse? come possiamo giustificare delle evidenze apodittiche, per esempio le evidenze della geometria? - e qui il ricorso al linguaggio avrebbe in Heidegdove per Derrida si tratta di prendere sul serio il discorso heideggeriano sulla differenza, anche contro Heidegger, e dunque di vedere il linguaggio come qualcosa che cela e sottrae: per cui l'evidenza sarebbe qui il dileguarsi, il consumarsi della ontologia nella sua stessa storia.) Ora, non è questa, almeno in prima approssimazione, la via seguita da Rovatti. Sicuramente la posta in gioco tra Husserl e Heidegger è l'evidenza, ma non si tratta né di una evidenza di tipo epistemologico (come risulta in Ricoeur), né di una evidenza di tipo, per dirla in breve, linguistico cominciamento della fenomenologia, che è anzitutto l'attività di un soggetto calato nel mondo. Ma già qui si pone il problema sollevato da Heidegger in Essere e tempo: questa evidenza, questa luce gettata sulle cose che è il soggetto che incomincia già sempre a conoscere, non può mai giungere alla purezza trascendentale di una epochè. E, più profondamente: il cogito in cui Husserl vede l'anticipazione della fenomenologia è per lo Heidegger che interroga la storia dell'essere proprio il culmine di quell'oblio dell'essere caratteristico della metafisica nel suo insieme, ma che subisce una poderosa. Porta di zinco, 1961, olio su tela, 233,7 x 172,1 cm ger lo stesso ruolo del ricorso alla visione in Husserl: evidente, in questa fenomenologia letta attraverso Heidegger, non è l'apparente immediatezza delle figure geometriche, ma il processo di mediazione infinita per cui, dai Greci a Husserl, si è modulato il problema del linguaggio come logos e certo anche come logica, dove però la seconda è una derivazione e una ipostatizzazione del primo. (Ma si tratta di una evidenza sui generis e molto problematica, perché in Husserl, e forse anche in Heidegger, malgrado le apparenze, questo prius è pensato come una presenza, la presenza fisica del mondo in Husserl, la presenza come capacità della parola di rendere presenti le cose in Heidegger; lad- (come nel caso di Derrida ma anche, sotto questo profilo e in termini generalissimi, di Gadamer). L'evidenza in gioco tra Husserl e Heidegger è per Rovatti il soggetto, e di conseguenza il piano che qui si ha 'di mira nella ripresa dei rapporti fra Heidegger e la fenomenologia non è epistemologico o linguistico, ma esistenziale. Tematizzando il cogito, Descartes si qualifica per lo Husserl della Crisi «come il grande, inconsapevole iniziatore di una rivoluzione nell'ambito del pensiero di cui Husserl vorrebbe essere il continuatore in grado di portarla a compimento» (p. 18). Il mondo è un correlato degli atti di coscienza, ed è quindi a partire dalla coscienza presente nel cogito che si trova il accelerazione con la metafisica moderna, da Descartes a Nietzsche, che si caratterizza precisamente come metafisica della soggettività, come la dispotica attività di un soggetto che ambisce a padroneggiare il mondo attraverso la tecnica. Certo, dunque, il soggetto è un'evidenza, ma è forse l'evidenza della metafisica, vale a dire, in altri termini, il punto di massimo accecamento del pensiero. Ed è così che, in Heidegger, il problema dell'oltrepassamento della metafisica viene a identificarsi con quello di un superamento della soggettività come nocciolo consistente e cuore dell'oblio dell'essere. Qui Heidegger incontra e sviluppa il pensiero di Nietzsche, che nella ambigua nozione di oltreuomo indicò al tempo stesso, e con la duplicità caratteristica della sua filosofia, l'apogeo del soggetto dominatore animato dalla volontà di potenza (la belva bionda, Cesare Borgia, ecc.) e il crepuscolo della soggettività e dell'umanismo, il momento in cui l'uomo e il soggetto si auto-oltrepassano. M a, in primo luogo, è legittimo porre il soggetto di Husserl nel quadro di questa genealogia? Leggendo Husserl dopo Heidegger e dopo Nietzsche, Rovatti sottolinea la rilevante variazione del problema del cogito nella fenomenologia, una torsione effettivamente sottovalutata quando si voglia troppo sbrigativamente ricollocare Husserl nella «storia della metafisica» per sottolineare la radicalità del superamento heideggeriano. In Husserl «il punto contratto di Descartes, criterio di verità, appoggio semplice e indubitabile di una scala da costruire, non è quasi più riconoscibile. Al contrario il cogito si offre ora come un orizzonte complesso e sconfinatamente aperto, già fin dall'inizio non tagliato gerarchicamente [... ] Nel cogito, così interpretato, il conoscere sensibile, se interrogato radicalmente, è certo meno ingannevole della cosiddetta conoscenza razionale: quest'ultima è svuotata e astratta, unilaterale, mentre l'orizzonte della percezione è già una mescolanza di esperienza e giudizio. Frana il primato gnoseologico di Descartes: il cogito è il complesso della vita soggettiva che non ammette, come tale, divisioni tra qualità primarie e secondarie. Crolla anche il primato del sapere attivo e riflessivo: il soggetto sarà infatti, innanzi tutto, l'identità delle sintesi passive» (p. 24). Vale a dire che il soggetto husserliano non è semplicemente riconducibile né al cogito di Descartes (dal momento che in Husserl si ha a che fare con un soggetto anzitutto sensibile, opaco, calato nel mondo della vita), né al soggetto che, dall'idealismo trascendentale, porta a Nietzsche (il soggetto di Fichte come Tun, come ciò che si definisce anzitutto come azione, attività, volontà di potenza e volontà di volontà, appare piuttosto nella prospettiva husserliana come passività, come luogo di sintesi passive, il che del resto si ricollega già al primato del sensibile rispetto al razionale). Ora una soggettività di questo tipo è molto vicina all'Esserci di Essere e tempo («l'esserci di Heidegger è innegabilmente un analogon filosofico del soggetto: gli si contrappone [... ] sostituendo alla padronanza un dipendere, al porre se stesso un trovarsi», p. 27); e soprattutto, questa prossimità insospettata fra Husserl e Heidegger si spinge anche di là dal quadro concettuale di Essere e tempo, conservando il tema della passività come caratteristica di un soggetto, per così dire, post-metafisico, anche là dove, nel «secondo» Heidegger, la critica della soggettività giunge alle sue punte più tipiche e estreme. «L'uomo non è il padrone degli enti, ripete Heidegger nella Lettera sull'umanismo. E subito aggiunge "in questo 'meno' l'uomo non perde niente, al contrario guadagna"» (p. 85). Come l'oltrepassamento della metafisica si può svolgere solo nel quadro di un ri-
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